Frontalieri e «tassa sulla salute», la Confederazione prende tempo

La «tassa sulla salute», che l’Italia dovrebbe iniziare a riscuotere dal 1. gennaio, rischia di aprire un nuovo contenzioso negoziale tra Berna e Roma. Secondo quanto riferito dall’assessore lombardo Massimo Sertori, infatti, l’Italia è intenzionata a chiedere al Consiglio federale di creare una base legale che consenta poi ai Cantoni di consegnare alla Lombardia l’elenco dei vecchi frontalieri, necessario per poter riscuotere il contributo. Già, ma la Confederazione che intenzioni ha? Intende dare seguito alla richiesta italiana? Domande, queste, che abbiamo rivolto alla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SIF). «Si tratterebbe di un accordo internazionale», premette la SIF. «Questo genere di questioni - prosegue - vengono discusse preventivamente con i Cantoni toccati. Se un Cantone dovesse segnalare un interesse alla conclusione di norme specifiche sul piano bilaterale la questione verrebbe valutata e discussa con gli altri Cantoni. Se la domanda dovesse giungere dall’Italia, la stessa sarà pure valutata con i Cantoni interessati». Insomma, prima di decidere qualsiasi cosa, Berna intende parlarne con i Cantoni interessati, tra cui il Ticino. Motivo per cui abbiamo chiesto al presidente del Governo Christian Vitta di chiarirci la posizione del Ticino sul tema. «Il Cantone Ticino, nel rispetto delle basi legali vigenti, non ha dato seguito alla richiesta italiana di fornire l’elenco dei vecchi frontalieri», premette Vitta. «Qualora la Confederazione dovesse entrare nel merito della richiesta da parte italiana di una modifica della base legale ci esprimeremo, così come gli altri Cantoni, se sollecitati da Berna». Anche il Ticino, dunque, come Berna per il momento non si sbilancia.
Tempi negoziali e di ratifica
In caso la Confederazione decidesse di andare incontro alla richiesta italiana, comunque, tutto l’iter richiederebbe mesi. «Vanno considerati i tempi per un negoziato e per la necessaria ratifica parlamentare», chiarisce ancora la SIF. A monte, però, rimane da chiarire la questione principale. Ossia: l’introduzione della «tassa sulla salute» viola l’accordo sulla fiscalità dei frontalieri? Parrebbe di sì, secondo Francesca Amaddeo, docente e ricercatrice del Centro di competenze tributarie e giuridiche della SUPSI. «A prescindere dal nome che le si vuol dare, di fatto si sta assoggettando ad imposta un reddito che non potrebbe essere imposto, in virtù di un accordo siglato tra due Paesi». Infatti, spiega l’esperta, «il nuovo accordo sulla fiscalità dei frontalieri prevede che i vecchi frontalieri siano assoggettati unicamente in Svizzera». In effetti, scorrendo il testo dell’accordo fiscale, all’articolo 9 capoverso 1 si legge: «I salari, gli stipendi e le altre remunerazioni ricevute dai lavoratori frontalieri che alla data di entrata in vigore svolgono oppure che tra il 31 dicembre 2018 e la data dell’entrata in vigore hanno svolto un’attività di lavoro dipendente nell’area di frontiera in Svizzera per un datore di lavoro ivi residente (...) restano imponibili soltanto in Svizzera». Detto in altre parole, quindi, i vecchi frontalieri sono tenuti a pagare le tasse solo in Svizzera. Di conseguenza, «la ‘‘tassa sulla salute’’ sembrerebbe essere in contrasto con quanto pattuito nell’accordo. Perché nel momento in cui si va ad applicare una percentuale sul salario netto di una persona che rientra nel quadro del vecchio frontaliere, a mio avviso possiamo parlare di un’imposizione sul reddito percepito in Svizzera da parte di uno Stato (l’Italia, ndr) che in realtà non avrebbe potestà impositiva». Lo scopo del provvedimento italiano, prosegue la docente, «può anche essere corretto, per garantire che anche i vecchi frontalieri che usufruiscono del servizio sanitario italiano vi contribuiscano». Ma la modalità è sbagliata. «Visto che l’accordo è stato appena rinegoziato, sarebbe stato opportuno inserire questo dettaglio nell’intesa. Oppure, l’Italia potrebbe pensare di veicolare una parte dei ristorni percepiti al servizio sanitario nazionale. Ma imporre direttamente il salario netto rappresenterebbe una violazione di quanto previsto dall’accordo siglato nel 2020 ed entrato in vigore quest’anno».
Un nodo da sciogliere
Ma c’è di più, perché anche la richiesta di uno scambio di dati mal si concilia con quanto scritto nell’intesa fiscale. All’articolo 9, capoverso 7 si legge infatti: «L’articolo 7 (che riguarda la «cooperazione amministrativa», ossia lo scambio di «informazioni rilevanti ai fini dell’imposizione del lavoratore frontaliere») non si applica ai lavoratori frontalieri ai sensi del paragrafo 1 del presente articolo». Insomma, ai vecchi frontalieri non si applicherebbe questa cooperazione amministrativa, e quindi non è previsto lo scambio di dati. «L’Italia potrebbe applicare il contributo di compartecipazione alla spesa sanitaria solo se conoscesse nominativi e salari dei vecchi frontalieri. Nel nuovo accordo, però, all’articolo 9 capoverso 7 si dice chiaramente che è escluso lo scambio automatico di dati inerente questa categoria di lavoratori. Quindi, non solo manca la base legale, ma questo scambio di dati per i vecchi frontalieri sarebbe proprio precluso dall’intesa siglata dai due Paesi». Del resto, anche la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali ha voluto chiarire che la consegna dei dati relativi ai vecchi frontalieri «in assenza di una base legale specifica sarebbe, innanzitutto, una violazione delle disposizioni applicabili in materia di protezione dei dati».
Sindacati sul piede di guerra
In attesa che la politica decida in che direzione muoversi, i sindacati hanno comunque già annunciato battaglia. «Nel caso il provvedimento dovesse entrare in vigore, ricorreremo alla Corte costituzionale», spiega Giuseppe Augurusa, segretario nazionale Cgil frontalieri. I sindacati, infatti, nei mesi scorsi hanno chiesto un parere legale, dal quale «sono emersi chiari indizi di incostituzionalità». Ora, prosegue, «immaginare di costruire un contenuto giuridico per consentire il trasferimento dei dati mi pare una palese violazione del trattato siglato dai due Paesi. E saremmo stupiti se la Confederazione fosse intenzionata a violare l’accordo, dato seguito alle richieste italiane». L’idea poi di prelevare il contributo tramite l’autocertificazione è giudicato «irreale» dai sindacati: «Un’impostazione simile è quasi una minaccia e finisce per spostare la responsabilità dalle istituzioni al cittadino». La «tassa sulla salute», evidenzia Augurusa, è «inefficace e inapplicabile»: «La verità è che si tratta di un tentativo di trasferire un centinaio di milioni dallo Stato alle Regioni, chiamando alla cassa sui frontalieri». Lo strumento, «oltreché illegittimo, è chiaramente inefficace a scoraggiare il personale sanitario italiano a rinunciare ai lauti stipendi svizzeri, anche per questo non pare interessante per le altre Regioni oltre alla Lombardia». La politica, conclude il sindacalista, «sembra essersi infilata in un ‘‘cul de sac’’, mentre la diplomazia potrebbe risolvere la questione: la Lombardia rinunci alla tassa sulla salute e il Ticino all’ennesima interpretazione differenziata sul decreto omnibus. Così si ristabilirebbero le corrette relazioni, oltre a fare un po’ di chiarezza sui trattatamenti».