Il punto

«Non spegneremo i riflettori sui diritti in Qatar»

Ora che i Mondiali sono arrivati a conclusione, si spegnerà anche l'attenzione sulla condizione del Paese? Ne abbiamo parlato con Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International
© AP/Pavel Golovkin
Irene Solari
20.12.2022 10:45

Mentre piano piano si stanno spegnendo i riflettori e le mille luci di questa Coppa del Mondo, restano ancora accesi diversi interrogativi sul Paese ospitante, il Qatar. Tante sono state infatti le polemiche e le critiche che hanno accompagnato questo mese di eventi calcistici. Ora è il momento di tirare le somme. Cosa ha lasciato questo Mondiale? Qualcosa è cambiato? L’attenzione su questi temi resterà ancora alta o andrà progressivamente a spegnersi? E tra dieci anni sarà cambiato qualcosa? Ne abbiamo parlato con Sarah Rusconi, portavoce di Amnesty International.

Luci e ombre

Luci, colori, celebrazioni in grande stile e una cerimonia sfarzosa hanno segnato la conclusione della Coppa del Mondo 2022. Un evento curato nei minimi dettagli per cercare di offrire agli ospiti presenti in Qatar la migliore delle esperienze. Luci, sì, tante. Vistose e variopinte. Ma anche ombre. Fin dall’annuncio dell’attribuzione del Mondiale al Paese del Golfo erano sorte le prime dimostranze. Forti preoccupazioni per le condizioni dei lavoratori impegnati nella costruzione delle infrastrutture e degli stadi faraonici. Ma non solo. Al centro delle discussioni anche il rispetto dei diritti delle donne e della comunità LGBTQ+. Senza dimenticare, da ultima, la polemica sulla vendita di alcol alle partite: prima nascosta e defilata, poi direttamente vietata. Con buona pace dello sponsor principale.

Riflettori sempre accesi

La Coppa del Mondo si è conclusa, si spegneranno ora anche le battaglie per il rispetto dei diritti? «Quello che sarà il nostro grande impegno è continuare a parlarne, anche adesso – ci risponde Rusconi –, per fare in modo che dopo le polemiche, le discussioni, le indignazioni, gli appelli al boicottaggio e il giusto entusiasmo per il calcio, si continuino anche a ricordare le violazioni dei diritti umani che sono sempre d’attualità in Qatar». Violazioni, spiega la nostra interlocutrice, che toccano tanti temi: diritti dei lavoratori migranti nel settore della costruzione o della sicurezza, diritti della comunità LGBTQ+, diritti delle donne, … «Gli argomenti di cui continuare a parlare sono tanti e i nostri riflettori sul Qatar non si spengono con la fine dei Mondiali. Rimarremo assolutamente attenti, come lo eravamo prima di tutto questo clamore, sulla situazione dei diritti umani nel Paese».

La FIFA deve fare dei diritti umani una priorità nelle sue scelte
Sarah Rusconi

Diritti calpestati

E, in effetti, molte cose sono state portate alla luce grazie ai riflettori della Coppa del Mondo. Ma i problemi ci sono sempre stati e restano anche una volta spente le luci, come spiega Rusconi. «Noi avevamo già da subito lanciato l’allarme quando nel 2010 è stata decisa la famosa e controversa attribuzione al Qatar del Mondiali, perché noi stavamo già lavorando sul Paese. Poi abbiamo iniziato a pubblicare i nostri rapporti». E, come detto, sono diversi i punti dolenti. «Il primo è stato nel 2013 ed era dedicato proprio alle condizioni dei lavori nel settore delle costruzioni». Ma c’è altro: «Stiamo parlando di un Paese dove una donna non è ritenuta alla pari di un uomo ma inferiore e non ha i suoi stessi diritti. Dove se sei una persona omosessuale rischi il carcere. E dove se sei un “banale” lavoratore rischi lo sfruttamento». Questo non solo nel settore dell’edilizia, precisa Rusconi. «C’è anche il problema delle domestiche, se n’è parlato un po’ meno ma queste donne sono sottoposte a quelli che, secondo noi, sono lavori forzati. Hanno giornate lavorative di 14-18 ore, chiuse in casa, nascoste, senza giorni di libero». Nascoste, ma ci sono anche loro a cui pensare.

In Svizzera c’è interesse

E questi temi hanno avuto una forte eco in Svizzera, come ci spiega la portavoce di Amnesty: «Siamo riusciti a fare in modo che si parlasse dei diritti in Qatar anche durante le partite. I miei colleghi in Svizzera tedesca hanno partecipato a diversi momenti pubblici quando giocava la nostra Nazionale e hanno riferito tutti che le persone erano interessate all’argomento». Oltre al momento di svago nel seguire la partita c’era anche quello in cui si voleva parlare dei diritti. «C’è stata una forte sensibilizzazione del pubblico – conferma Rusconi –, che apprezza la bellezza dello sport ma che pensa anche la FIFA debba veramente tirarsi insieme e non guardare solo al soldo, ma pensare a indennizzare le famiglie dei lavoratori morti o i lavoratori che non hanno ricevuto lo stipendio. E fare veramente dei diritti umani una priorità nelle sue scelte».

«Difficile che la FIFA cambi»

Dei buoni propositi che però, secondo Rusconi, difficilmente vedremo realizzati. «Purtroppo abbiamo seri dubbi. Le ultime dichiarazioni della FIFA ci fanno pensare che qualcuno non ci senta molto da questo orecchio. Ad esempio, l’idea di Infantino che bisogna dare la priorità ai tifosi. Non siamo assolutamente d’accordo. Ma continueremo a portare avanti lo stesso le nostre idee». È quindi probabile che in futuro ci saranno altri casi “Qatar”? Ovvero casi di Paesi ricchissimi e controversi che si candideranno per ospitare simili eventi. «Questo purtroppo rischia effettivamente di succedere – risponde la portavoce di Amnesty –, ma bisogna ricordarsi che la FIFA è comunque una grossa organizzazione economica e che ci sono delle regolamentazioni a livello internazionale sulla responsabilità delle imprese. La FIFA, in quanto impresa, non potrà continuare a far finta che conti solo lo sport». Anche perché il pubblico e l’opinione pubblica sono sensibilizzati sull’argomento, «è il nostro lavoro, vogliamo rendere attenti anche su temi che restano più nascosti».

Questa volta le “paillettes” che avrebbero dovuto distrarci dai problemi reali hanno funzionato solo in parte: siamo riusciti a dialogare con il pubblico
Sarah Rusconi

Paillettes e problemi

E, infatti, in occasione dell'ultimo Mondiale la sensibilità su questi argomenti è stata molto alta. Portata sotto i riflettori anche da celebrità che si sono rifiutate di presenziare all’evento. «Sì, la sensibilizzazione c’è stata. Anche se non è di certo la prima volta che un Paese estremamente controverso si vede attribuire un grosso evento sportivo», specifica la nostra interlocutrice. «Solo che questa volta le “paillettes” che avrebbero dovuto distrarci dai problemi reali hanno funzionato solo in parte. Siamo riusciti a dialogare con il pubblico: chi pensava di interessarsi solo all’aspetto sportivo dell’evento poi è rimasto toccato da questi temi». Qualcosa si è mosso. Anche perché, dopo tanto parlare, era diventato impossibile ignorare “l’elefante nella stanza”. «Effettivamente in questi ultimi mesi uno non poteva dire di essere totalmente all’oscuro di certi argomenti, perché sarebbe stato un po’ come dire di vivere sulla Luna».

Si muove qualcosa?

Difficile fare previsioni sul futuro, ci anticipa Rusconi. «Naturalmente speriamo che tra dieci anni qualcosa possa cambiare. Speriamo che qualcosa passi. Anche se, come detto, le ultime dichiarazioni della FIFA ci lasciano poca speranza». Che dire invece del Qatar? Questa esperienza dal sapore internazionale, che ha portato moltissimi tifosi e turisti (anche occidentali) nel Paese, avrà lasciato una traccia sulla situazione attuale? «Non posso dirlo con certezza, anche se qualcosina si è mosso: i lavoratori migranti hanno trovato il coraggio di scrivere nuovamente una lettera, di farsi sentire», risponde la portavoce di Amnesty, precisando che nel Paese la situazione è molto differente a dipendenza della fascia sociale. «In ogni caso, purtroppo, per la comunità omosessuale e transessuale non è cambiato nulla. Non hanno guadagnato in libertà: le leggi sono rimaste uguali, precise e identiche. Noi ne abbiamo parlato, ci siamo indignati, c’è chi ha cercato di mostrare una solidarietà sia negli stadi che fuori. Ma la realtà della vita in Qatar è quella». Anche per la massa enorme di lavoratori, che hanno sentito sicuramente più attenzione mediatica sulla loro condizione, è cambiato ben poco. Forse delle piccolissime modifiche legislative, ma non basta».

 

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