«La Svizzera è una delusione? Non esageriamo»
Andy Egli c’era. C’era l’ultima volta che la Svizzera è stata in grado di battere la Danimarca. Correva il 17 ottobre del 1984. Praticamente quarant’anni fa. I rossocrociati si giocavano l’accesso ai Mondiali messicani e al Wankdorf di Berna fecero la differenza una rete di Umberto Barberis e la solidità difensiva. No, a consuntivo non bastò per qualificarsi, ma fa specie che nel frattempo - con altri sette incroci andati in scena - non siano arrivate nuove vittorie. «È incredibile in effetti» riconosce Egli, uno dei giocatori più iconici nella storia del calcio elvetico.
Ora ci risiamo. E per la Nazionale di Murat Yakin riuscire finalmente a spezzare il digiuno costituisce tutto fuorché un cruccio statistico. No, è una necessità. Quasi un obbligo, considerata la piega presa dalla Nations League 2024-25. Ultima a quota zero punti, e con lo spettro della retrocessione nella Lega B pronto a colpire, la Svizzera deve ritornare al successo a San Gallo. Anche perché l’aria, attorno allo spogliatoio rossocrociato, inizia a farsi pesante.
«Il massimo è l’80%-90%»
Rude stopper anni ‘80-‘90, Egli non entra tuttavia in tackle. Proprio lui, che in una recente intervista sulla carriera da professionista e in Nazionale si era definito «uno str...zo», nonché «un capobanda senza ancora il dono della diplomazia». A 66 anni, evidentemente, parecchi angoli sono stati smussati. «Se bisogna preoccuparsi per la situazione in casa Svizzera? Personalmente non avverto alcuna delusione. Anzi. Credo che risultati e prestazioni recenti vadano relativizzati» afferma lo zurighese, da noi contattato a poche ore dal match contro i danesi. «Premessa: non amo per nulla la Nations League. Preferivo le amichevoli. In questa competizione ci illudiamo che i giocatori riescano a dare il massimo. Ma sappiamo che, fisiologicamente, non è possibile. Non all’interno di un calendario viepiù esigente e carico di impegni anche sul piano internazionale. È inevitabile che chi scende in campo cominci a ponderare gli sforzi. Il che non significa rinunciare a fare del proprio meglio. Solo che il massimo, in queste condizioni, passa dal 100% all’80-90%. Va da sé, moltiplicato su 9-10 giocatori».
«Akanji, l’esempio perfetto»
Per Egli, insomma, il giudizio verso gli uomini di Yakin non giustifica toni gravi e definitivi. «Non dimentichiamo che oggi, rispetto ai nostri tempi, oltre due terzi dei convocati milita all’estero. E in questi club la pressione è decisamente alta. Non sono molti, in effetti, gli svizzeri con il posto assicurato. Quindi di nuovo: inconsciamente si finisce col ritenere un po’ meno importanti gli incontri della Nations League. Non per forza lo si nota in modo palese. Ma, quando s’insinua la fatica, è la risposta che il cuore tende a fornire agli impulsi del cervello. Perciò si perdono più duelli. Perciò manca la giusta cattiveria sotto porta. Perciò non si reputa cruciale lo sprint in più. E, sì, l’esempio più lampante in questo senso è quello di Manuel Akanji».
Ottanta presenze in Nazionale, cinque titoli nazionali con il GC, uno con il Servette e una stagione da protagonista al Borussia Dortmund, Egli ha trascorso la carriera a frustrare le ambizioni degli attaccanti. «Perciò il 2-0 subito in Serbia mi ha fatto riflettere. Akanji si è opposto a Mitrovic come se si trovasse in tutt’altra zona del campo. Non al limite dell’area. Ebbene, quando un top player è fresco - e non ho davvero ragione di criticare un elemento come il difensore del City - ci mette un’altra qualità, un’altra attenzione».
Poco coesi
Sul banco degli imputati è finita propria la tenuta difensiva della selezione rossocrociata. «È un problema di coesione e di compattezza fra reparti e giocatori» osserva al proposito Egli. Per poi ribadire: «Torno a quanto affermavo in precedenza. Davvero è il contesto migliore per motivare il singolo a coprire un paio di metri in più alle proprie spalle? O per spingerlo ad andare in soccorso di un compagno alle prese con un pericoloso uno contro uno?». D’accordo, ma allora viene da chiedersi perché la forza di volontà dei serbi non sia stata altrettanto fragile. Egli non si scompone: «Aver battuto la Serbia nei due precedenti incontri non equivaleva a un’assicurazione sulla vita. I balcanici, grazie ai loro punti di forza, hanno tutto il diritto di battere la Svizzera. È successo, e guardando pure agli altri avversari del girone, non credo che la nostra Nazionale sia nella posizione di poter ambire a rotonde vittorie ogni volta. Contro la Danimarca aspettiamoci un’altra partita complicata».
«L’Europeo? Okay, ma...»
Insistiamo. All’Europeo ci eravamo invaghiti, persino innamorati, di una squadra e di un’offerta di gioco differenti. «Sì e no» replica Egli, ancora serafico: «È vero, abbiamo conquistato i quarti di finale. Però l’exploit clamoroso non si è materializzato. E mi spiego: il secondo posto al termine della fase a gironi, e i risultati che lo hanno plasmato, hanno rispettato le aspettative. Negli ottavi, poi, tanto è stata brillante la prestazione elvetica, quanto ha colpito la debolezza dell’Italia. Davvero, raramente avevo visto gli azzurri così in difficoltà. Contro l’Inghilterra, invece, la Svizzera non è riuscita a spingersi oltre i suoi limiti. E l’eliminazione, tutto sommato, non ha scandalizzato nessuno». Così come l’ultimo posto in Nations League non turba Andy Egli: «Al netto della sua influenza sul sorteggio dei gironi di qualificazione ai prossimi Mondiali, stracciarsi le vesti per la Nations League ha poco senso. Così come a poco senso affermare che la Svizzera ha subito una netta involuzione rispetto a Euro 2024. Abbiamo perso Sommer, Schär e Shaqiri, questo sì. Ma potenzialmente Kobel è un portiere più forte ed Elvedi non mi sembra così inferiore all’ex compagno di reparto. Ecco, forse nelle ultime partite si è fatta sentire l’assenza di Xherdan, un calciatore eccezionale e impossibile da sostituire».