Il fenomeno

Automobili: «La passione esiste ancora, ma non è più passione democratica»

La chiusura, dopo 119 anni di storia, del Salone dell'auto di Ginevra impone una riflessione più ampia – Ne abbiamo parlato con Gian Luca Pellegrini direttore di Quattroruote
© CdT/archivio
Jenny Covelli
01.06.2024 14:32

«La decisione degli organizzatori di chiudere il Salone internazionale dell'automobile si inserisce in un contesto molto più turbolento di quello che ha caratterizzato il periodo di massimo splendore della manifestazione. Sono dispiaciuto. Questo epilogo deve essere visto soprattutto come un'opportunità per mettere in mostra queste risorse in modo diverso, al servizio della mobilità essenziale di domani». Sono queste le parole con cui Guy Parmelin, capo del Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR), ha commentato la fine del Salone dell'auto di Ginevra, dopo ben 119 anni di storia.

Cronaca di una morte annunciata, è stato detto. Lo conferma Gian Luca Pellegrini direttore di Quattroruote, rivista specializzata in motori: «In fondo ce lo si aspettava. Il salone dell'automobile sta morendo un po' ovunque. La classica forma delle "auto schierate che la gente va a vedere" ha fatto il suo tempo. Si stanno affermando le manifestazioni dove funziona al contrario: sono le macchine che vanno dove ci sono le persone». Insomma, il pubblico sta cambiando.

Nel 2020 c'è stato chi ha perso molti soldi

Ma Pellegrini fa notare che anche il salone, il Geneva International Motor Show – il cui Consiglio di fondazione ha scritto ieri di «assumersi le proprie responsabilità» –, ha commesso degli errori. «Lo sbaglio principale è stato fatto nel 2020. La manifestazione è stata cancellata per cause di forza maggiore - la pandemia di COVID-19 - solo due giorni prima dell'apertura. Hanno confermato più volte fino all'ultimo. Io, ad esempio, ho preso un volo dagli USA per esserci. E a 48 ore dall'inizio è stato annullato. Ma i tanti soldi investiti da molti non sono stati restituiti». Si è quindi creata una «situazione di grande imbarazzo. Il mondo dell'automobile ha perso molto denaro e ne è derivato un atteggiamento critico nei confronti dell'organizzazione».

Il direttore di Quattroruote ha frequentato il Salone dell'auto di Ginevra per ben 36 anni, dal 1988. E l'edizione 2024, ammette, ha dimostrato la grande difficoltà in cui versava la manifestazione. «Avrebbe dovuto essere l'edizione del rilancio. E invece i grandi marchi hanno dato forfait. Non c'erano né come estensione di copertura, né delle case costruttrici. Erano presenti solo il gruppo Renault e i cinesi, alla ricerca di visibilità».

Cambia la percezione dell'auto nel pubblico

Ma al di là del fatto che la formula classica del salone dell'auto ha perso attrattiva, quello che è successo a Ginevra è anche il sintomo di qualcosa di più grande: sta cambiando la percezione dell'auto. «La passione esiste ancora, ma non è più passione democratica», spiega Gian Luca Pellegrini. «L'industria è al centro di un cambiamento molto forte, mai visto nei cento anni precedenti. E la nuova direzione che sta prendendo lascia il pubblico un po' più freddo».

Le auto stanno diventando sempre più costose, «un oggetto del privilegio». Una volta l'automobile era un simbolo molto presente in film, libri, sulle copertine dei dischi, nei videoclip. «Ci sono film definiti dalle auto, come 007 e The Blues Brothers. Oggi non esistono più, perché se una volta rivestivano valori positivi, oggi si stanno trasformando in aspetti negativi. La gente si disinnamora, scende la passione o si concentra su oggetti lontani, supercar e auto sportive di lusso».

Si sta tradendo la vocazione democratica dell’auto, che sta tornando a essere un bene "da ricchi"

La società cambia. Anche i ragazzini non pensano più alla patente. «Non comprano un'auto e non usano più neppure quella dei genitori. È la generazione della mobilità sostenibile, al massimo del car sharing. E nelle grandi città l'auto non è più necessaria. Ma anche come oggetto non interessa più, figuriamoci andare a un salone ad ammirarle». Una volta era simbolo di indipendenza, di autonomia. Oggi non è più così. Ed è sempre meno gradita.

La «cattivona» dei problemi ambientali

La mentalità è cambiata anche nei confronti dell'ambiente. «E questo è sicuramente lodevole», aggiunge Pellegrini. «L'automobile è sempre la prima accusata di rendere peggiore il nostro ambiente. Anche se nella realtà non è proprio così, perché il contributo della mobilità privata alle emissioni, nel peggiori dei casi, raggiunge il 20%. Ma l'auto è un oggetto molto semplice da colpire da parte della politica. E, alla fine, questo ha un impatto sul pensiero della gente».

La transizione all'elettrico, però, non sta andando alla velocità che i politici si aspettavano. «Non è bastato imporre “lo standard futuro” affinché i cittadini rispondessero bene. E, nonostante gli incentivi, le auto elettriche rappresentano solo il 12% del mercato europeo. Perché non piacciono e sono più costose. E il potere d'acquisto dei cittadini non è mai risalito dopo la pandemia. Il problema è che la data del 2035 fissata dall’Europa ha trascinato l’entusiasmo dell’industria, che ha seguito questo approccio pensando che fosse l’occasione per rifare da zero l’intero parco circolante. La politica, dal canto suo, non segue il cambiamento culturale investendo davvero sul trasporto pubblico, perché necessita grandi investimenti. E la gente continua ad andare in giro con auto vecchie, più inquinanti, ribaltando la situazione». Come sarà il futuro, quindi? «In Italia, prima della pandemia, il prezzo medio di un'auto era di 17-18 mila euro. Oggi è di 28 mila euro. L'automobile sta tornando a essere un oggetto del privilegio. Succederà che solo i ricchi potranno permettersi di spostarsi come e quando vogliono», conclude il direttore di Quattroruote.

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