Sci alpino

Ghedina: «Vent'anni fa, con la mia spaccata, feci impazzire Kitzbühel»

Il 24 gennaio del 2004, sul salto finale della mitica Streif, il discesista italiano si rese protagonista di un gesto per certi versi folle: «Ma lo rifarei, oramai fa parte del mio personaggio»
Kristian Ghedina ha rispolverato la spaccata più volte durante la carriera, ma solo in allenamento. ©AP/MARCO TROVATI
Massimo Solari
17.01.2024 06:00

La foto profilo impostata su WhatsApp non mente. Sono trascorsi 20 anni, ma quel gesto è diventato il suo marchio di fabbrica. Come uno sci sganciato e fatto roteare all’arrivo. O il dito puntato alla tempia dopo un punto pesante. Il 24 gennaio del 2004, Kristian Ghedina sfoderava una spaccata, tanto folle quanto spettacolare, sul salto finale della Streif. A pochi giorni dalle discese di Kitzbühel, lo abbiamo ricordato insieme.

«Ooooooh, c’est magnifique! C’est fabuleux!». Il video, su YouTube, è ovviamente diventato virale. Così come la telecronaca in francese che lo accompagna. «Eppure, all’epoca, non c’erano social o follower ai quali strizzare l’occhio» sottolinea Ghedina, un po’ antesignano, un po’ influencer in anticipo sul destino del mondo. L’italiano è stato di sicuro uno dei migliori discesisti della storia. Temerario, sì, ma altresì vincente sulle piste più importanti del circuito: Birds of Prey, Saslong, soprattutto Lauberhorn e - appunto - Streif. «Quando mi si chiede di rammentare la spaccata di Kitz, non a caso, preciso sempre ridendo che ho pure conquistato 13 successi in Coppa del Mondo e tre medaglie iridate». A questo giro, però, l’anniversario è tondo e quindi a suo modo significativo. Poco importa se il «Ghedo», nel 2004, chiuse in sesta posizione.

A 137,2 chilometri orari

«Ho sempre amato le piccole sfide, il fatto di mettermi alla prova» racconta. «Sono un cerino che si accende con un fiammifero spento e quel giorno tutto nacque da una semplice scommessa con mio cugino. In fase di ricognizione, e dunque a bassa velocità, mi vide compiere la spaccata sul salto. “Ma così è troppo facile” disse. “Guarda che non ho paura a ripeterlo in gara” la mia risposta, dopo la quale mi sono sentito dare del “chiacchierone”. Quanto basta per pungermi nell’orgoglio e spingermi a farlo veramente». A 137,2 chilometri orari. «Nacque così un gesto iconico» evidenzia l’ex sciatore azzurro. «Non dimentichiamo che tagliai il traguardo con il primo tempo provvisorio. Insomma, un conto è fare la spaccata e finire a 3 secondi dal primo; peggio ancora cadere e incappare in una figuraccia. Un altro è passare in testa al termine della Streif, una pista mitica dalla quale ci si attende ogni volta qualcosa di eclatante. Il pubblico, non a caso, impazzì». Nessun avversario o successore ebbe invece il coraggio di emulare il «Ghedo». Le terribili cadute di Scott Macartney nel 2008 e dell’elvetico Daniel Albrecht l’anno successivo, semmai, suggerirono la difficoltà del salto e la pericolosità dell’azione di Ghedina. «Ma lo rifarei, in fondo è parte del mio personaggio» indica il diretto interessato.

Tutto nacque per una scommessa con mio cugino. Pungolò il mio orgoglio, dandomi del chiacchierone, e io non mi tirai indietro

«L’ultima volta? Ieri»

Ghedina, al proposito, ci risponde dall’auto, di rientro da Flachau. «Ho gareggiato all’Hermann Maier’s Star Challenge, evento benefico con personaggi dello spettacolo ed ex campioni. E a riprova della simbolicità del gesto, anche in questa occasione mi è stato chiesto di fare la spaccata sul dosso conclusivo. Non mi sono di certo tirato indietro, peccato che ho sbagliato completamente la misura del salto, mancando l’ultima porta e compromettendo la nostra classifica finale. Il pubblico però era tutto gasato». Immaginiamo. Come immaginiamo che con i vecchi colleghi - oltre a Herminator tra gli altri c’erano Carlo Janka e Marco Büchel - si sia discusso dell’atleta più forte del momento: Marco Odermatt. «Certo, ne abbiamo parlato, così come ci siamo soffermati sulle recenti cadute a Wengen» conferma Ghedina. Per poi andare controcorrente: «La mia opinione sul calendario sovraccarico? Comprendo le critiche espresse in questi giorni. Quella del Circo Bianco è una realtà stressante. Le cadute, tuttavia, fanno parte di questo sport. Ricordo ancora il mio primo podio in Val Gardena, nel 1989. Tra test con la nazionale, allenamenti pre-gara e discesa ufficiale, sette atleti di livello si infortunarono sulle “Gobbe del cammello”. Senza alcun clamore. Oggi invece il tema della sicurezza è decisamente più sentito e posto sotto i riflettori. Va bene. Ma è la discesa libera, ieri e oggi, a spingere l’atleta al limite. E quando cadi, in nove casi su dieci è inevitabile farsi male. A mio avviso sta al singolo, a maggior ragione se ha esperienza, saper gestire il rischio. Anche in un caso estremo come quello dell’ultimo Lauberhorn, con tre gare in tre giorni. Poi è vero: la pressione e l’adrenalina della gara possono tradirti. E i continui viaggi da una località all’altra, sfiancarti».

Le cadute a Wengen dello scorso weekend? Ci sono sempre state: è la discesa a spingere l’atleta al limite

«Odi» e le insidie del successo

Odermatt, lui, non ha tradito. Anzi, ha mandato per ben due volte in visibilio gli oltre 30.000 tifosi presenti all’ombra dell’Eiger. «Parliamo di un grande atleta, ma anche - ed è la cosa più bella - di una persona umile, con i piedi per terra» osserva Ghedina: «I successi e la fama sono però anche armi a doppio taglio. Implicano sempre più impegni e, quando ci sei dentro, è difficile dire di no. Figuriamoci se si è personaggi alla mano come Odermatt. Ecco perché dovrà essere sempre più bravo a dosarsi verso i tifosi, gli sponsor, i media. A posteriori, e guardando al mio piccolo, gestirei differentemente la vita privata. Dare ascolto a tutti, alla lunga, può essere debilitante. Influenzare le tue prestazioni. E in tal senso anche Odermatt deve mettere in conto dei possibili cali. In questo momento è su una nuvoletta. È pure istinto; ogni cosa che fa gli riesce. Non sarà sempre così».

Odermatt viaggia su una nuvoletta, ma dovrà essere sempre più bravo a gestire l’aumento di impegni e richieste

Salvo il record della pista

«Odi», sabato, ha insidiato ma non fatto crollare il record della pista di Ghedina. 2’24’’23 contro i 2’25’’64 del nidvaldese. «Per fortuna, è uno degli ultimi primati che mi restano» afferma ridendo il «Ghedo». «Continuo a detenere il record di discese disputate in CdM. Mentre Dominik Paris, lo scorso dicembre, ha spezzato il digiuno di successi italiani in Val Gardena che durava da 22 anni, e cioè dalla mia ultima vittoria in carriera». Un altro aspetto, tornando alle polemiche di Wengen, è tuttavia significativo. In 17 anni di corse Ghedina si è infortunato raramente sugli sci. «Un paio di costole rotte e una commozione cerebrale. Poco o nulla. E, sì, è paradossale, dal momento che gli incidenti più gravi li ho vissuti alla guida di macchine e moto». Basti pensare che nel 1991, un anno dopo il primo successo in CdM, l’italiano rischiò la morte al volante, finendo in coma per diversi giorni, prima di riprendersi. «Nel mio mestiere, evidentemente, sapevo fino a dove spingermi, mentre in altre circostanze ho azzardato senza essere veramente padrone dell’attrezzo». Al brivido, Ghedina, continua in ogni caso a dare del tu. Nei prossimi mesi, per dire, sarà protagonista di Pechino Express, celebre e avventuroso reality show. La foto profilo, quella, continuerà però a ritrarre il salto del 2004.

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