Calcio

Ma perché il Belgio non può sfidare Israele in casa propria?

A fronte delle tensioni e dei rischi legati al conflitto israelo-palestinese, la Federcalcio belga non ha trovato alcuna città disposta a ospitare la partita d'esordio in Nations League - Ci ha pensato, manco a dirlo, l'Ungheria di Viktor Orban
Il Nagyerdei Stadium di Debrecen. © EPA/ATTILA BALAZS
Massimo Solari
06.09.2024 19:15

Ospite indesiderata in casa propria. Da Bruxelles a Bruges, passando per Anversa, Gent e Liegi. La nazionale belga si è vista respinta sull'uscio di tutte queste porte. E così le è rimasta una sola opzione: giocare «a domicilio», sì, ma all'estero. È tutto vero e accadrà questa sera, in occasione dell'esordio in Nations League. Siamo nel gruppo 2 della Lega A, quello in cui sono state inserite pure Francia e Italia. La quarta e ultima squadra? Israele. 

Il Belgio si appresta a sfidare la selezione dello Stato ebraico. E la ragione dell'esilio è da ricondurre proprio all'avversario. In origine, e come di consueto, De Bruyne e compagni avrebbero dovuto scendere in campo allo Stade Roi-Bauduin, il vecchio Heysel per intenderci. Le autorità di Bruxelles lo hanno impedito. La Federcalcio belga, come detto, è quindi andata a bussare altrove. Ma la risposta è sempre stata negativa. «No, grazie». Sul piano della sicurezza interna, i timori per le tensioni e i rischi legati al conflitto israelo-palestinese in corso hanno prevalso sugli interessi del Belgio calcistico. 

L'assessore allo sport di Bruxelles Benoît Hellings ha contribuito al «gran rifiuto». Dal 7 ottobre scorso, data dell'attacco di Hamas a Israele, la vita della capitale è scandita da manifestazioni e contro-manifestazioni figlie della guerra in Medio Oriente. «E accogliere la nazionale israeliana avrebbe significato portare al massimo la tensione nei nostri quartieri» è tornato a spiegare il politico ecologista al portale sofoot.com. Hellings ha posto pure alcuni interrogativi: «Che cosa avremmo fatto se gli attivisti filo-palestinesi o filo-israeliani avessero acquistato in massa i biglietti dell'incontro? Saremmo stati disposti a porre la Nations League, di certo non la competizione più prestigiosa, di fronte a un rischio di tale portata?».

Anche l'ASF aveva tremato

Nel suo piccolo si era scottata anche l'Associazione svizzera di calcio (ASF). Il 23 marzo del 2023, in effetti, la nazionale rossocrociata aveva affrontato Israele nella sfida d'andata delle qualificazioni a Euro 2024. Si giocava allo Stade de Genève e, poco prima del 15’, un intero spicchio dell’impianto ginevrino aveva assunto i colori delle bandiere palestinesi. Una ventina, quelle sventolate, ancora e ancora, nonostante gli inviti a desistere di speaker e addetti alla sicurezza. Non erano mancati spintoni e attimi di tensione con alcuni tifosi israeliani che – va da sé – non l’avevano presa bene.

Svizzera-Israele, del 23 marzo 2023. © EPA/ATTILA BALAZS
Svizzera-Israele, del 23 marzo 2023. © EPA/ATTILA BALAZS

Sulla questione, e tornando al Belgio, si era chinato anche l'organo di coordinamento nazionale che si occupa di analizzare le potenziali minacce interne al Paese. Ebbene, gli esperti hanno appurato che il match avrebbe comportato un rischio moltiplicato. «Probabilmente sarebbe stato impossibile organizzarlo e supervisionarlo, persino rinforzando gli effettivi delle squadre di polizia» ha indicato sempre Hellings. E perché non giocare a porte chiuse? «Anche questo scenario avrebbe significato correre un rischio eccessivo» ha aggiunto l'assessore di Bruxelles. «Il rischio di vedere un lupo solitario scatenare un altro atto di terrorismo». Già, un altro. Il 16 ottobre di un anno fa, pochi giorni dopo l'inizio delle ostilità lungo la striscia di Gaza, gli abitanti della capitale e la comunità internazionale avevano vissuto un trauma a margine di Belgio-Svezia. Abdessalem Lassoued, 45.enne tunisino e radicalista islamico presente illegalmente sul territorio belga, aveva aperto il fuoco e ucciso due tifosi svedesi che si stavano recando allo Stade Roi-Baudin. 

C'è chi si frega le mani

La decisione eccezionale ha inevitabilmente creato un certo dibattito. Alcune figure del Mouvement réformateur, partito di destra, ha criticato le autorità cittadine, ritenute colpevoli di voler boicottare Israele. Hellings ha tuttavia respinto al mittente tali supposizioni, puntando al contempo il dito contro chi governa il calcio in Europa. «È la UEFA che fa politica evitando di escludere temporaneamente Israele. Così facendo, e cioè permettendo a un Paese in guerra di disputare le sue competizioni, Nyon scarica la responsabilità e la gestione degli eventi sulle città e le federazioni».

Qualcuno disposto ad accogliere la sfida tra Belgio e Israele, comunque, è stato trovato. E non si tratta di un Paese alle prime armi, in questo senso. La UEFA è infatti tornata ad affidarsi all'Ungheria, oramai partner privilegiato in questo genere di situazioni. In terra magiara, per dire, hanno trovato casa proprio la nazionale israeliana e i principali club dello Stato ebraico, ma altresì la Bielorussia, a cui è stato impedito di organizzare partite sul proprio territorio. Il match di questa sera si disputerà così al Nagyerdei Stadion di Debrecen, a porte chiuse. Chi si frega le mani, va da sé, è il primo ministro ungherese Viktor Orban, alleato di Benjamin Netanyahu e già beneficiario di diverse scelte operate dall'UEFA. La finale della Champions League 2025-26, per dire, si terrà a Budapest. Fidesz, partito nazionalista di cui Orban è il leader, può da parte sua continuare a cavalcare uno dei suoi mantra, per cui i Paesi occidentali hanno perso il controllo dell'immigrazione illegale.

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