«L’ostilità di Vance per l’Europa risponde a logiche neoimperiali»

Il Daily Star è «soltanto» un tabloid britannico, e nel panorama mediatico si comporta quindi con i tic tipici dei tabloid d’Oltremanica. Ma il titolo scelto ieri per la sua prima pagina merita una riflessione. «Is THIS the most dangerous man in the world?». Con una freccetta che partiva da «THIS» per arrivare al volto di JD Vance. Il vicepresidente americano in carica è l’uomo più pericoloso del mondo? Spiegazione del tabloid: «Odia la Gran Bretagna, odia l’Europa e odia l’Ucraina. E potrebbe essere presto presidente degli Stati Uniti».
Il delfino designato
Sicuramente non stiamo parlando di un vice come tutti gli altri. Nessuno lo ha mai considerato tale. D’altronde si è subito presentato come un personaggio ingombrante, di primo piano più che di semplice appoggio/supporto. Dotato di eloquenza non indifferente - si veda il successo del suo libro autobiografico Elegia americana -, si era inizialmente fatto notare come potenziale avversario di Donald Trump in termini di filosofia politica. Aveva definito il tycoon come un «aspirante dittatore», oltre che come un «idiota». Da lì alla vicepresidenza, il passo è stato paradossalmente breve. E in queste prime settimane in carica, ha già dimostrato la sua personalità, oltre che il suo peso. «No, non è un vice come gli altri, non è un vice alla Mike Pence», risponde Mario Del Pero, professore di Storia internazionale all’università parigina di Sciences Po. «A meno di cataclismi e di ulteriori accelerate in questa deriva autoritaria che stiamo osservando, Trump non si candiderà a un terzo mandato, e quindi il suo attuale vice sarà quasi naturalmente il delfino designato a correre nel 2028, che è dietro l’angolo». Del Pero fa notare come Vance sia un leader politico ancora giovane, ha 40 anni, quindi esprime «la faccia di un rinnovamento, di un rinnovamento della destra, che si manifesta attraverso una radicalizzazione di questa destra. È una figura radicale, destinata a rappresentare questo nuovo volto del nazionalismo conservatore statunitense. Inoltre è una figura oggettivamente sofisticata, molto meno greve di Trump». Forse anche per questo è meno popolare, almeno per il momento. «Va anche considerato che è un uomo di Peter Thiel, il quale rappresenta un pezzo di quella Silicon Valley schieratasi con Trump. È quindi un rappresentante anche di queste tecno-oligarchie che ambiscono a giocare un ruolo nuovo, più centrale, nel governo degli Stati Uniti, nel governo delle cose del mondo».
Una vicenda significativa
Vance sin qui si è mostrato molto leale nei confronti di Trump, pur senza rinunciare alla propria personalità. È chiaro che lo stesso presidente non avrà gradito quanto emerso dalla chat «segreta», il fatto che Vance abbia criticato la politica estera di Trump, in particolare sull’Europa, parlando anche - e chiaramente - di «errori» di valutazione. Poi il direttore della comunicazione del vicepresidente ha messo una toppa: «Vance sostiene inequivocabilmente la politica estera di questa amministrazione». Il professor Del Pero riflette: «Non credo che la vicenda della chat avrà strascichi interni così pesanti. Vediamo se il Congresso finirà per investigare. Però anche lì Trump schiocca le dita e senatori e deputati si rimettono subito in riga. Ma certo è una vicenda significativa per più motivi». In primis, per «lo straordinario, caricaturale, dilettantismo di queste persone, a cominciare da Pete Hegseth, il segretario della Difesa americano, la cui esperienza si limita a un ruolo minore nell’esercito e poi a quello di commentatore televisivo». Il secondo punto evidenziato da Del Pero è «il disprezzo di norme e regole sulla gestione delle comunicazioni sensibili». Infine va considerata, certo, «l’ostilità verso l’Europa».
Il disprezzo
Eccoci, al punto che ci riguarda più da vicino. JD Vance aveva attaccato l’Europa già a Monaco, un mese fa: «La minaccia che mi preoccupa di più nei confronti dell’Europa non è la Russia, non è la Cina, ma è quella che proviene dall’interno, il ritiro dell’Europa da alcuni dei suoi valori fondamentali». Nella chat si è mostrato nuovamente ostile. Si è parlato di «parassiti europei», di «odio». E Vance ha scritto: «Non sopporto di dover salvare di nuovo gli europei». Del Pero: «Non è un’ostilità nuova, è antica anzi quanto la relazione transatlantica stessa e ha origini bipartisan. In passato, anche molte amministrazioni democratiche avevano espresso critiche analoghe nei confronti dell’Europa. Certo, oggi i toni sono diversi e rimandano a un antieuropeismo che pure ha origini profonde nella cultura politica statunitense, e in particolare della destra. D’altronde, se vogliamo trovare un elemento fondativo del nazionalismo trumpiano, di MAGA, be’ l’antieuropeismo e l’eurofobia un po’ lo rappresentano. Per questo nuovo ceto politico di destra, l’Europa non è più un partner, né subalterno né complicato, con cui avere un rapporto dialettico, talvolta magari anche conflittuale, bensì è un attore altro. Gli Stati Uniti si definiscono in antitesi rispetto all’Europa, di colpo antagonista, rivale. Nella retorica della nuova destra americana, sarà questa la rappresentazione dell’Europa». E torniamo alla domanda iniziale, quella del Daily Star. È corretto ritenere Vance un pericolo per la nostra sicurezza? Mario Del Pero ammette: «L’amministrazione Trump sta perseguendo una politica di potenza, una Realpolitik, abbastanza grossolana, che tende a misurare tutto in termini di rapporti di forza. È una politica neoimperiale». Una differenza sostanziale, rispetto alla prima amministrazione Trump, più provinciale. «Qui siamo di fronte a una logica neoimperiale», ripete Del Pero, il quale ricorda come, nel discorso inaugurale, Trump avesse subito indicato l’espansione territoriale come uno degli obiettivi della politica estera statunitense. «C’è un salto rispetto al passato, una torsione per il momento primariamente retorica, che però si esprime anche in alcuni atti appunto neoimperiali. Ed è una logica in virtù della quale, poi, gli interlocutori da rispettare sono gli altri imperi. Che l’altro impero sia quello cinese e che tutto sia piegato a questa competizione con la Cina, questo è un altro aspetto ancora».