«Hanno fatto fallire la società»; «non è vero, tutti ci tenevano»
Airlight, atto secondo. Il caso della start-up di Biasca fallita nel 2016 lasciando alle sue spalle un «buco» da 25 milioni è tornato oggi in aula penale. Davanti alla Corte di Appello e di revisione penale, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, sono comparsi l’ex direttore (difeso dall’avvocato Pierluigi Pasi), due ex membri del Consiglio di amministrazione (patrocinati dai legali Emanuele Verda e Mario Postizzi), il già amministratore unico della SA (assistito da Stelio Pesciallo) e l’allora presidente della holding (rappresentato da Paolo Bernasconi). Gli imputati devono rispondere a vario titolo di amministrazione infedele aggravata, diminuzione dell’attivo in danno dei creditori, favori concessi ai creditori e cattiva gestione. L’accusa - rappresentata dal procuratore pubblico Daniele Galliano - ha chiesto, come in prima istanza, nei loro confronti pene sospese comprese fra 180 aliquote e 3 anni di detenzione (di cui 6 mesi da espiare), mentre gli avvocati della difesa nelle prime arringhe si sono battuti per il proscioglimento dei loro assistiti. La sentenza è attesa nelle prossime settimane.
La nave e l’iceberg
«Hanno visto che la nave stava per finire contro l’iceberg ma non hanno fatto nulla di concreto per salvare la situazione. Sapevano benissimo quello che stava succedendo alla loro società, ne erano tutti al corrente». È con queste parole che il procuratore pubblico ha rinnovato le sue richieste di pena nei confronti dei vertici della Airlight Energy Manufacturing SA. «Tutti gli imputati avevano in testa questo disegno e quindi devono essere condannati. Erano coinvolti negli affari della società e avevano il compito di gestirne e amministrarne gli affari». Cosa che, a mente di Daniele Galliano, non sarebbe avvenuta in modo corretto visto poi il fallimento e le grosse perdite lasciate. «A fine dicembre 2015 tutto il Consiglio d’amministrazione sapeva già che la società sarebbe fallita, lo scrivono anche nelle e-mail che si scambiano tra di loro. Era quindi evidente che ci fosse un problema: la società era chiaramente in dissesto finanziario. Una situazione che durava da alcuni mesi e per la quale nessuno dei vertici ha mai avanzato proposte risolutive».
«Nessuna contabilità»
Non solo. «Società di questo calibro, nelle quali ballano milioni e che danno lavoro a tanti dipendenti, devono stilare alla fine di ogni mese dei bilanci di chiusura per capire dove sta andando la barca, se naviga ancora bene o se invece sta per affondare. Ma in questo caso, dal 2015, non veniva nemmeno più allestita la normale contabilità. E questo è sconcertante in un momento così critico, quando la società si trovava già in eccedenza di debito. Non si voleva vedere quanto era grave il problema e intanto i vertici continuavano a chiedere soldi agli investitori e agli azionisti. Già solo questo fatto merita la condanna per cattiva gestione», ha sottolineato il pp nella requisitoria.
Un passo indietro
Il 7 aprile 2023 - lo ricordiamo - l’unico imputato condannato dalla Corte delle Assise criminali era stato l’ex direttore e «padre» della start-up a cui era stata inflitta una pena sospesa di 13 mesi per amministrazione infedele e diminuzione dell’attivo a danno dei creditori. Gli altri accusati erano invece stati prosciolti, come richiesto dai difensori. Contro questa sentenza avevano deciso di ricorrere in appello sia l’ex direttore condannato sia il pp Galliano, in disaccordo con le assoluzioni.
La Airlight Energy Manufacturing SA è una start-up nata nel 2008 come società attiva nel campo delle energie rinnovabili che si riprometteva di sviluppare un nuovo sistema di solare termodinamico capace di concentrare la luce del sole con dei grandi specchi e ottenendo temperature elevate che scaldavano l’aria. Ma la società fallì dopo appena otto anni.
«Lui era soltanto un tecnico»
«Il mio assistito non ha mai voluto e nemmeno pensato di arrecare un qualsiasi danno, né alla società, né tantomeno ai creditori», ha esordito l’avvocato Pierluigi Pasi nell’arringa a difesa dell’ex direttore. «E come poteva farlo? Era la persona più distante dalla gestione della società, sia a livello amministrativo sia patrimoniale. Aveva un ruolo puramente tecnico, da ingegnere». Per il legale, inoltre, il suo cliente non poteva nemmeno stipulare contratti: «Non aveva la firma per poterlo fare e non poteva disporre neppure di un centesimo del patrimonio societario, né di fatto né di diritto. Gli è stata applicata la fattispecie solo perché figurava come direttore ma si è sempre occupato solamente di questioni tecniche». Inoltre, ha sottolineato ancora Pasi, «è paradossale sostenere che volesse causare danni ai creditori dal momento che si è investito molto nel processo che mirava alla certificazione del progetto e che avrebbe permesso alla start-up di fare un significativo passo in avanti». Una certificazione importante che andava ottenuta in Marocco e «che è infatti poi arrivata ma sfortunatamente poco dopo che venisse dichiarato il fallimento della società». Per queste ragioni l’avvocato ha chiesto che la sentenza pronunciata nell’aprile 2023 venga riformata con il proscioglimento del suo assistito e dunque con l’annullamento della condanna. In seguito ha preso la parola l’avvocato Stelio Pesciallo che si è battuto anche lui per il proscioglimento del suo assistito, l’ex amministratore unico della società.