Locarno, dove volano le aquile (e anche altri rapaci)
Se dici falconeria, pensi subito a... Locarno. Il parco dedicato agli uccelli rapaci inaugurato nel 2007 da Pio Nesa (aperto dalle 10 alle 17 fino al 30 ottobre con due presentazioni al giorno) oggi è una realtà consolidata, la cui popolarità va oltre i confini regionali. Il sogno messo in piedi insieme alla moglie, Anna, negli anni è cresciuto sempre di più e oggi conta una quarantina di specie. Dagli allocchi ai gufi, dalle aquile agli avvoltoi, i rapaci sono i grandi protagonisti. Ma ci sono anche cavalli, cani lupo, carpe (che i bimbi possono divertirsi a nutrire con degli appositi biberon, ndr) e tanti altri animali alati, esotici e non.
«Tutto costruito nel tempo. Di nostra iniziativa e senza chiedere finanziamenti nessuno», afferma orgoglioso il titolare attraversando la grande tribuna di 600 posti, in inverno riscaldata, dopo aver rimirato gli antichissimi ulivi. Le preziose piante sono una delle ultime “aggiunte” alla struttura, che occupa oltre settemila metri quadrati tra voliere, aree di ristoro, la cornice delle presentazioni e degli spettacoli e - soprattutto - tanto, tanto verde.
«Dall'esterno non penseresti mai che sia così grande. È una vera e propria oasi in centro città», dice entusiasta Francesca Palamara, 28 anni e falconiera quasi per caso. Ha varcato la soglia sette anni fa proponendosi come grafica e si è innamorata dell'antica tradizione della falconeria, scegliendo così di seguire la formazione proprio qui, a Locarno. Lei è una delle nove persone che lavorano stabilmente nel centro. Poco oltre lo spazio della tribuna, ecco Anna Nesa con un rapace appollaiato al guanto in pelle, rigorosamente sulla mano sinistra. «Lui si chiama Cookie, è nato quest'anno. Proprio qui da noi, in falconeria». L'allocco della Lapponia, una sorta di grande gufo dalle piume grigie, sbatte le gigantesche ali ma la donna non si scompone, distende il braccio per allontanarlo da sé e piega leggermente la testa all'indietro. «Ma c'è anche un'altra sorpresa, sempre quest'anno: la nostra nuova fiaba, intitolata La piuma d'Oro, uno spettacolo originale che presentiamo insieme a molti nostri animali».
Una nuova fiaba
«Molte persone che arrivano per vedere lo spettacolo ci chiedono se il parco si può visitare. "C'è qualcosa da vedere?"... restano stupiti di tutto quel che si trova all'interno», dice ancora Francesca. «Sì, è proprio una fortuna lavorare qui». Intanto Pio si è accomodato a uno dei tavoli in sasso. E racconta l'origine della nuova fiaba. «Abbiamo iniziato a pensarla almeno sei o sette anni fa. Ne volevamo una nostra, originale, non l'adattamento a una già esistente. Abbiamo lavorato con tanti registi, ad esempio con Fabio Fusco, che ha diretto anche Nancy Brilli, oppure con Luigi Sala, che ha collaborato anche con il Teatro dei Fauni... Ma l'ultimo anno è stato decisivo, abbiamo davvero spinto il progetto insieme alla regista Stefania Mariani. Ci ha dato un grande aiuto a concretizzare tutto».
E così, oggi il progetto vede la luce. «Il problema della fiaba - spiega Nesa - è che per un'ora tutto deve filare liscio. Gli inconvenienti, ormai, ci sono sempre. Perché si lavora con gli animali, dobbiamo rispettarli e capire i loro tempi, che ogni volta sono diversi». Il suo bilancio delle prime rappresentazioni al pubblico è positivo: «L'abbiamo fatta e alla fine eravamo tutti contenti. Anche gli spettatori hanno reagito bene. L'abbiamo provata davvero tante volte, questa fiaba. Forse troppe! A un certo punto ho sentito che era il momento. "Se non lo facciamo ora, continueremo a inseguire una perfezione irraggiungibile", ho detto. E per fortuna abbiamo debuttato».
Costumi e saluti
«Un'altra grande sfida, nell'allestimento della coreografia della fiaba, è stata far abituare i vari animali a vederci con i nuovi costumi. Bastano dei colori un po' più forti, oppure la stoffa che si muove... e possono avere qualche istante di esitazione, oppure confondersi», sottolinea Palamara. «Ogni esemplare ha la sua personalità, te ne accorgi dopo un po' che sei a contatto diretto con loro quotidianamente. Anche se sono della stessa specie, c'è qualcuno più timido, altri più coraggiosi o che si trovano bene insieme alle persone. Hanno un modo tutto loro di mostrare affetto e di salutarci, perché comunque distinguono molto bene le persone. Le cicogne, ad esempio, quando ti avvicini iniziano a battere il becco... mentre loro (indica il rapace sul suo guanto, ndr) muovono la testa in un certo modo, da sinistra a destra, alzando e abbassando il collo. È molto bello sapere che sono affezionati a te», dice la ragazza.
Non è tutto rose e fiori
Dal sogno dell'antica tradizione della falconeria che si materializza ogni giorno a Locarno alla realtà, il passo è breve. E lo ricorda proprio il fondatore e titolare della Falconeria di Locarno: «Molti guardano lo spettacolo e si dicono "Ah, che bello fare il falconiere...", ma non vedono quel che c'è dietro le quinte. Anni di addestramento, gli allenamenti, la cura e la pulizia degli animali, il tempo da dedicare loro. Non è tutto rose e fiori, insomma. Devi avere la passione, devi averlo nel sangue e devi portartelo dentro. Non puoi farlo solo per arrivare a fine mese per lo stipendio», afferma il 41.enne, che ha svolto il suo apprendistato all'estero e ricorda il suo primo incontro con un falconiere a Siena, nell'abbazia di San Galgano, a 12 anni. «Aveva portato il suo falco pellegrino fuori dal parco, per farlo volare sopra un campo di grano. L'ha chiamato al logoro (un arnese che, agitato, permette di richiamare il rapace, ndr) ed è volato in picchiata dalla cima del cielo». È lì che Pio Nesa capisce cosa vuol fare nella vita.
Anche il fisico costituisce un aspetto importante nella professione. Ci si muove, e tanto. «Chi lavora qui e mette il contapassi sul telefono, vede che in una giornata si percorrono fino a venti chilometri, tutti qui all'interno del parco».
Dalla scrivania alle voliere
Anna Nesa, moglie di Pio, è partita da una professione più “standard”: «Lavoravo in un ufficio, ma ho poi deciso di seguire mio marito in quest'avventura. All'inizio era piuttosto difficile, perché dovevamo farci conoscere. Ma, dopo qualche anno, abbiamo visto che l'attività funzionava e che era apprezzata da tutti. Certo, non ho abbandonato del tutto il lavoro alla scrivania, perché anche qui mi occupo di amministrazione», dice. Mentre l'allocco riprende a sbattere le ali, incuriosito. Forse ha capito che tra poco si apriranno le casse e il parco si animerà di famiglie.
«Il bello, però, è proprio avere la possibilità di dedicarsi a questi splendidi animali. Vedere come interagiscono tra loro, il carattere di ogni esemplare... mi piace anche il percorso di preparazione, uscire con loro già da piccoli e far conoscere loro, piano piano, persone nuove», spiega mentre Cookie sembra avere un'aria compiaciuta. L'esperta, infatti, sta massaggiando il piumaggio dell'animale che ora è decisamente più tranquillo.
Il corvo parlante
Francesca racconta anche un curioso "incidente" capitato qualche tempo fa: «Avevamo un corvo che parla», premette. Un corvo che parla? «Sì, perché hanno parecchie corde vocali e riescono a imitare bene anche la voce umana», aggiunge. «Tanto che, una volta, stavo pulendo delle voliere e sentivo la voce di un'altra nostra collega. Io le parlavo, però rispondeva un po' distrattamente. Ho pensato che fosse concentrata sul suo lavoro. A un certo punto mi giro e passa proprio la ragazza con la quale ero convinta di parlare! Dietro la voliera c'era lui, il corvo parlante. La ragazza ci ha lavorato così tanto che lui è stato in grado di imparare a imitare la sua voce».
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