Fra Chernobyl e Zaporizhzhia: «Bandiamo la guerra, non l'atomo»
«I russi hanno preso il controllo di Chernobyl». Basta il nome della cittadina ucraina: in un attimo la mente collettiva europea trema, correndo a quel 1986. A quando le radiazioni provenienti dall'impianto sovietico hanno invaso e contaminato il continente. E se già l'Europa guardava con preoccupazione all'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, le violente conquiste della vecchia centrale in disuso e di quella di Zaporizhzhia hanno definitivamente risvegliato l'incubo di una deriva atomica del conflitto. Ma quali sono i rischi concreti che si corrono a portare la guerra in stabilimenti così delicati? Ne abbiamo parlato con Horst-Michael Prasser, professore emerito al politecnico di Zurigo dove ha insegnato Sistemi di energia nucleare, attivo dagli anni '80 nel settore atomico.
Un impianto sicuro
Nelle scorse settimane i combattimenti registrati attorno alla centrale di Zaporizhzhia hanno messo in allerta il mondo. Dopo il verificarsi di un incendio, era stata diffusa la notizia, poi smentita, che il livello di radiazioni attorno all'impianto avesse fatto registrare un aumento. Nei giorni seguenti l'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA) aveva messo il pericolo in prospettiva: l'impianto decisamente più moderno può resistere a gravi danni prima di scatenare una catastrofe come quella di Chernobyl.
«I reattori di Zaporizhzhia hanno un design completamente diverso», conferma Prasser. «C'è solo acqua come moderatore (materiale che rallenta i neutroni veloci prodotti dalla fissione nucleare, ndr) e non c'è grafite nel reattore, che è stata la causa principale dell'esplosione a Chernobyl. A Zaporizhzhia i sei reattori hanno diversi sistemi di raffreddamento di emergenza, compresi i generatori diesel di emergenza e un robusto contenimento. Ci vorrebbe un bombardamento intenzionale, doloso, per causare un grave disastro. Questo non è successo finora e spero che le forze armate rispettino anche in futuro la Convenzione di Ginevra che vieta un attacco del genere».
Da Chernobyl pericoli locali
A Chernobyl la situazione è diversa. Nonostante l'esplosione al reattore numero 4 che causò il disastro, la centrale venne mantenuta attiva e fino al 2000, anno in cui cominciò il vero processo di dismissione, continuò a produrre elettricità. Ma a quarant'anni da quel fatidico giorno, e ormai spenta, perché l'interruzione di elettricità (ora apparentemente risolta, fa sapere l'AIEA) ha messo in allarme esperti e non? Si tratta di preoccupazioni giustificate?
«A Chernobyl ci sono grandi piscine d'acqua per lo stoccaggio del combustibile esaurito di tutte e quattro le unità del reattore, ma a causa del lungo tempo passato da quando il combustibile è stato rimosso dai reattori, la produzione di calore è già così bassa che non può aumentare significativamente, anche se non ci fosse alcun raffreddamento ad acqua», spiega Prasser, che specifica: «Senza un forte riscaldamento, non c'è possibilità di un grande rilascio di materiale radioattivo. Questo è il motivo per cui l'AIEA è giunta alla conclusione che non c'è un pericolo grave». Insomma, anche per l'Ucraina stessa, se il buio dovesse tornare a calare sulla tristemente famosa centrale, le conseguenze potrebbero non essere devastanti. Tanto meno per l'Europa: se la corrente dovesse mancare alle piscine di stoccaggio, sottolinea il professore, «gli effetti rimarranno locali e difficilmente supereranno distanze moderate o raggiungeranno il resto d'Europa».
Il futuro dell'atomo
I rischi corsi a Zaporizhzhia, però, potrebbero spingere il mondo a rivalutare il nucleare: in caso di conflitti, il danneggiamento intenzionale delle centrali potrebbe avere conseguenze devastanti. Nulla a che vedere con la distruzione di una centrale idroelettrica o eolica, insomma. I Paesi che, come la Francia, stavano puntando alla costruzione di centrali atomiche potrebbero ora tornare sui propri passi? O centrali di nuova generazione potrebbero essere rese davvero sicure? «I nuovi reattori costruiti ora sono indipendenti dall'alimentazione di emergenza grazie all'uso di sistemi di sicurezza passiva e hanno contenitori ancora più forti, simili concettualmente a bunker», spiega Prasser. «Si tratta di una protezione molto migliore anche in caso di attacchi armati rispetto alla sicurezza della maggior parte degli impianti attualmente in funzione. Tuttavia, non c'è un rischio zero. Pesanti attacchi militari rimarranno sempre un potenziale pericolo per le centrali nucleari, con il rischio reale di causare gravi disastri nucleari». Ma il «no» deve essere detto alla guerra, non all'atomo: «Non c'è speranza che l'umanità possa risolvere minacce così tremendamente grandi come il cambiamento climatico, la povertà e la fame, se le guerre continueranno a uccidere esseri umani e a distruggere le basi del progresso. Per avere futuro, e non temerne gli effetti sul nucleare, ad essere bandita deve essere la guerra: il più grande disastro possibile».