L'intervista

Giovanni Barone Adesi: «Questa volta la voce di Wall Street è arrivata alla Casa Bianca»

Il professore emerito di Finanza all'Università della Svizzera italiana commenta il dietrofront del presidente degli Stati Uniti Donald Trump
©Seth Wenig
Generoso Chiaradonna
09.04.2025 23:00

Dopo una settimana di panico nelle Borse e una grande incertezza tra i Governi dei Paesi colpiti dai dazi, Trump ha fatto dietrofront, annunciando una pausa di 90 giorni. Come valutare questa mossa?
«Qualcuno dei suoi consulenti o delle persone più vicine a lui deve avergli fatto notare che non si può reindustrializzare il Paese cercando di raggiungere il pareggio della bilancia commerciale usando ‘la clava’ dei dazi. Comunque questa pausa è limitata a una parte delle tariffe doganali, ossia quelle reciproche e aggiuntive annunciate dal Giardino delle rose della Casa Bianca qualche giorno fa. Ricordo che restano i dazi base al 10% deliberati in precedenza».

Durante questa settimana di passione per i mercati finanziari, alle orecchie di Trump saranno giunte migliaia di richieste di un ripensamento. Perché ora la svolta?
«Tutta Wall Street glielo avrà detto. E probabilmente ha scontentato il suo consulente e ideologo per il commercio estero Peter Navarro (soprannominato ‘Tariff Man’, ndr). L’idea è quella di disaccoppiare l’economia cinese da quella statunitense, per questo sono rimasti i dazi al 125% per i prodotti del Dragone. Ma i cinesi sono un popolo paziente e la guerra commerciale può essere fatta anche con mezzi più sofisticati. La percentuale del 125% è eclatante e manda un messaggio magari ai suoi elettori. Ma le produzioni cinesi per la nascente industria dell’intelligenza artificiale, dai semiconduttori ai server e le terre rare, sono fondamentali per gli Stati Uniti. Tuttavia, il conflitto commerciale lo si può fare con altri strumenti, ossia con delle barriere all’entrata, o nuove regolamentazioni, o un controllo che blocchi la produzione».

Ma dazi così elevati contro la Cina sono dannosi anche per l’economia americana. Come considerarli?
«Certamente, c’è una componente inflazionistica. Credo che Trump sia il primo repubblicano della storia ad alzare le tasse ai consumatori, e quindi alle persone del ceto basso, visto che il 95% di quello che indossano, per rimanere ai vestiti, è fabbricato all’estero, in gran parte in Cina e Paesi collegati. Ma l’impatto sull’inflazione dovrebbe rimanere contenuto, visto che in America non si può vendere direttamente al pubblico, ma bisogna avere distributori locali, che in genere hanno margini colossali, e quindi possono assorbire una parte dell’impatto dei dazi. Chiaramente è bene che si sia arrivati a una decisione ragionevole, almeno per riflettere fino all’estate. Ci saranno dei margini per trattare con i Governi dei Paesi colpiti e molti - dice Trump - saranno disposti a fargli grandi concessioni. Anche perché su alcune pratiche, come la difesa di aziende definite strategiche, alcuni Governi europei abusano della loro "golden share"».