I dubbi sull'app Temu: «Cina buco nero per i nostri dati»
L'app per acquisti su internet più scaricata negli Stati uniti adesso è lei: Temu. Solo alla fine del primo trimestre 2023 aveva totalizzato 19 milioni di installazioni racimolando oltre 100 milioni di utenti attivi. Un traguardo di tutto rispetto segnato dalla sua proprietaria, la PDD Holdings Inc, che ha sede a Boston. Ma non ci si deve far ingannare. Dietro quella sigla si ‘nasconde’ in bella vista il nome di Pinduoduo, il suo equivalente nel mercato cinese. Una volta avviata l'icona arancione con la scritta bianca è tutto un tripudio di offerte, stelline, conti alla rovescia, occasioni «imperdibili». I prodotti sono migliaia e costano pochissimo, mentre consultate da qui le pagine sembrano fatte 'su misura' per la Svizzera, con i prezzi in franchi: un orologio intelligente del tutto simile a quello di una nota marca dalla mela morsicata per dieci franchi?! Nel carrello. Cuffie che in negozio costano 90 franchi a meno di cinque? Nel carrello. Per non parlare di indumenti, articoli per la casa o per la scuola e imitazioni di design a pochi centesimi. Un magazzino virtuale che gestisce 61 miliardi di ordini annuali divisi tra 11 milioni di negozianti. Gli ultimi dati disponibili (gennaio 2023) parlano di un volume lordo pari a 192 milioni di dollari. «Liquidazione», «Sconto del 25%», «Del 50%», «Offerta lampo» accompagnata dall'icona di un fulmine. Da qui alla dipendenza da acquisti compulsivi il passo è breve. Tanto che sarà mai, le cose costano così poco... Un successo che non ha mancato di alimentare i soliti dubbi. Perché dietro c'è la Cina, appunto. Come sono trattati i nostri dati? Cosa succede sotto il cofano? Come sono regolati gli algoritmi che mettono a nudo i desideri di chi scorre le dita sul piccolo schermo luminoso del suo dispositivo? Alessandro Trivilini, responsabile del Servizio di informatica forense della SUPSI, mette un po' di ordine: «L'app cinese ‘Temu’ ha spazzato via le sue concorrenti 'occidentali', che erano da parecchi anni sul mercato», premette l'esperto 49.enne. Che vede la Cina come una sorta di ‘buco nero’ nel settore del trattamento dei dati personali. «Di fronte a questo fenomeno, dobbiamo alzare l'asticella della prudenza. Ricordo poi che, se un'app si trova nel 'negozio' del proprio telefonino, non significa che sia sicura, esente cioè da codice che potrebbe fare male alla nostra vita privata». In effetti è di qualche mese fa la notizia del ritiro, per un certo periodo, dell'app Pinduoduo dal Google Play Store dopo che in alcune versioni sono stati trovati dei cosiddetti codici malware. Secondo un rapporto del governo statunitense, questi sfruttavano le vulnerabilità dei telefoni Android accedendo ai messaggi di testo, modificando impostazioni, utilizzando i dati di altre app e persino impedendo agli utenti di eliminare del tutto l'app.
Il nostro interlocutore punta il dito contro il gigante asiatico: «Se dovesse succedere qualsiasi qualcosa che riguardasse i nostri dati su Temu, non sarebbe possibile reclamare al Garante europeo, al garante svizzero o a quello tedesco... potranno fare ben poco nei confronti della Cina. Un Paese che dal canto suo non potrà che dire ‘Abbiamo definito una legge sulla protezione dei dati compatibile con quella occidentale e quella statunitense... ma a casa mia faccio quello che voglio, e voi non potete metterci naso’».
Sul come sia stato possibile che una piccola applicazione in apparenza insignificante (lanciata in sordina nel settembre 2022) abbia potuto ottenere in poco tempo una fetta di mercato così rilevante, Trivilini ha qualche idea: «I loro algoritmi sono migliori di qualsiasi cosa realizzata in passato, anche da chi era più all'avanguardia. Questo principio guida anche la blasonata TikTok e tutte le prossime che arriveranno in futuro, sempre dalla Cina». Al netto di migliaia di spazi pubblicitari acquistati sui media sociali e sui vari portali. Secondo stime, l'azienda ne avrebbe presi 3.900 solo dalla piattaforma Meta, oltre a due costosissimi passaggi durante la finale della 57a edizione del Super Bowl (per un totale di 14 milioni di dollari) che si è svolta a febbraio.
Il problema si presenta con tre chiavi di lettura, secondo l'esperto: «Oltre al nodo della privatezza dei propri dati, siccome la Cina fa quel che vuole, c'è anche la questione tecnica/informatica e quella geopolitica. Il mondo oggi non è più a traino unicamente occidentale, statunitense. Il raggiungimento di un obiettivo commerciale tramite la tecnologia lo si ottiene con la capacità di costruire algoritmi efficaci. Negli ultimi trent'anni, la Cina è stata in prima fila contribuendo allo sviluppo della Silicon Valley diciamo tradizionale. Hanno studiato nelle università, hanno preso il metodo scientifico occidentale, lo hanno portato in Cina e grazie a questo hanno fatto innovazione».
«Nessuna apertura»
Ma il metodo non basta per fare innovazione. «Affinché ci sia un impatto sull'economia e sulla società, occorre lavorare in collaborazione con le aziende che vogliono conquistare un mercato. E lo sappiamo, l'Occidente ha una cultura differente». Nel mondo del grande Dragone, infatti, «uno comanda e tutti eseguono. Non si perde tempo a litigare, non si perde tempo sulla creatività... c'è una sola persona al timone».
Questo porta a uno sviluppo informatico molto più rapido. «Certo, poi bisogna capire se si tratta di progresso oppure no, che è diverso dallo sviluppo puro e semplice. Il progresso è qualcosa che include, che dà trasparenza, che protegge la privacy, che include una certa etica. Ma noi non siamo in grado di capire in partenza cosa succede sotto la superficie dei pixel sullo schermo di un'app cinese. Non ci sono pubblicazioni scientifiche che spiegano gli ingredienti di queste procedure informatiche cinesi. Oltre al fatto che non abbiamo nessuna apertura, nessuna condivisione da parte loro».
E la questione geopolitica? Alcuni Stati hanno preso provvedimenti per l'applicazione stessa, adducendo problemi di sicurezza informatica. A inizio anno, il Montana aveva bandito Temu dai dispositivi governativi, insieme a TikTok, WeChat e Telegram. In una dichiarazione, il governatore Greg Gianforte aveva affermato che Temu e molte altre app «sono legate ad avversari stranieri», citando il fatto che la società madre di Temu, Pinduoduo, ha sede a Shanghai, in Cina.
«È necessaria una svolta»
Timori non infondati, secondo Trivilini, ma che nascondono anche ben altro. «Se negli Stati uniti ci si comporta in questo significa che serpeggia una certa paura. Si decide di frammentare gli investimenti e dedicarne una parte a fermare qualcuno che, di fatto, ci ha superato nell'ambito tecnologico. Spero solo che gli statunitensi non si mettano a rincorrere i cinesi in questa maniera, ma che abbiano le capacità e il coraggio di cambiare il paradigma. Sfruttando anche le menti brillanti europee e dalla Svizzera in primis. Un ingrediente decisivo, quello dei cervelli, che ha fatto la fortuna della Silicon Valley».
Per Trivilini, è necessaria una svolta in questo settore: «Credo che oggi Occidente serva una nuova visione tecnologica, di sviluppo e di progresso che la Cina ha trovato e che sta usando, come lo vediamo ampiamente, per conquistare tutti i mercati. Quello sociale, economico, clinico, quello finanziario». Un divario da recuperare, invece di mettersi «a litigare con gli ingegneri. È un peccato, perché se non fanno innovazione loro, non possiamo certo farla. Noi possiamo contribuire con le menti e con la formazione, ma non abbiamo le infrastrutture. Ognuno ha la sua peculiarità».
«Pessima qualità»
Un altro campanello d'allarme sul nuovo servizio di tendenza arriva da Altroconsumo, l'organizzazione italiana che tutela i consumatori. Ventotto prodotti sono stati ordinati da Temo e analizzati. I risultati sono poco rassicuranti: «Scarsa qualità e mancato rispetto delle norme di sicurezza europee». Ma non solo, perché alcuni dei prodotti sono risultati anche «pericolosi per i bambini o per la salute». Inutile parlare, poi, di resi o rimborsi. D'altronde è anche possibile che si speculi sul bassissimo costo dei prodotti. Ma le regole sono regole. L'organizzazione ha fatto sapere di voler segnalare la situazione al Ministero delle Imprese.
I problemi del gigante asiatico, però, non finiscono qui. Il governo statunitense, infatti, ha accusato l'azienda di sfruttare alcune regole postali che gli permettono di ridurre i prezzi nei confronti della clientela statunitense. Secondo una serie accordi internazionali, le spedizioni dal valore inferiore agli 800 dollari non sono soggette a tasse doganali e subiscono controlli minimi. In un'altra occasione, una commissione della Camera degli Stati uniti ha addirittura accusato il nuovo gigante di ricorrere a lavoro forzato per la fabbricazione dei suoi prodotti, in violazione delle regole di importazione.
Un tentativo dall'altra parte del mondo per ostacolare la massiccia crescita del rivenditore che sta facendo tremare Amazon e compagnia, che dall'Occidente hanno pavimentato la strada alla forza del Dragone.