L'analisi

USA e Cina: 50 anni di relazioni difficili tra diplomazia, dazi e sfide globali

Dalla visita di Richard Nixon del 1972 a oggi, Washington ha faticato e non poco a «gestire» la crescita del Dragone
©Yuki Iwamura
Marcello Pelizzari
09.04.2025 21:15

E adesso? Bella domanda. Donald Trump, nell’annunciare una pausa di 90 giorni sui dazi, di fatto ha inasprito le misure nei confronti della Cina. Il solo Paese, per dirla con la CNN, che potrebbe battere gli Stati Uniti in una guerra commerciale a tutto campo. Se, da un lato, il tycoon ha ascoltato i mercati e, in un certo senso, riacquistato la ragione, dall’altro ha tuonato: le tariffe, nei confronti di Pechino, saliranno al 125%. Urca.

L’offensiva, evidentemente, è pesante. Come pesanti potrebbero essere le conseguenze per i cittadini americani: e se il prezzo di questo o quel prodotto schizzasse alle stelle? Già. L’offensiva, ancora, nasce da motivazioni economiche – la famosa bilancia commerciale sballata – ma affonda le sue radici in questioni prettamente politiche e strategiche. Detto in altri termini: Washington ha affrontato, di petto, un dossier che si trascina da anni. E che si è tradotto in rapporti vieppiù problematici con una potenza in crescita nonché, di riflesso, fastidiosa.

Pechino, volendo sintetizzare, si è macchiata di una colpa clamorosa agli occhi dell’America: aver minato il dominio degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti, almeno fino al ritorno di Trump, puntavano a una normalizzazione delle tensioni. Della serie: punzecchiamoci, ma facciamo in modo di non dare avvio a una guerra commerciale o, peggio, a un conflitto armato. Il tycoon, per contro, ha alzato, subito, la posta in gioco, nel tentativo di trascinare Pechino al tavolo. La risposta, carica di narrativa, è stata paradossalmente (ma nemmeno troppo) spiazzante, con i controdazi cinesi saliti all’84%.

Gli Stati Uniti, d’altro canto, da una cinquantina d’anni a questa parte faticano a gestire o, se preferite, contenere la Cina. Nel 1972, Richard Nixon fu considerato un pioniere quando si presentò da Mao Zedong. L’obiettivo? Aprire, gradualmente, un Paese isolato, povero e legato a doppio filo all’Unione Sovietica. Più tardi, l’America introdusse la Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio. Con un altro obiettivo: favorire una svolta democratica del Dragone e, allargando il campo, occidentalizzarlo.

Il risultato, proiettandoci nel presente? Trump ha intercettato il malcontento di un’America delusa, arrabbiata, frustrata, tradita anche, pensando in particolare alle tante, troppe aziende che nel frattempo hanno delocalizzato la produzione in Cina. Quel malcontento, o rabbia repressa, ora si è tradotto in dazi monstre. E in una guerra che non promette nulla di buono.