«FTX non è la fine dei bitcoin», ma al settore servono regole
«Quello che sta succedendo con il fallimento della piattaforma FTX è la crisi del 1929 del mondo cripto, ma non del Bitcoin», afferma Lars Schlichting, avvocato specializzato nel diritto che regge le valute digitali. Distinguere tra Bitcoin e criptovalute è importantissimo e non banale. «La prima nasce come sistema di pagamento e di conservazione del valore completamente decentralizzato, senza il rischio di controparte». In pratica ognuno è la banca di se stesso grazie alla tecnologia blockchain nata come risposta alla sfiducia nel sistema finanziario convenzionale dopo la crisi del 2008. «I fondamentali del Bitcoin rimangono attuali e confermati anche dall’odierno quadro macroeconomico», precisa ancora Schlichting che ricorda che mentre per i bitcoin non c’è un emittente centrale, «le altre criptovalute sono sempre emesse da qualcuno. Sono di fatto monete centralizzate». «Questa crisi - continua l’esperto - è dovuta al fatto che tanti exchanger (FTX è tra questi, ndr) emettevano il loro token, ovvero la stringa alfanumerica che rappresenta la moneta. Questo token ha incrementato il valore nel tempo e lo hanno utilizzato quale collaterale per obbligazioni e debiti e che emettevano». «Crollando il valore del token, il collaterale si è sgretolato e per ripagare gli impegni hanno dovuto vendere gli asset digitali». Insomma, il classico fallimento bancario: a fronte delle richieste dei clienti, non si è in grado di farvi fronte per mancanza di attivi liquidi.
Cosa può succedere ora? «Il messaggio del mondo cripto in questo momento è: togliete i vostri averi dagli exchanger. Questi ultimi dovrebbero servire semplicemente a entrare e uscire dall’universo cripto. Non tenete le vostre valute digitali in queste piattaforme perché in tanti Paesi - e la Svizzera non è uno di questi - non ci sono regole sulla custodia delle criptovalute. In Svizzera per custodire i beni digitali per conto della clientela devi essere una banca. E nonostante il nostro Paese si sia mosso prima di altri in questo mondo, ci sono pochi exchanger di deposito, probabilmente proprio a causa degli elevati requisiti normativi. Ci sono però piattaforme che hanno ricevuto una garanzia bancaria», precisa Schlichting.
Nel caso di FTX i gestori hanno fatto confusione tra i depositi dei loro clienti e gli attivi della società. «Peggio. Hanno usato i beni dei clienti per operazioni per conto proprio. È disonesto», aggiunge l’esperto. Ma nel momento in cui ci saranno delle regole anche per chi fa banca senza essere banca, l’universo digitale potrebbe ridimensionarsi, ma non sparire. «Le regole in realtà ci sono già. Tutti gli exchanger europei, compresi quelli svizzeri, sono regolati e sono toccati poco da questa bufera. Anzi, ora si capisce che la regolamentazione ha un valore e si salveranno solo quelli che avranno una licenza bancaria, magari di un Paese europeo e non più in qualche isola caraibica». «Può sembrare paradossale, ma questa crisi è salutare. È la storia della finanza che si ripete. Come si è arrivati alle Regole di Basilea per le banche convenzionali con requisiti di capitale proprio crescente negli anni dopo le varie crisi, in futuro si avranno regole simili per gli operatori digitali», conclude l’esperto.
È uno strumento speculativo
Alberto Petruzzella, presidente dell’Associazione bancaria ticinese (ABT), precisa che non è di principio contrario alle innovazioni finanziarie portate dal mondo cripto. «La tecnologia blockchain è certamente un aspetto interessante e che va approfondito e tenuto in considerazione dall’industria per modernizzare l’infrastruttura su cui viaggiano le comunicazioni finanziarie», precisa Petruzzella. «Anche come asset class, ovvero come classe d’investimento, tutto ciò che proviene dal mondo cripto costituisce un’innovazione». «A una condizione, però», continua il presidente di ABT. «Devono essere chiari i rischi che un investitore può correre. È uno strumento finanziario complesso e per questo speculativo, nel senso che una persona può legittimamente cercare di trarre un profitto, ma anche perdere tutto». E come strumento di pagamento, invece? «Personalmente mi sfugge l’utilità di usare le criptovalute come moneta, al pari di franchi, euro, dollari eccetera», aggiunge Petruzzella che precisa che attualmente è difficile, per le banche tradizionali, avere relazioni con imprenditori dell’universo cripto. «È molto costoso e complicato verificare che un eventuale patrimonio in bitcoin, per esempio, sia stato costituito in modo lecito».
I controlli sono insufficienti
«Ci sono due ordini di problemi - spiega dal canto suo Giovanni Barone Adesi, professore emerito di teoria finanziaria all’Università della Svizzera Italiana (USI) -. Prima di tutto quelli legati alla tecnologia e poi quelli connessi alle transazioni finanziarie. Per quanto riguarda la tecnologia, se gli attori seguono correttamente il loro modello di business, non dovrebbero esserci problemi. Se non lo seguono purtroppo il controllo e la disciplina lasciano molto a desiderare. Invece per quanto riguarda le truffe finanziarie, tutte quelle “vecchie” sono applicabili anche alle criptovalute. E quindi la tecnologia, anche se fosse usata correttamente, non ci protegge».
Per esempio alcuni furti di bitcoin sono stati risolti solo dopo 10 anni e altri non hanno ancora trovato soluzione. «Uno dei problemi - spiega - è che viene registrato il nome dell’utente, che tuttavia non corrisponde necessariamente alla sua vera identità. Ci sono dei sistemi di identificazione usati dagli intermediari online, ma sono facilmente aggirabili».
«Nel caso FTX - precisa - sembra che il promotore Sam Bankman-Fried usasse le criptovalute dei suoi clienti come collaterale per le proprie speculazioni personali. E quindi, in assenza di regolamentazioni e di controlli che limitassero questa sua attività, ha perso molti soldi di alcuni clienti, mentre quelli che li avevano ancora si sono affrettati a chiedere il rimborso, causando il collasso della piattaforma».
Per di più, dopo che Bankman-Fried ha dichiarato il fallimento , sono scomparsi circa mezzo miliardo di dollari dai conti di FTX. «Quindi qualcuno che aveva accesso ai depositi rimasti se ne è impossessato».
«Comunque - rileva - con le criptovalute non vedo un pericolo di instabilità per tutto il sistema finanziario, visto che il loro uso, sebbene molto diffuso, non è diventato sistemico. Ora le proposte per regolamentare il settore ci sono. Quello che manca è l’adattamento alla velocità del mondo Internet. Dovrebbero esserci idealmente dei controlli o delle ispezioni frequenti sullo stato dei conti dei clienti».
Cosa pensa di Tether, la società con cui si è alleata la Città di Lugano? «Ha avuto grosse difficoltà nello Stato di New York perché non è stata in grado di mostrare alla magistratura newyorkese che i suoi conti fossero in ordine. E questo sull’arco di diversi anni. Tempi così lunghi non sono compatibili con l’economia digitale. Quindi oggi il sistema di sorveglianza è assolutamente inaffidabile. Infatti mancano i controlli a cui sono sottoposte le banche sulla raccolta di risparmi».
È possibile fare differenze a livello di sicurezza fra bitcoin e tutte le altre criptovalute, che ora sono molto numerose? «Forse possiamo farla a livello di tecnologia - illustra - che è più o meno affidabile. Ma per quanto riguarda i problemi di falsificazioni, di identità fittizie, o contratti falsi, non credo che blockchain consenta una protezione. Consente soltanto di trovare una traccia per cominciare le indagini».
«Le criptovalute - nota - possono essere utili ai cittadini se le condizioni dell’economia sono molto cattive, come in Paesi che hanno monete non convertibili o in presenza di una iperinflazione. Mi riferisco a casi come la Siria, il Venezuela, oppure San Salvador. Invece negli Stati Uniti o in Svizzera usare le criptovalute sembra una scempiaggine. A meno di dover fare transazioni per attività per le quali non è possibile utilizzare i canali convenzionali».