La polo di Southgathe, simbolo di un ct amato e odiato
Quella polo bianca a maniche corte, in puro cotone e con la zip al posto dei bottoni, probabilmente non aiuta. Non è sinonimo di credibilità e ferocia, diciamo. Eppure è proprio così che Gareth Southgate si sente. È così che vuole raccontarsi alla sua gente. «Ha scelto di creare un look amichevole, avvicinabile, gentile, simpatico, ma allo stesso tempo professionale» ha sintetizzato al Mirror l’esperta di moda Lisa Talbot. A margine della semifinale vinta contro i Paesi Bassi, a caldo, il commissario tecnico inglese ha voluto esprimere il concetto a parole. «Tutti vogliamo essere amati, giusto? Quando fai qualcosa per il tuo Paese e sei un inglese orgoglioso, quando fai tutto questo e però non ti senti corrisposto, leggi solo critiche, beh, è difficile». Forse per questo motivo, pochi minuti prima, l’allenatore non era riuscito a trattenersi. A rimanere un gentiluomo vestito in modo candido. Ossimoro stilistico, l’esultanza scomposta di Southgate sotto il muro dei tifosi accorsi al Signal Iduna Park è di colpo diventata il simbolo dell’Europeo inglese. Una liberazione. Del selezionatore e - stando a molti osservatori britannici - della sua squadra, infine convincente sul piano del gioco, infine superiore all’avversario. Di nuovo in finale, soprattutto.
Il più grande di sempre?
Parafulmine e bersaglio per tre settimane consecutive, e però sempre un passo indietro alla squadra nei momenti di giubilo, Southgate è stato l’ultimo a concedersi al pubblico. A prendersi la scena in precedenza ci aveva pensato Ollie Watkins, match winner oltre che ennesimo eroe in extremis dei Tre Leoni. La rete dell’attaccante dell’Aston Villa ha sublimato la redenzione della guida tecnica. Il selezionatore ha non a caso parlato della conquista più importante lungo gli otto anni di mandato. E, al proposito, val la pena ricordare che l’Inghilterra non era mai stata così vicina alla gloria come in questo periodo. I 101 gettoni in panchina accumulati da Southgathe contemplano una semifinale (Mondiale 2018), una finale persa (Euro 2020) e un quarto di finale giocato meglio della Francia (Qatar 2022). E ora, appunto, l’opportunità di diventare il manager di maggior successo nella storia della nazionale inglese. Prima del suo avvento, in effetti, la selezione maggiore era stata capace di spingersi solo una volta sino in fondo, conquistando la Coppa del Mondo casalinga del 1966. Antichità. Seguita dai cosiddetti «anni del dolore». A un certo punto la Football Association ha addirittura perso la speranza e si è gettata fra le braccia straniere: da Sven-Göran Eriksson a Fabio Capello. Sofferenza e fallimenti, tuttavia, non sono svaniti. Anzi. A farsi largo, facendosi persino retaggio culturale, è stato un binomio all’apparenza inscindibile, con l’Inghilterra ad abbracciare cause perse in serie.
Dalla pazienza al coraggio
Il paradosso? È probabile che questo complesso sia destinato a perdurare. All’Olympiastadion, in effetti, l’Inghilterra affronterà una formazione capace di frustrare qualsivoglia entusiasmo o epilogo felice. La Spagna osservata a Euro 2024 fa paura, raramente tentenna e - dosando saggezza e genio individuali - non lascerà ragionare chi ha di fronte. Già. E se fosse proprio questa l’ancora di salvezza per gli uomini di Southgate? Il ct dei Tre Leoni, d’altronde, ha trasformato la pazienza in un’arma letale. Non solo. Se con Slovacchia (ottavi di finale) e Svizzera (quarti) il fattore in questione è stato a giusta ragione scambiato per disperazione e fortuna, al cospetto dei Paesi Bassi il disegno è parso molto più chiaro. Southgate, che i più ritengono un tecnocrate, non si è per altro accontentato di azzeccare i sostituti che hanno deciso l’incontro. No, rinunciando a Phil Foden e Harry Kane, il 53.enne ha altresì mostrato coraggio. Il fantasista del City, per dire, stava offrendo la migliore prestazione del suo Europeo. L’attaccante del Bayern, per contro, rimane pur sempre il capitano, l’elemento attorno al quale si persevera a costruire il collettivo. Di più: mentre tutti si aspettavano l’ingresso di Ivan Toney - glaciale dal dischetto contro i rossocrociati e preziosissimo negli ottavi - Southgate ha puntato su Watkins. Ha puntato, una volta di più, sul proprio istinto. Perciò il risultato finale ha assunto i contorni di una catarsi anticipata, forse affrettata. Unendo una prova d’insieme di spessore a un paio di mosse rischiose, il ct si è sbarazzato degli errori tattici che lo avevano messo in cattiva luce anche di recente e - appunto - dell’insostenibile clima di negatività che sino a lì ammantava l’Inghilterra.
De la Fuente, il privilegiato
Riconoscenza e sollievo, suggerivamo, sono però sentimenti labili. Mai come ora transitori. Tradotto: nel giro di 48 ore Southgate potrebbe ripiombare nel mare di critiche in cui era stato trascinato ancor prima dell’esordio in Germania. L’appunto principale che si è pronti a muovere al ct è d’altronde inconfutabile. Il materiale umano a disposizione del manager inglese è clamoroso. Della serie: se non per forza si riesce a dare spettacolo con Bellingham, Foden e Saka in campo, perlomeno che si riesca a mettere le mani su almeno un trofeo. Southgate ha creato le condizioni quadro affinché ciò possa avvenire. E in questo, si badi bene, non mancano i punti in comune con Luis de la Fuente. Entrambi hanno forgiato la personale reputazione a livello giovanile. Southgate ha dapprima coordinato l’Academy dei Tre Leoni, per poi guidare la U21. Il selezionatore iberico ha condotto U18, U19 e U21, conquistando altresì due Europei di categoria. L’affiatamento con i rispettivi spogliatoi, dove giovani talenti ed elementi più esperti sono chiamati a convivere, è un altro dato di fatto. Tutto fuorché scontato per Southgate, tenuto conto che la pressione esterna è spesso benzina per architettare ammutinamenti di gruppo. De la Fuente, lui, si trova tuttavia in una posizione invidiabile. Tutti i pronostici dicono Spagna, ma se l’ex guru del vivaio dovesse mancare l’obiettivo, in patria non si assisterebbe a processi sommari. Sì, per certi versi una battuta d’arresto sul più bello verrebbe accettata e perdonata. Gareth Southgate è invece destinato a farsi da parte. Sia da eterno perdente, sia da campione d’Europa. Sei anni fa, il gilet indossato durante i Mondiali in Russia - primo grande torneo in nazionale - era diventato un pezzo da collezione, andando a ruba dagli scaffali. Quella polo bianca a maniche corte, oggi, non convince appieno. Eppure è proprio così, a suo agio, che il ct inglese potrebbe entrare nella storia.