Di nuovo in aula per il «buco» da 25 milioni
Di nuovo in aula. A distanza di oltre otto anni dal fallimento milionario di una società che, sulla carta, avrebbe dovuto diventare un’eccellenza ticinese e non solo. Giovedì 16 gennaio alle 9.30 al Palazzo di giustizia di Lugano, di fronte alla Corte di appello e di revisione penale, si aprirà il processo a carico di cinque ex dirigenti della Airlight Energy Manufacturing SA di Biasca, azienda che operava nel campo delle energie rinnovabili. Il 7 aprile 2023, alle Criminali, l’unico ad essere stato condannato dal giudice Siro Quadri era stato il direttore e «padre» della tecnologia.
Gli era stata inflitta una pena sospesa di 13 mesi per amministrazione infedele e diminuzione dell’attivo a danno dei creditori. Gli altri imputati erano invece stati prosciolti. La difesa del primo (rappresentata dall’avvocato Pierluigi Pasi) ed il procuratore pubblico Daniele Galliani (non d’accordo con l’assoluzione dei quattro) avevano ricorso contro la sentenza. E quindi, fra una decina di giorni, andrà in scena l’atteso dibattimento bis.
Ci credevano, eccome
L’attività della promettente start-up creata nel 2008 si concluse nell’agosto 2016 con il «buco» di 25,2 milioni (tanti sono i crediti insinuati) ed il licenziamento di una trentina di dipendenti (i costi del personale, nel 2015, avevano raggiunto i 5,7 milioni). Ci credevano, nell’idea, gli imprenditori, che secondo loro avrebbe addirittura potuto primeggiare a livello internazionale. Avevano talmente fiducia nel progetto da metterci soldi di tasca propria per far decollare gli affari. Ciò a dimostrazione - questa la tesi dei vertici - che la ditta era finanziariamente solida. In un decennio la SA aveva investito almeno 120-140 milioni di franchi in attività di ricerca e di sviluppo per cercare di essere vincente non soltanto sul mercato nazionale, ma anche nel resto dell’Europa e in Marocco, in primis.
I problemi con il prototipo
Tutto sembrava procedere bene. Non avevano però considerato i problemi legati alla commercializzazione dei progetti all’avanguardia che hanno messo in ginocchio l’Airlight. Tre imputati che facevano parte del Consiglio di amministrazione devono rispondere di cattiva gestione, frutto di «spese sproporzionate e grave negligenza nell’esercizio della loro professione o nell’amministrazione dei beni». Una situazione che ha portato all’eccessivo indebitamento e all’insolvenza.
Le due perizie contrastanti
Secondo il procuratore pubblico Daniele Galliano il punto di svolta è arrivato a fine dicembre 2015. La holding che deteneva l’Airlight, sostiene il magistrato carte alla mano, era già sovraindebitata (perdite per 10,2 milioni). Avrebbe dovuto essere il campanello d’allarme, fungere da monito. Bisognava fermarsi, insomma. Invece l’attività è proseguita e si è infine arrivati al fallimento, sostiene l’accusa anche sulla base della dettagliata perizia giuridica. Un documento contestato dalle difese che hanno fatto elaborare un rapporto al professore ticinese Henry Peter, esperto di diritto societario. Per farla breve: il CdA avrebbe dovuto depositare i bilanci, dando così avvio alla procedura? Una domanda alla quale le parti daranno ancora una volta una risposta diversa.
Il solerte funzionario
Da notare che l’inchiesta era partita grazie ad un solerte funzionario dell’Ufficio di esecuzione e fallimento di Bellinzona. Il quale rilevò delle operazioni, risalenti al periodo antecedente il «crac», che a suo dire avrebbero meritato degli approfondimenti. Scattò così la segnalazione al Ministero pubblico, inizialmente per cattiva gestione.
L’accusa e le difese
Alla sbarra compariranno l’ex direttore (difeso dall’avvocato Pierluigi Pasi), due ex membri del Consiglio di amministrazione (patrocinati dai legali Emanuele Verda e Mario Postizzi), il già amministratore unico della SA (assistito da Stelio Pesciallo) e l’allora presidente della holding (rappresentato da Paolo Bernasconi). Nel processo di prima istanza gli avvocati si erano battuti per il proscioglimento dei loro clienti.
L’accusa sarà sostenuta in aula dal procuratore pubblico Daniele Galliano, il quale alle Criminali aveva chiesto pene sospese comprese fra 180 aliquote e 3 anni (di cui 6 mesi da espiare). Il dibattimento, della durata di due giorni, sarà presieduto dalla giudice Giovanna Roggero-Will.