Amarcord

Quando Bruno Pizzul ricordò la Corea e Byron Moreno al CdT

Il 18 giugno del 2002 l’Italia salutò i Mondiali, vittima della Corea del Sud e delle controverse decisioni dell'arbitro ecuadoriano – Il racconto di quella folle partita
Dopo l’espulsione di Francesco Totti, Angelo Di Livio punta il dito contro Byron Moreno. In secondo piano Christian Vieri. © AP/Amy Sancetta
Massimo Solari
05.03.2025 14:01

Bruno Pizzul, friulano tutto d’un pezzo, già calciatore di buon livello e prima voce della nazionale italiana di calcio dal 1986 al 2002, non c’è più. Lo storico commentatore della nazionale di calcio italiana si è spento pochi giorni prima del suo 87. compleanno. Di seguito, vi riproponiamo l'intervista che concesse al Corriere del Ticino nel 2022. 

Accerchiato. A più riprese. Dai giocatori azzurri, certo. Ma anche da una Nazione intera, rabbiosa come raramente successo nella sua storia sportiva. Byron Moreno, un paio di mesi fa, è tornato sulla direzione di gara che lo rese celebre nel pianeta e tra le persone più odiate in Italia. «Quella partita è nella top 3 delle mie migliori prestazioni arbitrali in carriera. Mi darei un 8,5 pieno». Quella partita, va da sé, è l’ottavo di finale dei Mondiali del 2002. E domani saranno trascorsi vent’anni. Daejeon Stadium, il 18 giugno. Per la selezione allora guidata da Giovanni Trapattoni, il clamoroso e anticipato capolinea del torneo. Per la Corea del Sud, padrona di casa, un sogno dentro un sogno. Alimentato dal golden goal di Ahn Jung-Hwan e, per l’appunto, dalle controverse decisioni del fischietto ecuadoriano. Lunga, lunghissima la lista degli episodi dubbi, che l’indomani la stampa italiana non esitò a etichettare e drammatizzare con enfasi: «Scandalo», «Ladri», «Vergogna», i titoli scelti dai principali quotidiani del Paese. Per una pagina di calcio divenuta poi iconica.

«Segnò la mia carriera»

In cabina di commento, insieme a Giacomo Bulgarelli, c’era Bruno Pizzul. All’ultimo grande appuntamento nella veste di telecronista della nazionale italiana. La sua inconfondibile voce, morbida e allo stesso tempo nasale, accompagnava gli azzurri alla RAI dal 1986. Le note finali, dopo cinque Mondiali e quattro Europei, furono però amarissime. «Inutile nasconderlo, è stato un momento particolare lungo il percorso della squadra azzurra che mi ha visto in qualche modo coinvolto» osserva Pizzul al Corriere del Ticino. «Un episodio, questo, che inevitabilmente ha lasciato una traccia anche nei miei ricordi. È vero, vent’anni fa l’arbitro Moreno ne combinò di cotte e di crude. Diventando il protagonista della gara. Eppure, all’epoca come in seguito, si è preferito sorvolare sulle responsabilità - ai fini dell’eliminazione - della stessa Italia. Vennero infatti commessi errori imperdonabili. E quello che rammento con maggiore precisione è senz’altro il gol sbagliato a porta vuota da Vieri, a ridosso del 90’. Beh, se Bobo fosse riuscito a segnare, avrebbe messo a tacere le polemiche infinite che, di tanto in tanto, fanno ancora capolino». Figuriamoci se ci fosse stato il VAR.

Sì, perché il rosario di errori arbitrali, presunti o tali, si rivelò interminabile. Pronti, via, l’ammonizione rifilata a Coco e il rigorino fischiato a Panucci (e poi parato da Buffon). Poi la mancata espulsione di Sun-hon Hwang, per un’entrataccia a Zambrotta. Sino al celeberrimo secondo giallo rimediato da Totti al tramonto del primo tempo supplementare, quando Moreno ritenne truffaldina la caduta in area di rigore del Pupone, e non irregolare il contatto con il difensore avversario. «Di più: prima della rete decisiva della Corea del Sud, i degni collaboratori di Moreno (nel dettaglio, l’assistente Jorge Ratallino, ndr) fermarono Tommasi - oramai in procinto di infilare la porta sguarnita - per un fuorigioco inesistente» tiene ad aggiungere Pizzul. Già, il golden goal che non c’è mai stato. Mentre quello del citato Ahn, ai tempi giocatore del Perugia, venne risolto senza cordialità - e seduta stante - dal presidente degli umbri Luciano Gaucci: «Non lo voglio più vedere, ha offeso il Paese che lo ha accolto».

Se Christian Vieri avesse segnato a porta vuota, non ci sarebbero mai state polemiche infinite
Bruno Pizzul, storico telecronista RAI

La misura, il Trap e Baggio

Di fronte a tanta parzialità, Bruno Pizzul non scadde tuttavia in uno spudorato vittimismo. No, semmai provò ad aggrapparsi a una sottile ironia. «Eeeee andiamo bene». «Eeeee allora va bene, allora va bene... Allora vale tutto». La misura del telecronista di spessore, allievo di Nando Martellini, insomma non venne mai oltrepassata. «Come temperamento ed educazione sportiva - spiega al proposito Pizzul -, mi sono sempre tenuto a distanza di sicurezza dalle esagerazioni. Anche perché il mio passato da calciatore mi ha permesso di provare di persona quanto sia difficile giocare bene, senza commettere errori. E come sia difficile pure il mestiere dell’arbitro. Di qui la moderazione anche a fronte di episodi fastidiosi».

Il ct Trapattoni, lui, perse completamente la testa. Più dell’acqua santa in panchina, poterono i calci alle borracce e i memorabili colpi alla postazione del delegato FIFA. «L’esclusione di Baggio dai convocati al Mondiale - indica Pizzul - fu per certi versi funesta. Indipendentemente dal potenziale contributo sul piano squisitamente tecnico, atletico e tattico, Roberto avrebbe potuto fungere da arma formidabile per dirottare il tifo dei giapponesi e dei coreani verso gli azzurri. Ovviamente al di fuori delle formazioni di casa. Baggio era diventato un buddista dichiarato e la sua presenza avrebbe polarizzato la simpatia generale. Il Trap non considerò questo fattore, sbagliando a non puntare anche sul Divin Codino e mostrando poi alcuni limiti nella gestione degli ottavi con la Corea, a lungo trascorsi in vantaggio, ma nel finale votati troppo al contenimento».

A contenersi, nel post partita, furono invece in pochi. E così Byron Moreno si ritrovò svestito dei panni (inadeguati) di arbitro per indossare quelli di personaggio pubblico. «E in fondo questa è la parte più grottesca della vicenda» evidenzia Pizzul: «Noi italiani siamo maestri nell’affossare le persone, ma pure nel trasformare in eroi figure denigrate in modo assoluto solo poco prima. Purtroppo è successo anche con Moreno, al quale sono stati versati addirittura dei soldi per partecipare a trasmissioni televisive. Lo trovo inaccettabile. A maggior ragione considerata la parabola del diretto interessato, resosi protagonista di altri comportamenti delinquenziali che ne denotano la caratura negativa». Prima radiato, poi - nel 2010 - beccato all’aeroporto John F. Kennedy di New York con 6 chili di eroina. La condanna? Due anni e sei mesi di prigione. Tutto molto brutto.

Quel «campioni del mondo» mai urlato

Pizzul, 84 anni, è al contrario in pace con sé stesso. «Non ho mai dato una dimensione speciale alla mia presenza a questo o ad altri eventi. Ho sempre cercato di fare il mio lavoro al meglio, esultando, arrabbiandomi, deprimendomi. E per quanto sia stato un dispiacere non poter gridare almeno una volta “campioni del mondo!”, non ho vissuto questo vuoto come un lutto personale. Piuttosto, provo gratitudine per i successi prestigiosi dei club italiani che ho avuto il privilegio di celebrare. E le dirò di più: magari il nostro calcio offrisse a chi commenta oggi le opportunità che ha offerto al sottoscritto».

Noi italiani siamo maestri nell'affossare le persone, ma pure nel trasformare in eroi figure denigrate in modo assoluto solo poco prima
Bruno Pizzul, storico telecronista RAI

La cultura della sconfitta e i passi avanti figli della tecnologia

Anche la premessa di Luigi «Gigi» Garanzini è doverosa. «Che Byron Moreno ne abbia commesse più di Carlo IV di Francia, è evidente a tutti: non siamo lontani dallo scandalo». Sì, nonostante in Ecuador sia una star e nel frattempo diriga un’accademia di giovani arbitri. A margine della rumorosa eliminazione dell’Italia dai Mondiali nippocoreani, l’esperto giornalista e scrittore italiano fu però tra i pochi a radiografare i fatti con spirito critico. Condensando le proprie riflessioni nell’opera intitolata E continuano a chiamarlo calcio (Mondadori, 2007). Il capitolo «La cultura della sconfitta», in particolare, pone l’accento «Certamente a noi italiani, per i quali è sempre colpa degli altri, quasi chiunque può dare lezioni in materia. E non solo nello sport; diciamo dalla politica in giù». Garanzini rincara la dose: «Qualche passo avanti è stato fatto. Ma non sul piano culturale. Banalmente, grazie alla moltiplicazione degli occhi - e dunque all’implementazione della tecnologia - gridare al complotto nel calcio è molto più difficile. Detto che di Moreno, dopo il 2002, non se ne sono fortunatamente più visti a livello mondiale».

«Concorso di colpa»

I colpi di testa dell’arbitro ecuadoriano, suggerivamo, permisero di mascherare le magagne azzurre. Su più fronti. «Quella nazionale era forte, molto forte» indica Garanzini: «Campioni del genere, l’attuale selezione se li sogna. Il problema? Quel Mondiale nacque sotto una cattiva stella. L’avvento di Trapattoni, in fondo, fu figlio delle critiche di Berlusconi a Zoff, dopo la finale persa a Euro 2000. Per tacere dell’assenza di Baggio e, non da ultimo, del rendimento mediocre mostrato nella fase a gironi. Una certa aura di vittimismo, legata a presunti errori arbitrali, si creò fra l’altro proprio a ridosso degli ottavi con la Corea, quando per contro poté sprigionarsi alla prima decisione sfavorevole. I giocatori si fermarono e di colpo diventarono vittime sacrificali. Sbagliando a ripetizione e perdendo da un avversario che di fatto corse e basta. Okay dunque il concorso di colpa del direttore del gara, ma farlo passare alla storia come furto a danno dell’Italia mi diede subito fastidio. Non era del tutto così, ma il percorso di crescita degli azzurri fu orfano di qualsivoglia assunzione di responsabilità». E lo scrittore controcorrente, che non ebbe paura di mettere in discussione la squadra, fu in qualche modo bersagliato? «No, non subì alcuna forma di pressione o critica feroce. Non sono mai stato nazionalista e, forse, questa mia posizione coerente è stata compresa».

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