«Mattoncino dopo mattoncino, ecco il mio castello di Locarno»

Maurizio Battaglia, titolare di un’impresa di pittura, apre la porta del suo ordinatissimo appartamento di Ascona. Luminoso, dall’arredo moderno. Su un paio di ripiani, alcuni corredi Lego assemblati: una casa medievale, dei fiori a grandezza naturale, persino un veliero dalla stazza piuttosto notevole. «Questo è d’epoca, risale agli anni Ottanta», indica il 55.enne. E poi, sul tavolo del soggiorno, eccolo lì: il castello Visconteo di Locarno. La porzione ben visibile ancora oggi dalla strada, quella classica che si trova su tutte le cartoline della Città. Riconoscibilissimo, nonostante sia - pure lui - realizzato con i popolari mattoncini di plastica. «Ma l’ho riprodotto integralmente com’era al suo massimo splendore». L’opera, con tanto di porto, ponte levatoio, torre e rivellino leonardesco, è in esposizione da sabato scorso sino a fine ottobre, all’interno del maniero «vero».
Quasi dieci chili di peso
«È la cosa più grande nel suo genere che io abbia mai costruito, e questa è la seconda versione del monumento», ricorda l’imprenditore al Corriere del Ticino. «Perché una decina d’anni fa ne avevo messa insieme una dalle misure inferiori, un paio di metri per lato. Qui, invece, siamo quasi a tre per tre», esclama fiero. «Ho perso il conto, ma stimo almeno 50.000 pezzi», aggiunge. «Peserà dai cinque ai dieci chili e mi sarà costata sui 10.000 franchi, senza calcolare poi le ore che ci ho dedicato nel mio tempo libero, attorno alle trecento nell’arco di un anno». Ma - alla fine - eccolo lì, in tutto il suo splendore. Mostrato per la prima volta nel corso dell’ultima edizione di Ticino Brick 2024, svoltasi in ottobre a Giubiasco.


Le altre «fatiche» simili
«Anche il primo aveva attirato molti curiosi. E pure quello era stato “ospitato” all’interno del suo “originale”, o perlomeno quel che ne resta». Un risultato frutto anche di una ricerca approfondita: «Si tratta di una struttura complessa, demolita e modificata più volte nel corso dei secoli. Occorre conoscere la storia, le tecniche di edificazione dell’epoca, ma anche come rendere al meglio materiali e superfici usando i blocchetti. Molte cose le imparo dalle scene pronte da montare in vendita nei negozi e ho notato pure un’evoluzione, questo è uno dei motivi per il quale ho voluto creare di nuovo la fortezza da zero».
Il nostro interlocutore, in passato, ha «composto» con lo stesso sistema e la stessa attenzione svariate «fatiche», ispirate a manufatti simili nella Svizzera italiana, rimasti più o meno intatti, da Muralto ad Ascona, passando per Bellinzona, Mesocco e altre località.
Abbattuto e ricostruito più volte
Battaglia (il cui nome manco a farlo apposta è un gioco di sponda con la sua passione), da vero esperto afferma che avrebbe potuto impiegare mezzi informatici per facilitare i compiti, ma ha sempre rifiutato: «Ho provato, ma non fa per me. A mano è più genuino e più realistico a livello di processo. Certo, è molto impegnativo, ma è anche simile a quanto è successo nella realtà. Le roccaforti non sono mica state costruite usando i computer. Inoltre, vuoi per le guerre, per il cambio di potere o di famiglia, ampi settori andavano abbattuti e poi rifatti. È il mio stesso sistema, con il vantaggio di non dover spostare tonnellate di pietre nella fretta imposta da questioni belliche», dice sorridente rimirando l’ultimo capolavoro.
Tra schizzi e calcoli
Il virtuoso del gioco di origine danese mostra alcuni schizzi con una serie di calcoli per capire i pezzi, i colori e le dimensioni richiesti da ognuna delle sezioni della sua creazione. Un lavoro minuzioso, accompagnato da un raccoglitore con testi e fotografie, una sorta di libro compilato da lui stesso, con le fasi principali che hanno caratterizzato l’edificio foritificato. «Ho svolto numerosi sopralluoghi, ispirandomi soprattutto al castello degli Sforza a Milano che ha molti punti in comune con quello di Locarno. Basti pensare che le due località, all’epoca, erano collegate tramite il lago e i canali. Era un’autostrada, insomma. Non si passava certo dal Ceneri, come accade oggi».
Un altro punto emerso dai suoi studi, sta nell’efficacia: «In realtà, gli svizzeri non l’hanno mai espugnato, perché sono riusciti a impadronirsene soltanto in seguito a una serie di accordi postbellici». Uno dei tanti aspetti affascinanti che il pubblico può apprezzare dal vivo con la riapertura stagionale del Museo che lo sta ospitando.