L'attentato a Shinzo Abe cambierà il rapporto del Giappone con le armi?
Un tranquillo venerdì mattina giapponese si è trasformato improvvisamente in un incubo. L'attentato all'ex premier nipponico, Shinzo Abe, ha sconvolto tutto il mondo. Dopo essere stato tramortito da due colpi di arma da fuoco mentre si trovava a Nara, per una campagna elettorale del Partito Liberal Democratico, il 67.enne è stato trasportato con urgenza in ospedale, dove è deceduto qualche ora dopo a causa delle ferite letali. Ogni tentativo di rianimazione è stato vano. L'attentatore, un 41.enne arrestato subito dopo aver colpito, ha riferito alla polizia di aver agito senza alcun rancore politico. Una fine triste, inaspettata, che forse si poteva evitare. Dopotutto, il Giappone è famoso per essere uno dei Paesi dove si registra il più basso tasso di crimini con armi da fuoco. Il possesso di armi, così come gli incidenti ad esse collegati, sono eventi rari. Ecco perché quanto successo nelle scorse ore nel Paese assume un sapore ancora più amaro.
La lunghissima procedura
Lo scorso anno nella capitale Tokyo si sono registrati zero casi di incidenti legati alle armi da fuoco. Come riportato da Bloomberg, i dati pubblicati sul sito GunPolicy.org parlano chiaro. Il numero di armi in possesso di civili nel 2019, tre anni fa, era di 310.400 unità, il che significa che erano 0,25 su 100 le persone armate nel Paese. Si tratta del livello più basso registrato tra i Paesi del G7. Nulla a che vedere con i dati di altre nazioni, come il Regno Unito, dove si parla di 5 persone in possesso di armi ogni 100, oppure degli Stati Uniti, dove sono 393 milioni le armi appartenenti ai civili (vale a dire che su 100 persone, sono 120 le persone a possederne, facendoci intuire che alcuni individui siano dotati di più di un'arma). Oltretutto, ottenere armi in Giappone è tutt'altro che semplice. Per un civile, riuscire a entrare in possesso di un fucile da caccia, sportivo o ad aria compressa è necessario seguire un'intensa procedura di licenza e di controllo dei precedenti. Le pistole, invece, non sono consentite dalla legge. Ma non finisce qui. Il processo per ottenere il porto d'armi in Giappone è infatti molto più lungo e complesso di quello che si possa pensare. I richiedenti, dopo aver fatto domanda, sono obbligati a frequentare un corso di un'intera giornata. Facile? Non proprio. Oltre alla giornata di formazione, infatti, si aggiungono due ulteriori prove: quella di un test scritto e quella di tiro al poligono con una precisione almeno del 95%. E come se non fosse abbastanza, chiunque voglia ottenere un fucile deve prima sottoporsi anche a una perizia psichiatrica, oltre che a un test anti-droga e a un rigoroso controllo dei precedenti penali, tra cui figurano l'esame della fedina penale, dei debiti personali e e del coinvolgimento nella criminalità organizzata. Da ultimo, vengono analizzati anche i rapporti con familiari e amici, per scovare possibili tensioni all'interno delle relazioni personali. Dopo essere riuscito a entrare finalmente nel possesso dell'arma, il proprietario deve registrarla presso la polizia, fornendo anche dei dettagli sul luogo in cui verrà conservata, insieme alle munizioni, che devono rigorosamente essere poste in comparti separati e chiusi a chiave. E c'è ancora un ultimo passaggio. L'arma così difficilmente guadagnata sarà ispezionata dallapolizia una volta all'anno, mentre il proprietario dovrà obbligatoriamente sostenere un esame ogni tre anni, per rinnovare la licenza.

Eventi estremamente rari
Ma con delle procedure di questo tipo, che potrebbero scoraggiare i più, come è stato possibile un attentato come quello che ha turbato la tranquilla quotidinianità di Nara? Secondo William Cleary, professore di diritto penale all'Università di Hiroshima Shudo, sparatorie di questo tipo sono estremamente rare, e forse è proprio per questo motivo che è stato così facile eseguire quella che ucciso Shinzo Abe. Il colpo che ha tolto la vita all'ex premier nipponico, tra le cose, sembra essere partito da un fucile da caccia fatto in casa. Una specie di doppietta a canne corte di fattura artigianale, che l'attentatore aveva accuratamente nascosto in una borsa. A nulla, infatti, è servita la presenza degli agenti di sicurezza: l'aggressore ha avuto la meglio ed è riuscito ad avvicinarsi alle spalle dell'ex premier, sparando il colpo letale a una distanza molto ravvicinata. «È stato scioccante. Non avrei mai pensato che una tale catastrofe potesse accadere in una cittadina di campagna», ha confessato Yuki, una 42.enne del posto intervistata da Bloomberg. La donna era intenta a fare acquisti in una farmacia nelle vicinanze, quando Shinzo Abe è stato colpito a morte. «Il luogo dell'attacco è vicino a uffici, banche e centri commerciali. È conosciuto per essere un posto molto sicuro. Mi sono spaventata quando ho appreso che si trattava di un crimine commesso con armi da fuoco».
I precedenti in Giappone
Nonostante siano pochi e isolati gli attentati di cui è stato vittima il Giappone negli ultimi secoli, il Paese nel suo passato non è stato esente da episodi di violenza come quello che ha colpito l'ex premier. Uno fra tutti, colpì proprio il nonno materno di Shinzo Abe, l'ex primo ministro Nobusuke Kishi. Era il 1960 quando l'uomo fu dapprima aggredito e poi accoltellato, proprio durante i suoi ultimi giorni di mandato. Kishi fu però più fortunato del nipote e riuscì a sopravvivere, morendo quasi trent'anni dopo, per altre cause, nel 1987. Bisogna però fare un salto nel tempo di 90 anni per ritornare all'ultimo attentato, prima di quello odierno, che ebbe come vittima un primo ministro. Nel 1932, infatti, Tsuyoshi Inukai fu ucciso nel suo ufficio dal personale della Marina, che complottava per provocare una guerra con gli Stati Uniti. Addirittura, il Paese aveva cercato di uccidere Charlie Chaplin, che in quel periodo era in visita in Giappone. E non è tutto. Risale al 2007, infatti, l'ultimo attacco a un politico giapponese. In quell'anno, ad avere la peggio fu il sindaco della città meridionale di Nagasaki, che venne ferito a morte dai colpi di pistola inferti mentre usciva dalla stazione ferroviaria.

«Culturalmente insondabile»
Da 15 anni, ossia dall'attentato al sindaco di Nagasaki, il Giappone ha cambiato le carte in tavola, per evitare che tragedie di questo tipo si ripetessero nuovamente. Come evidenziato dalla CNN, a partire da quell'anno, la nazione ha inasprito i controlli sulle armi, imponendo pene più severe anche per i reati commessi dai membri di bande di crimanlità organizzata. Dopo la revisione del 2007, il possesso di un'arma come parte di un'organizzazione criminale può portare fino a 15 anni di carcere. Allo stesso modo, è illegale anche possedere più di un'arma a persona. Coloro che si appropriano di più unità rischiano infatti una pena detentiva di 15 anni. Purtroppo, però, anche con questi inasprimenti, la tragedia di oggi non è stata fermata. E c'è di più. La sparatoria a Shinzo Abe non è stata solo un evento raro. Come ha dichiarato alla CNN Nancy SHow, direttrice per l'International Security Industrial Council giapponese, quello che è accaduto al premier è qualcosa di «culturalmente insondabile». «I giapponesi non riescono a immaginare di vivere in un Paese con una cultura delle armi simile a quella che è presente negli Stati Uniti». La donna si interrompe. Non trova le parole per descrivere la disgrazia che è piombata sulla città di Nara questa mattina. Di una cosa, però, è certa: «Questa sparatoria cambierà il Giappone per sempre».