Il parere

«Trump si è spaventato e ha implorato gli altri governi»

Fabio Sabatini, professore di Economia Politica alla Sapienza di Roma, ha commentato a caldo l'inversione a U del presidente statunitense in merito ai dazi
© AP/JEON HEON-KYUN
Red. Online
10.04.2025 10:30

Sarà guerra (commerciale) fra Cina e Stati Uniti? Sì, no, forse. Dopo cinquant'anni di relazioni quantomeno complicate, Pechino e Washington sono ai ferri corti. Certo, Donald Trump nel commentare la giornata di ieri ha riservato, in parte, parole al miele per il leader cinese Xi Jinping: «È un uomo intelligente, faremo un buon accordo». E ancora: «Ama il suo Paese. Xi sa benissimo che cosa deve fare, ci faremo una telefonata e sarà tutto risolto». Sarà, intanto però il tycoon ha alzato i dazi nei confronti di Pechino al 125% in risposta, evidentemente, al +84% imposto dalla Cina a mo' di contromisura.

Su X, il professore di Economia Politica alla Sapienza di Roma Fabio Sabatini ha commentato, a caldo, quanto sta accadendo. Attraverso un thread. «È Trump – ha esordito – che ha implorato gli altri governi di trattare e sta facendo temporaneamente molti passi indietro, fino al prossimo passo avanti». Che potrebbe anche concretizzarsi oggi. Quanto ai dazi, in sé, l'esperto ha sentenziato: quelli al 125% imposti alla Cina «non sono sostenibili e la Casa Bianca ha fatto filtrare la possibilità di sanzioni di altro tipo», ovvero finanziarie. «Questa scelta, per adesso ancora improbabile, ma con Trump vai a sapere, insieme all'erraticità delle politiche dell'amministrazione e le tensioni internazionali con gli ex alleati», hanno reso e rendono gli asset statunitensi «sempre meno appetibili per gli investitori». Di qui la fuga, ieri, dai treasury bond, con tanto di «aumento del loro rendimento». Ieri, ha aggiunto Sabatini, «c'è stato un momento in cui i bond trentennali greci erano valutati più sicuri di quelli statunitensi».

E sarebbero stati proprio i treasury bond a spaventare Trump. Perché? Perché, spiega sempre il professore, «la fuga dai treasury bond potrebbe avere conseguenze profonde e permanenti per gli Stati Uniti, a partire dalla difficoltà di finanziamento del debito pubblico, ma non solo». Contemporaneamente, «l'Unione Europea ha l'occasione di offrire valide alternative di investimento, per finanziare il distacco strategico (anche militare) dagli USA in un contesto globale segnato da un’abbondanza di risparmio». Ipoteticamente, ribadisce Sabatini, «il crollo della domanda di titoli statunitensi potrebbe favorire l'affermazione di un nuovo equilibrio, in cui il sistema valutario sarebbe più diversificato e il mondo avrebbe bisogno di molti meno dollari. Una eventuale de-dollarizzazione, anche parziale, dell’economia mondiale infliggerebbe danni enormi agli Stati Uniti e potrebbe promuovere l’euro quale nuova principale valuta di riserva. Ancorché tuttora improbabile, la de-dollarizzazione non è mai sembrata così plausibile, e probabilmente Trump la teme. In ogni caso, non si tratta di un'ipotesi nuova ed è spinta da forze che precedono Trump e potrebbero sopravvivergli».

Come uscirne, dunque? La chiosa dell'esperto: «Per ora, il modo migliore di reagire non sono le rappresaglie, ma un'intensificazione del libero scambio nel resto del mondo, la tassazione degli investimenti diretti negli Stati Uniti – per impedire il trasferimento di impianti produttivi, come, per esempio, sta valutando Lavazza – e l'accelerazione dell'integrazione europea. Nel breve periodo, la riduzione nelle importazioni statunitensi causata dai dazi provocherebbe una diminuzione della domanda di valute estere che potrebbe provocare un deprezzamento dell'euro, rendendo le imprese europee più competitive e bilanciando in parte l'effetto dei dazi».