Verso la finale

La capitale, sì, ma per una volta degli altri

L’atto conclusivo della Coppa sarà orfano di compagini svizzerotedesche e, al Wankdorf di Berna, non accadeva dal lontano 1996 – Ma quale significato attribuire a questo evento per certi versi eccezionale? – Philippe Vonnard: «Una rara occasione per affermare l’identità regionale»
©CdT/Gabriele Putzu
Massimo Solari
28.05.2024 06:00

Sole e temperature tardo primaverili si fanno desiderare anche Oltralpe. Domenica, in occasione della finale di Coppa Svizzera, potrebbe persino piovigginare. A Berna sono previsti massimo 18 gradi. Con tanti saluti a ogni programma comprendente escursione, grigliata o bagno nell’Aare. La sfida tra Servette e Lugano, per gli abitanti della regione, rischia insomma di trasformarsi in un passatempo obbligato. Divano, tv accesa e - a seconda della fede - gli ultimi rimpianti per l’eliminazione dei propri beniamini. Già, perché il 2 giugno, al Wankdorf, i grandi assenti saranno gli svizzerotedeschi. Intesi come club e rispettivi tifosi. Non è un aspetto irrilevante. Anzi. Si tratta di un evento per certi versi eccezionale nel quadro di una competizione che rimane tanto affascinante, quanto amata in tutto il Paese. In campo e sulle tribune, però, batteranno i cuori di due sole componenti: quella romanda e quella ticinese. Non accadeva dal 1971, sempre con granata e bianconeri quali avversari.

A Basilea non è la stessa cosa

Non accadeva per contro dal 1996 che, per l’atto conclusivo della Coppa, la capitale risultasse orfana di formazioni confederate. Allora, a sfidarsi, erano stati Sion e Servette. Mentre bisogna risalire al 1984 - tenuto conto della doppia anima del Vallese - per ritrovare una finale scandita completamente in francese: Servette-Losanna. No, non abbiamo dimenticato gli incroci del 2001 (Servette-Yverdon) e del 2011 (Neuchâtel Xamax-Sion). A ospitare entrambe le partite, però, era stato il St. Jakob Park di Basilea. Non Berna. Non il Wankdorf. E cioè i luoghi simbolo della Nazione, sul piano politico e calcistico.

Di qui l’interrogativo: al netto del trofeo in palio, quale significato è possibile attribuire al match di domenica tra Lugano e Servette? A suggerire alcune risposte e piste di riflessione è Philippe Vonnard, storico dello sport attivo all’Università di Losanna e all’Uni di Friburgo. «La Coppa Svizzera, innanzitutto, si distingue per la sua apertura, la sua democraticità, grazie alle quali compagini meno forti possono emergere sulle favorite. Tutto ciò, e con il Lugano è successo due anni fa, si riflette nella celebrazione di una comunità. Locale e in alcuni casi, come quello bianconero, cantonale. E quindi sì, ad affermarsi è pure l’identità di una regione». Da un lato Ginevra. Dall’altro il Ticino. Entrambi, per l’appunto, in grado di prendere il sopravvento sulla concorrenza.

La svolta negli anni Sessanta

Non è sempre stato così. O meglio, un periodo ha permesso a questa narrazione, culturale e sociale, d’imporsi. «Ho l’impressione che sentimento collettivo e competizione si siano sovrapposti e alimentati a vicenda negli anni Sessanta, Settanta e Ottanta» spiega Vonnard. Per poi precisare: «Il processo si realizza in concomitanza con la maggiore ampiezza assunta dalla Coppa Svizzera. È l’effetto generato dalla televisione, dall’incremento dei media in generale, ma pure dal valore sportivo assegnato alla competizione. Vincere, infatti, avrebbe permesso di partecipare alla Coppe delle Coppe. Cosa che non avveniva prima degli anni Sessanta». A contribuire alla popolarità del torneo, poi, ci pensa un club. «La prima Coppa vinta dal Sion ha lasciato il segno e in un certo modo mostrato la via» sottolinea Vonnard. In occasione del primo sigillo, nel 1965, la formazione si presentò in campo con lo stemma del Vallese sulla divisa. «Ebbene, lo spirito generato da quel trionfo è stato poi cavalcato e imitato da altre società» rileva lo storico. In questa fase, detto altrimenti, si è compreso come riattivare l’identità locale e finanche cantonale attraverso una partita. La partita. «E, ripeto, i giornalisti hanno giocato un ruolo importante nell’evidenziare viepiù la sacralità e la simbolicità del momento» aggiunge Vonnard.

A mostrare la via è stato il Sion: lo spirito comunitario generato dal primo successo nel 1965 è poi stato imitato
Philippe Vonnard, storico dello sport, Università di Losanna e Uni di Friburgo

La ritualità ritrovata

Negli anni è stata smarrita la ricorrenza del lunedì di Pentecoste, per quanto concerne la data della finale. «Ma per fortuna, dopo alcune deviazioni dopo il 2000, il match è tornato saldamente al Wankdorf» indica Vonnard, alludendo alla ritualità della trasferta nella capitale. Berna già, che alla fine è pure la casa del club più attrezzato del Paese. «La magia della Coppa - analizza l’esperto - è in parte svanita con il trascorrere degli anni e con la progressiva professionalizzazione dei calciatori di punta. Rivaleggiare con le grandi squadre, a livello di infrastrutture e qualità del gioco, è perciò sempre meno evidente. Anche in questa competizione. E, in fondo, Servette e Lugano sono da considerare formazioni al top».

Vi sono tuttavia delle fasi e delle variabili che tendono a ripetersi. Ancora Vonnard: «Sovente la formazione che vince il trofeo riesce a confermarsi in breve tempo. E, di nuovo, penso alle tre finali consecutive del Lugano». È la volontà di conservare la gloria che genera qualcosa d’inaudito. Favorendo, inevitabilmente, una o l’altra regione. «Le società della Svizzera tedesca hanno alzato la voce nell’ultimo ventennio, ma vi sono stati decenni in cui era la Romandia a dettare legge» puntualizza al proposito Vonnard.

Croci-Torti e Weiler

Resta la particolarità di questo appuntamento latino. Una festa delle minoranze, toh. «Il peso economico e culturale della Svizzera tedesca non si discute» riconosce lo storico dello sport: «E a discenderne, non senza un velo di retorica, è lo spirito di rivalsa di una o dell’altra avversaria romanda o ticinese. Che, sul lungo termine, non riesce a competere pure in termini sportivi con le potenze confederate. Tornando al Servette, ad ogni modo, credo valga la pena osservare come unire l’intera Romandia risulti ovviamente più complicato».

A meno che vi siano dei catalizzatori. Dei personaggi in grado di fare l’unanimità. Come Mattia Croci-Torti a sud delle Alpi. Senza dimenticare che pure René Weiler - da Winterthur - ha difeso i colori del Servette da giocatore. Non solo: ha vissuto in prima persona, proprio nel 1996, la finale persa contro il Sion. «Oltre che figure implicate, nelle quali identificarsi - conclude Vonnard - si tratta di allenatori che in stagione hanno fatto vibrare i tifosi. Penso alla vittoria dei ginevrini sul Genk, nei preliminari di Champions, o al successo esterno del Lugano a Istanbul, contro il Besiktas». E di queste emozioni, va da sé, i rispettivi tifosi sognano di nutrirsi domenica. Nella capitale, sì, ma quella degli altri.

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