Ousmane Doumbia: «Cari bianconeri, non so ancora se tornerò»
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Sono passati solo tre mesi, ma a Lugano Ousmane Doumbia manca già tantissimo. Il suo prestito ai Chicago Fire scade al termine della stagione di MLS. E, risultati alla mano, la parola fine potrebbe essere scritta fra poche settimane. Poi, cosa accadrà? L’abbiamo chiesto direttamente al giocatore ivoriano.
Allora Ousmane, com’è la vita a Chicago?
«È bella. Una piacevole scoperta, sì. A causa dei tanti impegni con la squadra - allenamenti, campionato, settimane inglesi - non ho potuto immergermi al 100% nella nuova realtà. Ma le sensazioni, dopo circa tre mesi, sono positive. Le persone sono molto gentili. Abito da solo, a una ventina di minuti dal centro, in una zona dove tra gli altri vivono anche Maren Haile-Selassie e Xherdan Shaqiri. Condividiamo diversi momenti insieme, anche fuori dal campo».
Ma è più bello il Lago Michigan o quello di Lugano?
«In realtà non ho ancora avuto modo di vivere il Michigan da vicino. Lo vedo da lontano. Qui, rispetto alla Svizzera e a Lugano, le distanze sono naturalmente amplificate».
Lei è nato in Costa d’Avorio, ha vissuto a Ginevra, Zurigo e in Ticino. Rispetto a queste realtà, che cultura ha trovato nell’Illinois?
«Ogni Paese ha le sue peculiarità. A Chicago la componente latina - messicana in primis - è molto marcata. E questa multietnicità, in fondo, si può trovare anche nelle metropoli svizzere in cui ho vissuto. Poi, certo, sul piano della mentalità e della cultura vi sono pure importanti differenze. In quanto “ospite”, spetta a me adattarmi».
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E la Major League Soccer che campionato è? Più o meno competitivo della Super League?
«Le informazioni raccolte prima di partire ponevano soprattutto l’accento sulla fisicità della lega. Ora che ci sono dentro, posso garantire che il livello - sul piano atletico - è effettivamente paragonabile a quello svizzero. Detto ciò, l’avvento di numerosi giocatori di spessore ha permesso di far progredire enormemente la competitività della MLS. Anche a livello tecnico».
Inutile girarci attorno: da quando veste la maglia dei Fire, la squadra non ha praticamente vinto una partita. Quanto è frustrante, per il gruppo ma anche a livello personale?
«Lo è, non lo nego. D’altronde, ho raggiunto un gruppo che stava vincendo e che, dopo il mio arrivo, ha invece conosciuto tanti risultati negativi in serie. Che cosa dire: i momenti delicati fanno parte del calcio. Ne ho vissuti anche di peggiori in carriera. È in ogni caso mio compito cercare di alzare ulteriormente il livello del lavoro quotidiano e delle prestazioni, contribuendo così a un finale di stagione diverso. Non dobbiamo assolutamente darci per vinti».
L’accesso diretto ai playoff, oramai, è andato. Vi giocate una delle due wild card negli ultimi quattro incontri, fra cui tre scontri diretti. Cosa le fa dire che ce la farete?
«Sicuramente il fatto che sfidiamo tre avversarie dirette deve infonderci tanta carica. E motivarci. Con questo calendario non abbiamo scuse o altri risultati ai quali aggrapparci: il destino è fra le nostre mani».
Il 4 ottobre, al proposito, è in programma la sfida casalinga contro l’Inter Miami di Lionel Messi. Insomma, fra pochi giorni potrebbe dover marcare il giocatore più forte della storia moderna del calcio. Che effetto fa?
«Lo ritengo un privilegio, davvero. Quando ero ragazzo, in Africa, seguivamo con ammirazione le gesta di Messi, le sue magie con la maglia del Barcellona. E ora eccomi in MLS, pronto a calcare lo stesso terreno da gioco. È incredibile. In vista della partita contro Miami provo delle sensazioni uniche: non capita tutti i giorni - ai giocatori come me - di misurarsi e duellare con campioni del genere».
Qualora i Chicago Fire dovessero mancare l’ennesima qualificazione al «post season», a fine ottobre lei sarà un giocatore senza impegni. Tornerà a Lugano? O l’opzione di riscatto a favore dei Fire potrebbe scattare e tenerla lontana da Cornaredo?
«La questione è semplice: non siamo ancora a questo punto. Mancano quattro partite importantissime. Almeno quattro partite. E non è mia intenzione distrarmi, pensando a un ritorno a gennaio o alla clausola prevista negli accordi tra i due club. Non c’è una decisione in questo momento. Una volta conclusa la stagione, per contro, avremo un mese o più per riflettere sul mio futuro. Insieme a Chicago e Lugano».
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Ma, per come è andata sin qui, è pentito della sua scelta?
«Per nulla. Ho trascorso buona parte della mia carriera in Svizzera e un’esperienza all’estero - per conoscere altri campionati, altre culture - mi ha sempre attirato. A maggior ragione se poi ti ritrovi nella stessa squadra di Shaqiri e avversario di Messi. La situazione sportiva, certo, non è semplice. Ma è in questi frangenti, lontano da casa, che il calciatore e l’uomo si forgiano. Come avvenuto in passato, non smetterò dunque di dare tutto me stesso per la causa. Consapevole che a decidere una partita di calcio sono il gruppo e i piccoli dettagli».
Lo sa però che, complici le puntuali assenze e alcune difficoltà in difesa, i tifosi vorrebbero riavere quanto prima Doumbia?
«Mi fa piacere sentirlo. Ma credo che il Lugano rimanga una squadra da top 3 anche senza il sottoscritto. Ho seguito l’avvio di stagione dei bianconeri e, nonostante i tanti infortuni e il carico non indifferente generato dall’Europa, né le vittorie, né le buone prestazioni, sono venute meno. Per dire: la prima parte dello scorso campionato era stata più complicata».
La sua flessibilità, tra centrocampo e difesa, aveva fatto la fortuna di Mattia Croci-Torti. Ogni quanto le scrive il Crus per convincerla a rientrare?
«Al coach, però, avevo detto apertamente che preferisco giocare in mediana... (ride, ndr). Conoscendo le mie qualità, lo sa anche lui. Ci siamo sentiti qualche volta in questi mesi, ma del futuro non abbiamo discusso. Mi lascia tranquillo, insomma. Se tornerò, va da sé, sarà il primo a essere informato».