Le «lezioni» imparate dalla grandinata nel Locarnese
I segni dei danni provocati dalla colossale grandinata che il 25 agosto si era abbattuta su Locarno, con chicchi di ghiaccio dal diametro fino a sette centimetri, qua e là si vedono ancora a oltre due settimane dal suo passaggio. Certo, l'emergenza è rientrata da un pezzo e soluzioni più o meno provvisorie sono state messe a punto subito. Tetti coperti con teli, pareti di palazzi rovinate, carrozzerie di automobili gibollate e resti di alberi diligentemente ammucchiati sono ancora all'ordine del giorno per le strade città. Il fenomeno, dalla portata epocale, ha permesso agli enti di primo intervento e ai meteorologi di trarre qualche lezione. Da una parte per rispondere meglio a mobilitazioni richieste da simili disastri naturali e, dall'altra, per studiare l'eccezionale dinamica di una grandinata dalle proporzioni così inusuali. «La densità delle segnalazioni che abbiamo ricevuto quella sera tramite la nostra app è stata una cosa mai vista a livello nazionale», sottolinea Luca Nisi di MeteoSvizzera. Sullo schermo della postazione del 41.enne ecco il risultato delle ultime analisi: una mappa estremamente dettagliata dell'evento, realizzata incrociando informazioni satellitari, segnalazioni dei pompieri unite a quelle degli utenti e anche osservazioni fatte sul posto, misurando i chicchi e i loro effetti nei vari punti del distretto. Intanto, ad Arcegno, il vicecomandante della Protezione civile Patrik Arnold (regione Locarno e Vallemaggia) esplora i dintorni dell'area del Villaggio Pestalozzi. Una colonia frequentata da vari gruppi non solo in estate/autunno ma anche nel periodo primaverile. «Le chiamate che avevamo ricevuto quella sera erano davvero tantissime, almeno duecento», osserva il 47.enne, oltrepassando la soglia spalancata di uno dei dormitori. Le pareti sono ancora rigate dal passaggio dell'acqua di quella sera. Il telefono del vicecomandante aveva squillato poco dopo le nove. «Ero di picchietto e, dall'altro capo della cornetta, la polizia ci ha chiesto di intervenire per sfollare una sessantina di persone». Casualmente, si trattava proprio di colleghi in trasferta da Zurigo. «La Protezione civile zurighese stava accompagnando una ventina di ospiti diversamente abili. I loro veicoli erano inutilizzabili e parti del soffitto della struttura avevano ceduto, con l'acqua che pioveva all'interno delle stanze». Il trasferimento degli ospiti nel rifugio di Minusio si è svolto senza particolari problemi. Ma quello era solo l'inizio.
«Appena era arrivato l'allarme ho subito raggiunto le scuole elementari di Losone. La grandine aveva rotto le coperture a lucernario, un centinaio di elementi in plastica e vetro. L'acqua era entrata all'interno della scuola e anche della palestra. C'erano pure vetri rotti sparpagliati sul pavimento. Ricordo bene che la strada di accesso alle scuole si presentava come se fosse inverno, come se avesse appena nevicato. Coperta di ghiaccio. Gli operatori del comune di Losone erano già alle prese con una fresa a neve per garantire l'accesso. Avevamo subito capito la gravità della situazione e la complessità dell'evento. La cosa principale, per noi, era garantire che i servizi d'emergenza fossero funzionanti alla perfezione. Ma erano arrivate moltissime richieste da privati, che ovviamente non potevamo esaudire e non solo perché non rientrano nei nostri compiti».
Già, la Protezione civile aiuta, ma non può salire sui tetti dei privati. «Non abbiamo nemmeno la formazione, è un compito che deve essere svolto dai carpentieri. I quali, fra l'altro, già da subito si erano adoperati quella sera ma anche il giorno dopo e i giorni a seguire, per sistemare queste situazioni». La sorpresa di venerdì sera ha provocato una quantità di danni che potrebbe sfiorare il mezzo miliardo di franchi. «Non è stata solo una grandinata che si è scaricata in un bosco, cosa che potrebbe provocare al massimo lo sfoltimento di qualche pianta, si è scatenata su un centro abitato e in una zona molto estesa, per una ventina di minuti di grandine violenta».
Le risorse messe in campo dalle tute arancioni sono state notevoli. Un centinaio di giorni militi, vale a dire una cinquantina di persone che poi si sono adoperate su più giorni. «Militi che abbiamo fatto intervenire in una quarantina di situazioni». Il giorno dopo, sabato mattina, alla Centrale comune di allarme di Bellinzona (CECAL) si instaura lo stato maggiore di condotta cantonale. Il timore era che l'evento potesse allargarsi a tutto il Ticino, dato che il maltempo non mollava la presa. «In ogni caso, c'era già in servizio una compagnia di Protezione civile della regione del Mendrisiotto, con una sessantina di militi pronti a intervenire su tutto il Cantone. Ogni regione, poi, aveva anche messo in preallerta una ventina di minuti ciascuna».
Militi da Basilea... per caso
In un impianto della Protezione civile Locarno e Vallemaggia, poi, erano ospiti anche altri colleghi della Protezione civile. Questa volta da Basilea, che stavano terminando il loro corso di ripetizione a Lodano. «È stata una vera fortuna», esclama il nostro interlocutore. «Erano una cinquantina di militi che abbiamo potuto impiegare a Ronco sopra Ascona, un anno comune molto, molto toccato dal maltempo».
Sessanta ospiti sfollati da Arcegno, di cui 18 disabili. L'intervento alle scuole di Losone e all'Ospedale La Carità. Sacchi di sabbia da portare a Prato Sornico. Una richiesta per sfollare in maniera preventiva il campeggio Piccolo Paradiso, come pure altri due palazzi a Locarno (altre 60 persone). La messa a punto di una zona di sorveglianza in un paio di punti del riale che stava straripando, sempre ad Arcegno. Tutte operazioni condotte anche in collaborazione con polizia e geologo cantonale, più i vari operatori comunali o delle aziende forestali o della sezione della popolazione cantonale. Le «lezioni» impartite dalla grandinata sono state tante, insomma.
«Abbiamo visto l'entità di un'evacuazione di grande portata, ma abbiamo anche capito il numero piuttosto esiguo di persone che possiamo accogliere nei nostri impianti. Questo sarà anche un tema di discussione per il futuro. Il nostro dovere è quello intervenire nel caso in cui si presentino queste situazioni. Ma vorremmo farlo anche mettendo a disposizione un comfort maggiore alle persone che accogliamo». Il vicecomandante si riferisce agli impianti di protezione civile. «Sono dei rifugi, dei bunker. Vanno bene per un'urgenza di una notte o per due, ma non per periodi più lunghi».
Una mappa dettagliata
Sempre a Locarno, sui Monti della Trinità, il meteorologo Luca Nisi con un clic ferma l'animazione della tempesta di ghiaccio del 25 agosto. La mappa, vista dal satellite, mostra delle macchie di vari colori. «Questi pixel rossi indicano chicchi di grandine superiori ai sei centimetri», dice indicando la scala subito sulla destra, nel suo punto più in alto. In un riquadro a sinistra sullo schermo, un'altra immagine. «Troviamo idrometeore ghiacciate a quote davvero notevoli, a dodici chilometri. D'altronde, questo temporale ha avuto una sommità tra i 16 e i 17 chilometri. Altitudini che appartengono solo ai temporali più violenti». Sarà stato anche per questo motivo che, precipitando da altezze superiori ai voli di linea, un paio di persone erano rimaste ferite e si erano presentate al pronto soccorso.
Un'altra mappa, questa volta con un fondale più luminoso, contiene delle aree rosse dalla gradazione una più intensa dell'altra. «È una mappa molto dettagliata che ha richiesto una serie di analisi fatte anche direttamente sul territorio e rappresenta la traiettoria della grandinata». All'interno delle aree rosse, dei numeri espressi in centimetri. Si va da «2-4 cm» delle aree più chiare ai «5-7 cm» di quella più scura. «La grandinata è stata molto estesa, abbiamo misurato una larghezza superiore a un chilometro. Di norma, questi eventi sono larghi alcune decine di metri, o alcune centinaia. L'area interessata in questo caso, invece, andava dal Lido di Locarno fino quasi alle Terre di Pedemonte».
Un altro clic e parte un'altra mappa, con un'animazione. Il lago di Locarno è colorato di giallo. «Si tratta di un'allerta per raffiche di vento sull'acqua, destinata alle imbarcazioni. Le aree in arancione e rosso rappresentano i due gradi di allerta più alti, il tre e il quattro, che scattano in automatico». Una serie di pallini si sposta da sinistra a destra, seguendo i colori delle allerte nelle varie aree, per poi scomparire. «Sono le segnalazioni di chicchi di grandine dalle dimensioni superiori ai cinque centimetri che abbiamo ricevuto sulla nostra app, MeteoSvizzera, da parte degli utenti. Una frequenza e una quantità che non avevamo mai visto».
Struttura «a cipolla»
La «lezione» della grandinata si è tradotta, per l'istituto federale di meteorologia (di cui proprio a Locarno ha sede il suo centro regionale sud), non solo in una mappa mai così dettagliata sull'impatto dei chicchi di ghiaccio. Sul tavolo, infatti, c'è uno scatto realizzato da Simona Trefalt, che ha dedicato anni di studio al tema, una vera esperta di grandine. Una serie di chicchi di grandine sono messi su uno sfondo scuro. Hanno tutti una forma leggermente differente. Alcuni con segmenti più trasparenti, altri invece sono decisamente opachi, come se fossero di neve compressa. «Questa immagine evidenzia alcune caratteristiche dei chicchi di grandine caduti su Locarno. Caratteristiche che spesso non si riescono a vedere come la loro struttura 'a cipolla'. E gli strati alternati tra quelli più trasparenti e quelli bianchi», sottolinea l'esperto.
«Tra zero meno 15 gradi, diciamo attorno ai 3.000/5.000 metri di altezza e a dipendenza della massa d'aria, le bollicine d'aria hanno tempo di uscire verso l'esterno e rimane un ghiaccio molto puro, appunto trasparente». I tecnici parlano di accrescimento 'caldo' perché le temperature non sono così rigide. «Il chicco di grandine è poi portato ancora più in alto a causa delle correnti ascensionali, attorno ai 6.000 o anche fino a 8.000 metri. Qui fa molto più freddo e il congelamento è nettamente più rapido. Le bollicine d'aria restano quindi incastrate. Il ghiaccio è così invaso dalle bollicine d'aria che lo rendono molto bianco. Al pari degli alberi, possiamo contare gli anelli all'interno di questi chicchi e capire quanti cicli di accrescimento caldo o freddo questo 'ghiacciolo naturale' ha dovuto subire».
Una dinamica caotica, fatta di chicchi che volteggiano vorticosamente a migliaia di metri di quota, verso l'alto o verso il basso. Un mistero che però, finisce a terra. Con tutti i danni del caso.