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Frontalieri, Regazzi: «La vogliono vendere come una tassa, ma è un'imposta»

Il Consiglio federale ha risposto all’interpellanza del consigliere agli Stati che chiedeva se il provvedimento violasse l’accordo fiscale - Per l’Esecutivo, però, qualora venisse impostato come una «tassa causale», non ci sarebbero problemi
©Chiara Zocchetti
Martina Salvini
19.02.2025 19:22

Se venisse impostata come «tassa causale», la cosiddetta tassa sulla salute non violerebbe l’accordo fiscale. A metterlo nero su bianco è il Consiglio federale, che oggi ha risposto a un’interpellanza inoltrata in dicembre dal consigliere agli Stati del Centro Fabio Regazzi. Nel suo atto parlamentare, il «senatore» chiedeva infatti se il balzello che le Regioni italiane di confine intendono riscuotere dagli stipendi dei «vecchi» frontalieri (ossia coloro che sono stati assunti in Svizzera prima del 17 luglio 2023) quale contributo di compartecipazione al servizio sanitario nazionale fosse o meno in contrasto con l’intesa siglata tra Svizzera e Italia nel 2020. «Dal 2025 - ricordava Regazzi nella sua interpellanza - questa tassa sarà progressiva e prelevata su tutti i “vecchi” frontalieri, indipendentemente se abbiano ricevuto o meno servizi sanitari su suolo italiano, senza quindi un legame diretto tra pagamento e prestazione ricevuta». A questo punto, però, il consigliere agli Stati faceva notare anche che «le imposte si differenziano dalle tasse proprio perché vengono riscosse senza nessuna controprestazione diretta dell’ente pubblico (non causalità). La tassa sanitaria, non essendo causale, è assimilabile a un’imposta, risultando quindi in contrasto con l’art. 9 dell’accordo fiscale». Eppure, il Consiglio federale, nella sua risposta, lascia uno spiraglio aperto. Pur ammettendo che «a tutt’oggi mancano ancora numerosi dettagli in merito alla sua applicazione», secondo Berna il provvedimento potrebbe essere legale, a patto di essere una «tassa causale». «Se la cosiddetta tassa sanitaria dovesse essere impostata come una tassa causale - scrive infatti l’Esecutivo - non rappresenterebbe una violazione dell’Accordo del 2020 sui frontalieri». Questo perché, ricorda il Consiglio federale, «la Convenzione del 1976 (...) e l’Accordo del 2020 tra la Confederazione e la Repubblica Italiana si applicano esclusivamente alle imposte sul reddito e sul patrimonio». Ciò detto, Berna assicura comunque che la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali «continuerà a seguire attivamente gli sviluppi» e, soprattutto, che «interverrà nel caso in cui l’impostazione concreta della misura lo dovesse richiedere». Insomma, tutto si gioca sul fatto se la cosiddetta tassa sulla salute sia retta o meno dal principio di causalità.

Regazzi non ci sta

E su questo punto, Regazzi, da noi interpellato, non ha dubbi: «Ritengo che quella del Consiglio federale sia un’interpretazione errata, perlomeno se teniamo in considerazione come finora l’Italia ha presentato il provvedimento». Secondo il «senatore», infatti, la tassa sulla salute è da considerarsi a tutti gli effetti un’imposta sul reddito. «La tassa prevede una controprestazione effettiva da parte dello Stato, non solo teorica. Quindi a mio avviso non è corretto classificarla come una tassa causale, ma è piuttosto da considerarsi come un’imposta sul reddito che, come tale, ricade nell’ambito di applicazione dell’accordo fiscale». Insomma, ribadisce Regazzi, «si vorrebbe chiamare alla cassa i vecchi frontalieri per una prestazione potenziale, di cui magari non beneficeranno mai. Si tratta quindi a tutti gli effetti di un’imposta, malgrado la si voglia vendere come una tassa». A questo punto, il consigliere di Stati attende di poter intervenire durante la discussione in aula per contestare la lettura del Consiglio federale. «Fintanto che non abbiamo un regolamento d’applicazione, comunque, il margine manovra della Confederazione è limitato. Ma dal momento che entrerà in vigore, chiederò che il Consiglio federale intervenga e adotti dei provvedimenti». In generale, comunque, Regazzi ribadisce gli effetti negativi che l’introduzione della tassa sulla salute avrebbe per le aziende svizzere. «Già il nuovo accordo fiscale sta rendendo meno attrattiva l’occupazione in Svizzera. Questo ulteriore prelievo andrebbe a impattare ulteriormente, disincentivando ancor più i frontalieri, con inevitabili ripercussioni per molti settori, già in difficoltà nel reperire manodopera qualificata».

Il nodo dello scambio di dati

Nell’atto parlamentare venivano però anche chiesti lumi sulla richiesta, da parte italiana, di poter avere dalla Svizzera l’elenco dei vecchi frontalieri, già negato nei mesi scorsi dai cantoni. A questo proposito, il Consiglio federale chiarisce che «attualmente in Svizzera non esiste una base legale che permetterebbe uno scambio transfrontaliero di dati legati a tale tassa sanitaria». Non solo. «Nemmeno nell’accordo siglato nel 2020 contiene disposizioni concernenti lo scambio di informazioni sui frontalieri soggetti alla tassa sanitaria». Se tuttavia l’Italia dovesse avanzare una simile richiesta, «il Consiglio federale analizzerebbe attentamente la situazione tutelando gli interessi della Svizzera, in particolare dei Cantoni di confine interessati». In tutti i casi, conclude, lo scambio di dati «richiederebbe una base legale da presentare al Parlamento».


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