Il «caso Abedini» resta aperto, anche dopo la liberazione di Cecilia Sala
«L'arresto della giornalista italiana Cecillia Sala non ha legami con l'arresto in Italia del cittadino iraniano Mohammad Abedini Najafabadi su mandato americano, per l'accusa di esportazione di tecnologia sensibile statunitense in Iran e violazione delle sanzioni statunitensi». Con queste parole si era espresso il 6 gennaio il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano, Esmail Baghaei. Nel frattempo, la giornalista italiana è stata liberata ed è tornata a casa. E in una puntata del podcast Stories su Chora Media ha raccontato la sua prigionia nel carcere di Evin. A Mario Calabresi, tra le altre cose, ha spiegato che quando è stata arrestata, mentre si trovava in albergo a Teheran, non conosceva il motivo. «Avevo letto poco prima la notizia, che c'era stato un arresto in Italia (Mohammad Abedini Najafabadi, ndr). Ho pensato, tra le ipotesi, che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l'intenzione di usarmi. L'ho pensato dal principio. Avevo chiara questa ipotesi e pensavo fosse uno scambio molto difficile».
Il ministro della Giustizia italiano, Carlo Nordio, si è espresso ieri con La Stampa e al Tg1 e ha ribadito che quella di Sala e quella di Abedini «sono due vicende parallele ma non congiunte. Due cose diverse, tanto è vero che come ministro della Giustizia non ho mai partecipato alle questioni che riguardano la liberazione e di Cecilia Sala», ha aggiunto. Sulla possibilità che Abedini possa essere estradato su richiesta degli Stati Uniti ha quindi aggiunto: «Noi abbiamo un trattato di estradizione con gli Stati Uniti, però non sono ancora arrivati gli atti relativi alla richiesta, quindi attendiamo e quando arriverà sarà valutata secondo le procedure. Prematuro per ora parlare di domiciliari e braccialetto elettronico. È fissata un’udienza in corte d'Appello (il 15 gennaio, ndr.) ma le carte dall’America non sono ancora arrivate. Stiamo valutando con le carte che abbiamo e ci affidiamo al giudizio della Corte».
Giorgia Meloni, dal canto suo, ha aggiunto che «il caso Abedini è al vaglio tecnico e politico del ministero della Giustizia: è vicenda che ovviamente bisogna continuare a discutere con i nostri amici americani, avrei voluto parlarne anche con Biden ma ha dovuto annullare il suo viaggio». La premier italiana ha parlato di un tema su cui «intervengono molte questioni di triangolazione diplomatica con Iran e USA. Il governo è tenuto alla riservatezza che si deve in questi casi, salvo ovviamente riferire negli ambiti competenti».
L'avvocato chiede i domiciliari con braccialetto elettronico
Se alcuni esponenti iraniani non hanno mai legato l'arresto di Cecilia Sala alla richiesta di estradizione degli USA di Abedini, altri elementi sembrano tenere insieme le due vicende. Mohammad Abedini Najafabadi (il vero nome è Mohammad Abedininajafabadi) è stato arrestato lo scorso 16 dicembre su ordine della giustizia americana all'aeroporto di Milano-Malpensa. L'ingegnere iraniano è accusato dalla giustizia statunitense di avere fornito ai pasdaran componenti elettroniche americane che poi sono state ritrovate in un drone usato da milizie per compiere un attacco in Giordania costato la vita a tre militari americani. I giudici ritengono che abbia usato una società svizzera, la Illumove SA con sede all’Innovation Park dell’EPFL, per bypassare i divieti di esportazione dagli USA verso la Repubblica islamica.
Ieri, l'avvocato Alfredo De Francesco, legale di Abedini, ha presentato una nuova istanza: arresti domiciliari con il braccialetto in un appartamento di Milano diverso da quello proposto in precedenza. La nuova richiesta è arrivata dopo il parere negativo della procuratrice Generale di Milano, Francesca Nanni, all’istanza depositata a fine anno e potrebbe avere maggiori possibilità di essere accolta. In ambienti giudiziari si fa notare che i reati contestati ad Abedini non sono tali in Italia (perché i pasdaran non sono riconosciuti come organizzazione terroristica) e l’istanza di estradizione, come detto, non sarebbe ancora arrivata. La strategia sulla possibile liberazione (o comunque non consegna) dell’iraniano sembra dunque essere cambiata. L’Iran avrebbe inoltre fatto capire esplicitamente che non intende passare come «regime ricattatore» e quindi, non vuole neppure che appaia come uno scambio con Cecilia Sala, riferiscono i media italiani.
Una «contropartita» a più punti
Ma si tratterebbe solo di una articolata strategia, secondo i giornali italiani, i quali parlano di una palese contropartita: «L’assicurazione che Abedini non sarà estradato negli USA, e che a breve potrà lasciare anche lui il carcere in cui è rinchiuso a Milano. Se per decisione dei giudici in seguito all’accoglimento della richiesta di arresti domiciliari, o per scelta del ministro della Giustizia che può revocare in ogni momento la misura cautelare (art. 718 del Codice di procedura penale, ndr.) si vedrà nei prossimi giorni», scrive il Corriere della Sera. «E ancora più avanti si vedrà come far evaporare o respingere la domanda di estradizione non ancora giunta dall’America». Ma viene ipotizzato che l’Iran non abbia ottenuto solo questa promessa. «L’Iran è interessato a relazioni con gli Stati Uniti guidati dal prossimo presidente Donald Trump meno conflittuali di quanto si possa immaginare, e i "buoni uffici" della diplomazia italiana possono certamente aiutare. L’immagine del forte rapporto tra Meloni e Trump ha fatto il giro del mondo ed è stata un’ulteriore certificazione, per la Repubblica islamica, di aver acquisito un credito con un alleato importante degli USA, in grado spendere parole di distensione nei rapporti tra i due Stati».
Sul fronte opposto, ipotizza ancora il giornale italiano, gli USA potrebbero ottenere «il materiale che Abedini portava con sé al momento dell’arresto: due telefoni cellulari, un computer alcune chiavette USB e una serie di dispositivi elettronici, custoditi nel trolley al seguito, sequestrati dalla polizia e consegnati alla Procura di Milano. E richiesti dai servizi di sicurezza italiani, che potrebbero non negarli ai colleghi statunitensi. Carpire i segreti tecnologici e informatici nascosti in quegli apparecchi può essere importante quanto e forse più di avere in consegna chi li stava trasportando».
I rapporti di Abedini con la Svizzera
Il Politecnico federale di Losanna (EPFL), da noi contattato, aveva spiegato che «il signor Abedini è stato assunto da un laboratorio come borsista post-dottorato dal 2019 al 2022». Ma che, attualmente, «l'EPFL non collabora in alcun modo con Abedini e Illumove SA», la quale non ha ricevuto dall'ateneo «nessun finanziamento». L'azienda beneficia di una «domiciliation» all’Innovation Park dell'EPFL (il recapito è infatti nello stabile, ndr.), ma «non vi svolge alcuna attività» (ha lì una bucalettere, in sostanza). Infine, la menzione e l'uso del logo dell'EPFL quale «Partner» sul sito web di Illumove SA «sono abusivi, non è in corso alcun tipo di collaborazione».
Sempre ieri, il direttore del laboratorio nel quale l’iraniano ha lavorato tra il 2019 e il 2022 in qualità di collaboratore scientifico, si è espresso su 24 heures e La Tribune di Génève. «Se (Abedini) ha utilizzato le competenze sviluppate nel quadro del nostro lavoro a fini militari, lo ha fatto chiaramente a nostra insaputa, senza il nostro sostegno», ha dichiarato. Ha inoltre spiegato che era a conoscenza della società svizzera da lui creata, ma che la ditta era stata presentata come «operante solo in ambito civile, per sviluppare dispositivi per tracciare i movimenti in ambito sportivo».