Calcio

Il marchio della Champions League non è mai stato così forte

È l'alba di una nuova era per la più prestigiosa competizione UEFA - E il ciclo di ricavi 2024-27, sul piano commerciale e dei diritti televisivi, ha spinto il montepremi a quota 2,3 miliardi di franchi
©Reuters
Massimo Solari
16.09.2024 23:30

«La Champions League era un prodotto». Qualora ce ne fosse bisogno, Craig Thompson lo ha ricordato in una recente intervista a The Athletic. Chi è Craig Thompson? L’ex direttore operativo di TEAM Marketing, la società che da oltre 30 anni gestisce i diritti commerciali delle competizioni maschili per club targate UEFA. Al torneo più prestigioso, per l’appunto, si decise di far indossare un nuovo abito nel 1992. Nuovo logo stellato. Nuovo inno. E un montepremi complessivo fissato a 38 milioni di franchi. Ebbene, 32 anni più tardi – all’alba di un’altra rivoluzione – il malloppo totale ha superato i 2,3 miliardi (+22% rispetto al 2023-24). E con un nuovo ciclo di ricavi, commerciali e legati ai diritti tv, che abbraccia le prossime tre stagioni, la conclusione è semplice: il marchio «Champions League» non è mai stato così forte.

Un ventennio folle

Il formato rinnovato del torneo cavalca, o meglio alimenta, una crescita che sembra inarrestabile. Detto degli esordi, è nell’ultimo ventennio che la competizione più prestigiosa per club ha conosciuto un’impennata clamorosa in termini di business. Basti pensare che la commercializzazione del prodotto è passata dal fruttare 127 milioni di franchi (edizione 2004-05) a 565 milioni circa (2022-23). Ma sono i ricavi per la trasmissione del torneo ad aver preso l’ascensore, raggiungendo un’altezza vertiginosa. Da 455 milioni a oltre 3 miliardi di franchi. E a misurare l’appetibilità e la popolarità del prodotto, beh, è proprio quest’ultima voce contabile. Oltre al tutto per tutto tentato dalla FIFA – con il suo Mondiale per club a 32, al via dal 2025 – per farsi bella al di là del calcio per nazionali.

La riforma della Champions, suggerivamo, fa gli interessi dei club partecipanti. E, soprattutto, dell’élite del calcio europeo. Grazie all’incremento del 25% dei contratti firmati con le emittenti televisive, le top società del continente potrebbero incassare oltre 20 milioni in più rispetto alla scorsa edizione. Insomma, la frangia di dissidenti o filosuperleghisti dovrebbe essere tenuta a bada almeno per alcuni anni. Chi rischia di farne le spese, va da sé, sono i piccoli e gli esclusi dalla cerchia delle 36 elette. A loro, sempre per il ciclo 2024-27, Nyon destina contributi di solidarietà superiori ai 700 milioni di franchi. Pure questi in aumento e tuttavia insufficienti per così tante bocche da sfamare e al fine di ricucire uno scarto che tende ad allargarsi.

Inevitabile cambiare

L’ingordigia di UEFA e grandi club, sommata a un calendario viepiù intasato e pericoloso per la salute dei calciatori, non è ad ogni modo sufficiente per crocifiggere anzitempo la nuova Champions. Anzi. Il modello era invariato da 21 anni – all’epoca vennero introdotti gli ottavi di finale ed eliminata la seconda fase a gruppi – e le dinamiche dei «vecchi» gironi oramai non entusiasmavano più. Troppi i verdetti anticipati. Poche le sfide ad alto livello in autunno. Di qui il cambio di passo, ancora lontano dal concetto di equità sportiva d’accordo, e però indubbiamente più accattivante sull’intero arco della competizione. Ai club basterà aprire il portafogli. Allo spettatore medio la mente.

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