Che cosa abbiamo imparato dalle presidenziali francesi?
Dove eravamo rimasti? Ah, sì: Emmanuel Macron ha respinto l’assalto di Marine Le Pen e dell’estrema destra al primo turno delle presidenziali francesi. Secondo gli analisti, tuttavia, lo scontro al ballottaggio sarà molto più teso e tirato rispetto a cinque anni fa. Ne vedremo delle belle, insomma.
Vero, i sondaggi indicano che l’attuale presidente riuscirà a strappare un altro mandato. I risultati, tuttavia, suggeriscono che Macron non può dormire sonni tranquilli da qui al 24 aprile. Le Pen, infatti, potrà contare sui voti di Eric Zemmour mentre Jean-Luc Mélenchon ha un elettorato molto eterogeneo e, quindi, in un certo senso potrebbe contribuire all’incertezza.
Ma quali insegnamenti possiamo trarre da questo primo turno? Proviamo a capirlo assieme, a freddo.
Europeisti contro nazionalisti
Il ballottaggio Macron-Le Pen, di fatto, conferma la tendenza del 2017: in Francia, oramai, non ha più senso parlare di destra e sinistra. Esistevano ed esistono, semmai, un fronte nazionalista e un blocco, chiamiamolo così, europeista. Di cui l’attuale presidente è portavoce.
Entrambi i candidati, ad ogni modo, hanno migliorato il risultato di cinque anni fa. Macron, in particolare, è salito dal 24% del 2017 al 27,6% di domenica. Le Pen è passata dal 21,3% al 23,4%.
Il divario fra i due, più netto rispetto all’ultima volta, dimostra che Macron ha saputo vincere le controversie delle ultime settimane e raccogliere, nonostante tutto, più consensi. Con Zemmour e Nicolas Dupont-Aignan, per contro, Le Pen può immaginarsi al 30%.
Zemmour e la destra
Chissà, forse qualche mese fa Zemmour sarebbe arrivato secondo alle spalle di Macron. Questo, almeno, sembrava il destino dell’opinionista televisivo, 63 anni. L’ex Figaro, invece, è crollato a causa delle sue posizioni poco credibili riguardo alla guerra in Ucraina e, peggio, per via delle parole al miele che, in passato, aveva speso per Vladimir Putin.
Digerito, male, il misero 7% al primo turno, Zemmour si è precipitato fra le braccia di Le Pen assicurandole un rapido appoggio. Più che per affinità elettive, oseremmo dire, l’endorsement va inteso in ottica anti Macron: «C’è un uomo che ha fatto entrare 2 milioni di immigrati e che, quindi, farebbe peggio se fosse rieletto» le parole di Zemmour.
Significa che, a lungo termine, ci sarà un’alleanza di destra? Sì, no, forse. Due eurodeputati che hanno lasciato il partito di Le Pen per unirsi a Zemmour non vorrebbero un matrimonio con Ressemblement National in caso di successo al secondo turno.
La variabile Mélenchon
Per rispondere alla domanda delle domande – chi sarà il prossimo «re» di Francia? – dati alla mano bisognerà passare da lui. Jean-Luc Mélenchon, il rastrellatore dei voti di sinistra volendo ricorrere a un’espressione gergale. Con il 22% delle preferenze, è la più grande sorpresa del primo round. Sì, era prevedibile un’ascesa del genere. I sondaggisti lo avevano pure detto. Ma nessuno si aspettava che Mélenchon potesse avvicinarsi così tanto a Le Pen.
I suoi elettori svolgeranno un ruolo chiave al ballottaggio. Il diretto interessato, a precisa domanda, ha ripetuto che nessun voto dovrà andare alla destra. Ma chi ha votato Mélenchon si atterrà a questo assioma?
Secondo un sondaggio pubblicato domenica, quasi la metà degli elettori di Mélenchon potrebbe astenersi al secondo turno. Il resto, invece, si dividerà fra i due candidati.
La fine dei partiti storici
Macron, nel 2017, aveva iniziato a scavare un fossato fra il nuovo che avanza e i partiti classici. Il primo turno delle presidenziali 2022, per certi versi, rappresenta il completamento dell’opera. Socialisti e Républicains, infatti, sono usciti con le ossa rotte e difficilmente rialzeranno presto la testa. Valérie Pécresse, al 5%, ha causato un doppio imbarazzo: si tratta del risultato più basso nella storia del partito e, peggio ancora, rischia di non consentire ai Républicains di ricevere il rimborso spese della campagna.
A fine voto, ancora, sono emerse di nuovo le divisioni interne di vecchia data: Pécresse ha ribadito il suo sostegno a Macron, Eric Ciotti – il rivale più a destra – no.
A sinistra, pensiamo al sindaco di Parigi Anne Hidalgo, al 2%, è andata pure peggio.
Astensionismo? Non proprio
Si è parlato, infine, moltissimo di astensione. Stimata al 26%. Più alta rispetto al 2017, quando si attestò al 23%, ma inferiore al 2002 quando il 28,5% dei francesi rimase a casa. Inferiore, soprattutto, alle stime dei sondaggisti secondo cui – al primo turno nel 2022 – non avrebbe votato il 30% degli aventi diritto.