Il dibattito

Stanchi di giocare a calcio

Si moltiplicano le critiche delle star del pallone all’indirizzo di un calendario sempre più fitto di partite internazionali e nuove competizioni - «Se volete lo spettacolo, dobbiamo riposare di più» il cuore della lamentela - E le cifre dell’ultimo rapporto del sindacato dei professionisti non mentono
Rodri, 28 anni, è uno dei giocatori più importanti del Manchester City. © reuters/mark cosgrove
Massimo Solari
19.09.2024 06:00

Hanno fatto leva sul nuovo formato della Champions League. Punzecchiando la UEFA, insomma. Il destinatario ultimo dell’offensiva scattata nelle scorse ore, però, sembra essere il Mondiale per club - per la prima volta a 32 squadre - programmato dalla FIFA a fine stagione. Le critiche indirizzate a un calendario ritenuto oramai saturo sono state cadenzate in modo quasi chirurgico.

Ad aprire le danze, sabato a margine della sfida di Premier contro il Brentford, è stato Manuel Akanji. Il difensore della Nazionale e del Manchester City ha chiesto di alzare lo sguardo, considerando gli impegni della scorsa, di questa, e della prossima annata. «Se tutto va bene, e considerato che la Premier non conosce una pausa invernale, avremo due settimane di vacanza in estate. Bisogna pensare anche ai calciatori. Perché a un certo punto si è troppo stanchi per giocare». Il classe 1995 si è quindi lasciato andare a una battuta amara: «Chissà, forse mi ritirerò a 30 anni».

Lunedì, alla vigilia del match con il Milan, è toccato al portiere brasiliano del Liverpool Alisson rincarare la dose: «Nessuno chiede ai giocatori che cosa pensano dell’aggiunta di altre partite. Forse la nostra opinione non è importante, ma tutti conoscono la posizione della categoria in merito. Siamo tutti stanchi». Pur riconoscendo la validità degli accordi con UEFA, FIFA, leghe e partner tv, l’estremo difensore ha auspicato una svolta. Per poi tuttavia sostenere di avere «l’impressione che non si sia vicini a una soluzione per il bene del calcio e dei giocatori».

Chissà, forse mi ritirerò a 30 anni
Manuel Akanji, difensore della Nazionale e del Manchester City

Ebbene, a ruota - 24 ore più tardi - il carico pesante è stato sganciato da Rodri, perno del City di Pep Guardiola. «Uno sciopero da parte dei giocatori? Sì, credo che non manchi molto a qualcosa del genere. Se le cose non cambiano, a un certo punto non avremo scelta». Il centrocampista spagnolo, oltre sessanta apparizioni nella scorsa stagione, ha dato sostanza alla sua tesi: «Un giocatore può essere al top per 40-50 partite. Dopodiché un calo sul piano fisico e dell’intensità è inevitabile. Perciò il tema ci inquieta e fa soffrire. A mio umile avviso, il carico dell’attuale calendario è eccessivo. Volete lo spettacolo? Allora dobbiamo riposare».

Altro che Beckham e Lampard

I margini per staccare, ritemprando fisico e mente, sono tuttavia stati esigui lo scorso anno. Insufficienti, anche. A denunciarlo attraverso un rapporto pubblicato a inizio mese è la FIFPro, l’associazione mantello dei calciatori professionisti. No, i dati raccolti e le proiezioni elaborate circa il carico di lavoro al quale sono sottoposti i top player non mentono. Dei 1.500 giocatori seguiti, il 54% è stato confrontato con uno sforzo ritenuto eccessivo o elevato. Su quali basi? Gli specialisti in ambito medico interpellati situano la soglia del dolore a quota 55 partite stagionali. Ebbene, il 31% del campione considerato è stato convocato - tra club e nazionali - per un numero di match uguale o superiore. Un giocatore su sei (17%) è invece sceso in campo più di 55 volte, mentre poco meno di un terzo è stato chiamato a sostenere sequenze di sei settimane consecutive con due o più incontri.

Gli elementi che hanno disputato l’Europeo, la Copa America, la Coppa d’Africa o la Coppa d’Asia, va da sé, si trovano nella situazione più delicata. Il giovane attaccante ex City e dell’Argentina Julián Alvarez - caso forse più estremo - ha giocato 75 partite, nel quadro di 83 selezioni. L’ala giapponese del Monaco Takumi Minamino, da parte sua, ha potuto beneficiare di un solo giorno di recupero dopo il suo rientro dalla Coppa d’Asia a inizio febbraio. Non sorprende quindi che l’impatto degli impegni internazionali (circa il 17%) vada a intaccare la vita extra-calcistica dei migliori al mondo. Questi ultimi, secondo le stime del rapporto, hanno trascorso l’88% del proprio tempo sul posto di lavoro.

A impressionare sono altresì paragoni e proiezioni. La FIFPro ha scelto il caso di Jude Bellingham per illustrare i rischi che potrebbero correre i giovani più promettenti del panorama calcistico. Al termine della passata stagione, la stella della nazionale inglese e del Real Madrid aveva accumulato 251 apparizioni. E ciò ad appena 21 anni. Alla stessa età, David Beckham, Frank Lampard e Wayne Rooney ne contavano rispettivamente 54, 93 e 212. Il che, stando ai calcoli degli esperti e con tutte le conseguenze psicofisiche del caso, potrebbe comportare dalle 200 alle 350 partite in più lungo l’intera carriera di Bellingham.

L’azione legale contro la FIFA

La corda, insomma, potrebbe finire per spezzarsi. Per questo motivo la FIFPro e le sue sorelle attive nelle principali leghe nazionali si sono mosse anche sul piano legale. Come ricordato a L’Équipe da David Terrier - presidente di FIFPro Europa - «la decisione di organizzare la nuova Coppa del mondo per club è stata concordata tra FIFA ed ECA, l’associazione dei club europei ECA. Il tutto senza consultarci».

Di qui un primo reclamo depositato di fronte a un tribunale di Bruxelles e soprattutto quello congiunto che il 14 ottobre sarà presentato alla Commissione europea in materia di diritto della concorrenza, contestando la legittimità delle decisioni della FIFA di fissare unilateralmente il calendario. E se l’azione legale non producesse alcun effetto? «Alcuni giocatori potrebbero rifiutarsi di disputare la Coppa del mondo per club della prossima estate» ha chiarito, una volta di più, Terrier.

Correlati