Turchia

Istanbul, se la Turchia punta il dito contro il PKK

La bomba esplosa nell'affollata Istiklal Caddesi è stata attribuita a una donna di nazionalità siriana – Arrestate anche 46 persone – Ma cosa c'entra il Partito dei Lavoratori del Kurdistan?
© KEYSTONE (AP Photo/Emrah Gurel)
Jenny Covelli
14.11.2022 10:15

È stata arrestata la persona che nel pomeriggio di domenica 13 novembre avrebbe piazzato la bomba nella centralissima via dello shopping, Istiklal Caddesi, a Istanbul, uccidendo 6 persone e ferendone 81. Lo ha annunciato il ministro dell'interno turco Soumeylan Soylu all'agenzia di stampa Anadolu. Il presidente Recep Tayip Erdogan e il suo vicepresidente, Fuat Oktay, avevano precedentemente indicato «una donna» quale responsabile dell'attacco. Donna che, fa sapere la polizia turca, sarebbe di nazionalità siriana e di cui viene diffuso anche il nome: Ahlam Albashir. Il ministro dell'interno ha accusato il partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) di aver organizzato l'attentato. «Secondo le nostre conclusioni, l'organizzazione terroristica del PKK è responsabile dell'attacco», ha detto. La donna avrebbe infatti confessato durante l'interrogatorio di «essere stata addestrata dal partito curdo armato e dalle milizie curde siriane dello YPG».

Fahrettin Altun, direttore delle comunicazioni del presidente turco, ha aggiunto: «Gli attacchi terroristi contro i nostri civili sono conseguenze dirette o indirette del sostegno di alcuni Paesi per organizzazioni terroristiche». Aggiungendo che «se questi Paesi vogliono l’amicizia della Turchia, devono immediatamente fermare il loro sostegno diretto e indiretto al terrorismo». L'attentato non è ancora stato rivendicato. Erdogan, ieri, è stato il primo a denunciare un «vile attacco», poco prima partire verso l'Indonesia per partecipare al G20, a Bali. «Gli autori di questo vile attacco saranno smascherati - ha promesso -. Che la nostra gente stia sicura che sarà punita». Nel frattempo, quarantasei persone sono state arrestate: lo rende ancora noto Anadolu citando fonti della polizia secondo cui le operazioni si sono svolte in 21 diversi punti in città.

Di cosa si tratta

Il PKK, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, è un movimento di estrema sinistra presente in Turchia e in Iraq, fondato nel 1978. L’organizzazione ha mosso i primi passi nel 1974 in Turchia tra un gruppo di studenti curdi capeggiati da Abdullah Öcalan, allora studente all’università di Ankara. L'obiettivo iniziale era seguire una strada vicina al socialismo rivoluzionario per ottenere il riconoscimento dell’identità curda e creare uno stato di matrice marxista-leninista chiamato Kurdistan. Il gruppo armato ha combattuto per decenni per creare uno stato autonomo per i curdi e dal 1984 al 2013 ha combattuto un’insurrezione contro il governo turco, adottando comportamenti attribuibili a movimenti terroristici: assassinii mirati, uccisioni per rappresaglia e attentati in luoghi pubblici. La Turchia è stata un vero e proprio campo di battaglia. L’esercito turco ha risposto con l’espulsione di centinaia di migliaia di curdi dai loro villaggi, arresti ed esecuzioni arbitrarie. Il leader dell’organizzazione, Abdullah Öcalan, si è rifugiato in Siria (che ha poi lasciato nel 1998). L'YPG è il braccio armato del partito curdo che governa il Rojava, la regione della Siria settentrionale abitata da molti curdi siriani. E che si scontra con i ribelli siriani islamisti e in particolare con l’ISIS, che nel 2014 ha cercato di conquistare Kobane.

La reazione internazionale

Negli anni la linea ideologica del PKK si è avvicinata al confederalismo democratico, portando avanti la battaglia per il riconoscimento dell’autonomia del territorio curdo. I curdi sono infatti la quarta etnia più grande del Medio Oriente (tra 25 e 35 milioni di persone) e non hanno uno Stato.

All'inizio del nuovo Millennio, sono state adottate misure sempre più restrittive nei confronti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, e non solo dal governo turco. Soprattutto dopo l’11 settembre 2001. Molti Paesi lo hanno inserito tra le organizzazioni terroristiche. A partire da metà ottobre 2008 in Svizzera sono stati compiuti complessivamente oltre una dozzina di attentati, in particolare contro bar, sedi di associazioni e agenzie di viaggio turche. Si è trattato soprattutto di attacchi incendiari. In un caso una persona ha riportato gravi ustioni. Attacchi simili erano stati perpetrati anche in altri Paesi europei. «Nel frattempo - scriveva il Consiglio federale il 5 novembre -, diverse rivendicazioni in Svizzera e all'estero e ulteriori minacce di attentati hanno permesso di concludere che gli attacchi sono da attribuire al PKK e a organizzazioni ad esso collegate. Gli atti di violenza e di protesta sono probabilmente una reazione alle presunte torture subite dal leader curdo Abdullah Öcalan, che si trova in carcere in Turchia, come pure all'intensificarsi delle operazioni militari condotte dall'esercito turco durante le scorse settimane nei confronti dei curdi nell'Iraq settentrionale». Il Governo aveva quindi condannato con fermezza gli attentati compiuti in Svizzera e aveva deciso di adottare misure concrete per limitare le attività del PKK e delle organizzazioni a esso collegate per «prevenire un aumento progressivo degli atti di violenza in Svizzera».

Nella lista comune dell’UE delle organizzazioni terroristiche c’è il Partito dei lavoratori curdi (PKK) ma non ci sono né le due organizzazioni sorelle curde siriane YPG (Syrian Kurdish People’s Protection Units) e PYD (Democratic Union Party), né il movimento islamista turco guidato da Fethullah Gulen (esiliato negli Qtati uniti dal 1999), che il governo di Ankara definisce come Feto (Fethullah Terrorist Organisation).

La svolta nel 2013

A metà marzo del 2013 la notizia è apparsa su tutte le prime pagine dei giornali turchi: «Dal 21 marzo inizierà il cessate il fuoco tra Turchia e PKK». Una svolta per il conflitto tra il Partito dei lavoratori curdo e le autorità di Ankara che andava avanti da più di trent'anni con oltre 40 mila morti. Era stato lo stesso Abdullah Öcalan, leader storico rinchiuso da anni nel carcere dell'isola di Imrali, a rivelare le sue intenzioni al Partito pro-curdo per la Pace e la democrazia (BPD). Il governo turco aveva iniziato una serie di colloqui segreti con i rappresentanti del PKK nel 2009 in Norvegia, ma tutto era finito improvvisamente nel luglio del 2011, un mese dopo le elezioni in cui il partito di Erdogan si era imposto e dopo uno scontro che vide l'uccisione di 13 soldati turchi. Ne seguirono scontri armati sanguinosi, con almeno 870 vittime dalla metà del 2011.

Il PKK è tuttora considerato un'organizzazione terroristica da Ankara. Nel suo Rapporto 2020, il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) scriveva: «Con l’offensiva della Turchia alla fine del 2019 le Unità di Difesa del Popolo (YPG) curde, la fazione siriana del PKK, hanno perso una parte del territorio che, de facto, amministrano autonomamente a est dell’Eufrate. Il ritiro parziale degli Stati Uniti ha reso possibile questa offensiva; ma già nel 2018 la Turchia aveva scacciato il PKK dal nord-ovest della Siria. Anche in Turchia e nel nord dell’Iraq l’esercito turco conduce incessantemente operazioni contro il PKK. Nonostante la situazione tesa, in Europa il PKK si comporta in modo pragmatico. Con riferimento alla sua richiesta di essere stralciato dalla lista delle organizzazioni terroristiche stilata dall’UE, il PKK rimane fedele alla sua decisione di rinunciare alla violenza. Soltanto sporadicamente vi sono stati in Europa scontri tra manifestanti curdi e forze dell’ordine. I danni materiali sono stati, di regola, imputati a estremisti di sinistra violenti. Anche in Svizzera i vertici del PKK insistono sul divieto, da essi emanato, di usare la violenza. Per contro, il PKK ha intensificato l’annuale campagna di raccolta di donazioni e il reclutamento in Europa». Per la Svizzera, quindi, il PKK «continuerà a manifestare per quanto possibile pacificamente», ma non sono esclusi «né atti isolati né disordini sporadici scatenati, ad esempio, da provocazioni».

La questione rispunta nel 2022

Il 17 maggio 2022 Finlandia e Svezia hanno presentato le rispettive domande di adesione alla NATO. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è subito schierato contro l’ingresso dei due Paesi nell’Alleanza. In particolare, Erdogan ha attaccato Stoccolma accusandola di essere «incubatrice di terrorismo». «Ci sono rapporti che dicono che non estraderanno i terroristi in Turchia. Non diremo di sì a coloro che impongono sanzioni contro la Turchia». Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, aveva accusato Svezia e Finlandia colpevoli di aver sostenuto i «terroristi del PKK, che ci attaccano quotidianamente». Nel 2019 i due Paesi hanno istituito un embargo sull’esportazione di armi alla Turchia in seguito all’invasione di Ankara nella Siria settentrionale contro l’esercito kurdo lì stanziato. 

Il 28 giugno il tanto atteso colpo di scena si è materializzato a Madrid con la Turchia che ha ritirato il veto. L'apertura, certificata dal Segretario generale Jens Stoltenber, è arrivata dopo la firma di un memorandum trilaterale tra i due Paesi aspiranti e la Turchia. Un documento in dieci punti, redatto dai ministri degli Esteri dei tre Paesi, che delinea una serie di condizioni, richieste espressamente dal governo turco. Finlandia e Svezia non forniranno supporto a due organizzazioni curde, la milizia YPG (Unità di Protezione Popolare), protagonista dei combattimenti contro l'Isis in Siria, e il PYD (Partito dell'Unione democratica), che rivendica il controllo del Rojava, la parte nord-orientale della Siria. I due Paesi baltici confermano altresì di considerare come un'entità terroristica il Partito curdo dei lavoratori (PKK), come del resto già fanno sia la NATO che l'Unione europea, e si impegnano a perseguire le operazioni sul proprio territorio attraverso le rispettive legislazioni. I tre Paesi istituiscono un meccanismo di dialogo e cooperazione per contrastare il terrorismo e si accordano sulla libera esportazione di armi fra loro, cosa che richiederà un cambiamento dell'attuale regolamento svedese in merito. Ma soprattutto, Helsinki e Stoccolma promettono che «risponderanno in maniera rapida e decisa alle richieste di estradizione di sospetti terroristi inoltrate dalla Turchia», tenendo in considerazione prove e informazioni fornite dall'intelligence di Ankara.

A inizio ottobre, però, Erdogan è tornato a minacciare il suo veto all’adesione di Svezia e Finlandia alla NATO. «Fino a quando le promesse» fatte ad Ankara dai due Paesi nordici «non saranno mantenute», ha detto parlando all’Assemblea nazionale turca, la Turchia «manterrà la sua posizione di principio», ossia contraria al loro ingresso nell’Alleanza atlantica. In quanto agli accordi pattuiti, il presidente turco si riferisce in particolare alla richiesta fatta alla Svezia di non ospitare più rifugiati politici curdi, considerati da Ankara terroristi.

I curdi del Pkk negano di essere responsabili dell'attentato di ieri a Istanbul dopo le accuse delle autorità turche. «Il nostro popolo e il pubblico democratico sanno molto bene che non abbiamo legami con questo incidente, che non colpiremmo direttamente obiettivi civili e che non accettiamo azioni che prendono di mira i civili», ha fatto sapere oggi il PKK in un comunicato pubblicato da Firat, agenzia ritenuta vicina al gruppo armato curdo.
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