Il commento

A Londra il falò dei primi ministri

Adesso tocca a Rishi Sunak incollare i cocci dei disastri economici, a cominciare dal crollo della sterlina, prodotti dal fanatismo ideologico della destra Tory
Antonio Caprarica
24.10.2022 19:30

Boris Johnson ha appena regalato al suo pubblico inglese, e anche a noi forestieri, un’altra (l’ultima?) delle sue imperdibili pantomime. Un po’ lunga - quattro giorni - ma esilarante, puro stile Petrolini nei panni di Nerone: «…più bella e più grande che pria», ricordate? Solo che invece di Roma incendiata, Boris intendeva ricostruire la sua carriera di premier data alle fiamme dal suo stesso partito. Quando Liz Truss, dopo appena sei settimane - un primato planetario - è stata costretta al trasloco da Downing Street, lui ha pensato che fosse già arrivato il momento del sequel: Boris 2, la vendetta.

Il richiamo della patria gli è arrivato quand’era in mutandoni da bagno su una candida spiaggia della Repubblica dominicana. Lui non ci ha pensato un secondo. Ha impacchettato i mutandoni a fiori e le infradito, la moglie, i due figli infanti e ha preso il primo volo per Londra. Nella capitale i giornali amici, Telegraph in testa, già suonavano i tamburi: il Partito conservatore ti reclama, solo tu puoi salvarlo, i deputati tory (gli stessi che lo avevano licenziato a luglio) ti aspettano come il Senato di Roma accolse per due volte Cincinnato dittatore. Il tentativo di organizzare, grazie a queste «bufale» (oggi si chiamano «fake news»), una marcia trionfale su Westminster si è concluso domenica sera alle 22 , poche ore prima della scadenza ufficiale per la presentazione delle candidature alla successione di Truss. Il comunicato con cui Boris ha gettato la spugna è un capolavoro di presunzione e di comicità involontaria: avrei certamente vinto se avessi concorso ma non avrei potuto governare visto che non ho il sostegno dei deputati… Insomma, come fare la pasta senza la farina. La disfatta, forse definitiva, del leader più clownesco della storia britannica spalanca le porte di Downing Street alla nemesi di Boris, il suo ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, il ministro dell’economia che dimettendosi a luglio decretò la fine del governo Johnson. Avrebbe potuto già succedergli a inizio settembre ma la base del partito conservatore gli preferì le fole thatcheriane raccontate dalla Truss. Adesso tocca a lui incollare i cocci dei disastri economici, a cominciare dal crollo della sterlina, prodotti dal fanatismo ideologico della destra Tory. Sono gli stessi signori che sei anni fa, sempre con Johnson, hanno condotto la Gran Bretagna alla scelta più autolesionista dell’ultimo secolo: la Brexit. Da quel momento il Regno Unito è come una nave senza bussola. E non basta cambiare nocchiero ogni due mesi - cinque premier in sei anni, manco l’Italia degli stereotipi - per ritrovare la rotta. Il Partito conservatore è in pezzi, dilaniato dalla lotta tra la destra populista, ferocemente anti-europeista, nostalgica del «vincente» Johnson, e una «sinistra» (?) che è semplicemente più moderata e ragionevole, più attenta ai vincoli di bilancio e alla necessità di buoni rapporti con il più grande mercato mondiale che è giusto sull’uscio di casa, l’Unione europea sventatamene abbandonata. La frattura intestina dei Tory consuma un governo dietro l’altro. E i britannici ne hanno abbastanza del partito che ha promesso loro una nuova età dell’oro e li ha trascinati invece nel baratro dell’inflazione più alta d’Europa e della recessione. Se si votasse oggi, i sondaggi assegnano un vantaggio di 30 punti all’opposizione laburista, per quanto guidata da un personaggio incolore come sir Keir Starmer. Ma è anche vero che di colore, con un premier come Johnson, gli inglesi ne hanno avuto fin troppo. Riuscirà il tecnocrate Sunak a invertire la tendenza? È una testimonianza dell’alto grado di evoluzione sociale e culturale della Gran Bretagna che passi quasi inosservata la novità che colpisce invece noi europei continentali: Rishi Sunak è di origine indiana, un immigrato di seconda generazione, e per la prima volta nella storia del Regno Unito tocca a un figlio delle ex colonie guidare la metropoli dell’ex impero. Quanti decenni occorrerà ancora aspettare perché qualcosa del genere accada anche dalla nostra parte della Manica? Questo naturalmente non garantisce che la sua ricetta economica - niente azzardi fiscali, niente taglio delle tasse, niente più debito senza copertura - riesca a far ripartire la stagnante economia britannica. L’ingresso dell’ex banchiere Sunak al 10 di Downing Street, tempio laico del governo britannico, è solo la certificazione del fallimento, almeno in Gran Bretagna, degli avventurieri sovranisti e populisti.

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