L'intervista

«Il mondo non è più lo stesso dall'insediamento di Trump»

Markus Ritter è consigliere nazionale del Centro, candidato al Consiglio federale
© KEYSTONE/Peter Klaunzer
Luca Faranda
21.02.2025 06:00

Markus Ritter è seduto, da solo, nella stanza 339 di Palazzo federale. Una sala che lo scorso anno ha attirato attenzioni: c’è una certa concorrenza tra i parlamentari per riservarla, ma la «sala della torre» è sempre prenotata a nome Martullo-Blocher. Il consigliere nazionale sangallese non se ne cura. Il suo obiettivo è di raggiungere presto un’altra sala di Palazzo federale: quella del Governo. Oggi, il gruppo parlamentare del Centro ufficializzerà il ticket: sarà una sfida tra Markus Ritter e Martin Pfister.

Lei parte da gran favorito in questa corsa al Consiglio federale. È una posizione scomoda?
«Sì, c’è molta più pressione, soprattutto da parte dei media. Sono una persona modesta, cerco solo di convincere le persone di ciò che posso fare e di ciò che voglio ottenere. Penso che ci siano due buoni candidati per la successione di Viola Amherd. Abbiamo qualità diverse e dal mio punto di vista, la partita in vista del 12 marzo è molto aperta».

Lei si è definito una persona modesta. I media d’Oltralpe invece la descrivono in un altro modo. In un recente ritratto della NZZ è stato definito «ambizioso», «ostinato», «autoritario» e «calcolatore». Serve una personalità forte in Consiglio federale?
«Servono sette personalità forti. Devono rappresentare tutto il Paese, dentro i confini nazionali e all’estero, e il popolo svizzero. E sono convinto che le abbiamo. Conosco personalmente molto bene tutti i consiglieri federali. Sono a Berna dal 2011 e ho contribuito anche io a eleggere i sette che sono ora in carica. Sono convinto che siano tutti molto validi. C’è bisogno di persone determinate, che sappiano guidare un dipartimento, ma anche discutere e lottare per trovare la miglior soluzione e raggiungere il consenso. È un compito impegnativo».

La sua candidatura è stata annunciata dopo una serie di rinunce eccellenti. È deluso per quanto accaduto nel partito?
«Un po’ e mentirei se dicessi il contrario. Sono convinto che il Centro abbia molti profili eccellenti e potrei elencare, così su due piedi, una ventina di donne e uomini con le capacità e le competenze per essere eletti in Consiglio federale. Faccio solo due o tre esempi: il presidente Gerhard Pfister, Isabelle Chassot, che ha presieduto la Commissione parlamentare d’inchiesta su Credit Suisse, oppure Martin Candinas. In realtà, non ho mai pensato di candidarmi. Poi, rinuncia dopo rinuncia, ho deciso di mettermi a disposizione. Mi aspettavo che arrivassero altri pretendenti, dopo il mio interesse a ricoprire la carica. Ma fino all’ultimo giorno non è stato il caso (Martin Pfister ha annunciato la sua candidatura solo poche ore prima del termine, n.d.r.). In tredici anni non ho mai vissuto niente di simile».

Sono un po' deluso per le rinunce e mentirei se dicessi il contrario: non ho mai pensato di candidarmi

Quali sono i suoi punti di forza, rispetto al suo concorrente, Martin Pfister?
«Lui ha certamente dei vantaggi come consigliere di Stato. Io sono attivo in politica a livello comunale, cantonale e nazionale da 30 anni. Sono membro del Consiglio nazionale da 13 anni e conosco i miei colleghi. So come ogni deputato pensa. So quali sono le regole e so come ci si deve muovere per ottenere delle maggioranze. E conosco molto bene anche i dossier, soprattutto per quanto riguarda l’economia (è membro della Commissione dell’economia e dei tributi, n.d.r.) e le finanze. Credo di poter portare queste qualità in Consiglio federale e di poter contribuire in tempi relativamente brevi a garantire il successo del DDPS».

Ci sono però degli aspetti che giocano contro la sua candidatura. Nell’Esecutivo il canton San Gallo è già rappresentato da Karin Keller-Sutter e sono ben cinque i consiglieri federali che hanno legami con il mondo agricolo. Saranno due fattori determinanti?
«È possibile. L’Assemblea federale dovrà soppesare tutti gli aspetti, ma credo che questa volta l’origine e la professione possano giocare un ruolo minore. Il DDPS è una grande sfida: conta oltre 12 mila collaboratori (è di gran lunga il dipartimento con più personale, n.d.r) e sta vivendo un’importante fase di trasformazione. Chi ha le competenze, l’assertività e la capacità di imporsi? Penso che ciò conterà più del cantone di origine del candidato. Lo stesso PS, ad esempio, con Beat Jans ed Elisabeth Baume-Schneider ha fatto eleggere in entrambi i casi dei candidati con un background agricolo. Me lo sarei aspettato dall’UDC, non dal Partito socialista».

È ormai chiaro che chi verrà eletto assumerà la guida del DDPS. Quando ha annunciato la sua candidatura, ha detto di non aver mai lasciato una stanza prima di aver fatto ordine. Cosa pensa di fare per «fare ordine»?
«Bisogna partire da una considerazione: Viola Amherd ha svolto un eccellente lavoro. È riuscita a trovare una maggioranza per l’acquisto degli aerei da combattimento. Il DDPS, oggi, ha davanti a sé grandi sfide, che sono anche ben documentate. Un esempio è la lettera della delegazione delle finanze (riguarda sette grandi progetti di armamento e informatici, del costo stimato di 19 miliardi di franchi, che «presentano rischi enormi», n.d.r). Credo che la prima cosa che farei, se fossi eletto, sarebbe certamente iniziare a studiare i dossier già il 13 marzo. La prima settimana, al massimo la seconda, vorrei riuscire a incontrare i quadri superiori dell’Esercito e spiegare loro come lavoro e cosa si possono aspettare da me».

Che capo dipartimento sarà Markus Ritter?
«Sarò presente per tutti, come ho sempre fatto. Tutti hanno il mio numero di telefono. Voglio una cultura del lavoro positiva. È normale che ci siano errori nei progetti in corso. Ed è lì che investirò il mio tempo. Non mi vedrete dove tutto va bene, non è quello il mio posto. È quello che ho fatto nell’Unione svizzera dei contadini (USC). Ci sono 85 organizzazioni associate molto eterogenee: piccoli, grandi, bio, agricoltori, allevatori di bestiame. Ci sono vari interessi, ma devo assicurarmi che siamo uniti e che andiamo nella stessa direzione. In francese mi definirei un ‘‘rassembleur’’, che va alla ricerca del consenso. Penso di esserci riuscito abbastanza bene. L’USC è un’organizzazione influente e di successo. Siamo una macchina ben oliata ed è ciò che vorrei portare con me in caso di elezione».

È normale che ci siano errori nei progetti ed è lì che investirò il tempo: il mio posto non è dove tutto va bene

La Svizzera, prima o poi, aderirà alla NATO?
«No, un’adesione è fuori discussione. La domanda da porsi è: quanti e quali esercitazioni fare insieme? L’avvicinamento alla NATO non è un problema. Credo che oggi ci sia una buona collaborazione, soprattutto quando si tratta di testare i nostri sistemi d’arma. Per me è importante analizzare la situazione che si verrà a creare all’interno della NATO con la nuova amministrazione Trump. Che tipo di pressione eserciterà? Il mondo dallo scorso 19 gennaio per me non è più lo stesso».

Il Parlamento ha stabilito che le spese militari raggiungeranno l’1% del PIL entro il 2032. Ritiene più importante questo obiettivo o il rispetto del freno all’indebitamento?
«Il rispetto del freno all’indebitamento è assolutamente essenziale per me. Il nostro problema è che le spese crescono più velocemente delle entrate. La prima cosa da fare è tenere sotto controllo la crescita della spesa, altrimenti la situazione ci sfuggirebbe di mano. E poi bisogna stabilire delle priorità. L’Esercito, a causa degli sviluppi internazionali, deve avere una certa priorità. Ha bisogno di maggiori risorse e di essere meglio equipaggiato per poter svolgere la propria missione. E all’interno dell’Europa, per me è importante soprattutto essere credibili. Ma non si può solo risparmiare, ora bisogna pensare a entrate aggiuntive. Anche per finanziare la 13. AVS, o l’iniziativa del Centro sulle rendite eque (se approvata, i costi ammonterebbero a 3,8 miliardi di franchi nel 2030, n.d.r). La sicurezza della Svizzera è legata anche a un bilancio finanziario stabile».

Sono necessarie relazioni più strette con l’UE?
«L’UE è il nostro partner commerciale più importante. Per le relazioni economiche con l’Europa sono estremamente importanti, soprattutto per chi vive nelle regioni di confine come San Gallo e penso anche al Ticino. Ma è anche importante avere una buona cooperazione e un dialogo costruttivo. È per questo che gli accordi bilaterali sono decisivi. Guardiamo per esempio alla Gran Bretagna: sono usciti dall’UE, ma senza poi avere una soluzione adeguata. Non giriamoci intorno: sono contrario a un’adesione all’UE, ma gli accordi bilaterali sono importanti».

È soddisfatto dell’esito dei negoziati?
«Naturalmente, se fossi eletto, sosterrei la posizione del Consiglio federale. Per quanto mi riguarda, però, aspetto ancora di vedere il testo finale. Non appena sarà messo in consultazione, mi prenderò il tempo di leggere ogni passaggio di questo accordo. Ogni parola, anche tra una traduzione e l’altra, può essere decisiva. Nessuna persona firma un contratto senza prima averlo letto attentamente. Per me vale la stessa cosa. Voglio analizzare in particolare la protezione dei salari e il meccanismo di risoluzione delle controversie. Si tratta di una questione che riguarda la sovranità della Svizzera e la sua democrazia diretta».

C’è chi teme che con la sua elezione, il blocco borghese in Consiglio federale possa ulteriormente rafforzarsi.
«Se eletto, sarei certamente un rappresentante del Centro. Per noi è importante raggiungere compromessi ampiamente condivisi. In una democrazia diretta è importante, perché se non raggiungono un certo livello di consenso, poi vengono respinti alle urne. E lo scorso anno lo abbiamo vissuto alcune volte (il riferimento è alla 13. AVS e alla riforma sul secondo pilastro, n.d.r). Non è sufficiente raggiungere la maggioranza in Consiglio federale. E neanche in Parlamento. Se l’elettore è incerto, spesso scrive il “no” sulla scheda di voto. Il Governo ha dunque il compito di cercare soluzioni attuabili che abbiano una possibilità di successo anche in caso di referendum».

Prima bisogna però farsi eleggere. Il sostegno dall’ala sinistra del Parlamento potrebbe essere decisivo. Come pensa di convincerli a votare per lei?
«Le audizioni saranno molto diverse fra i vari gruppi parlamentari. È importante che ricevano risposte credibili. Ma spiegherò quali sono le posizioni di un deputato del Centro. Non si devono aspettare un rappresentante dell’UDC o dei Verdi. Sono certamente più a destra all’interno del nostro gruppo parlamentare, ma come frazione non ci discostiamo molto l’uno dall’altro. Non ci sono grandi differenze nel partito, di solito votiamo molto uniti in Consiglio nazionale e quindi sono le sfumature a fare la differenza». 

Markus Ritter, classe 1976, ha origine italiane (la madre è veneta), è cattolico ed è di professione agricoltore. È un deputato del Consiglio nazionale dal 2011 - membro della Commissione dell’economia e dei tributi - e presidente dell’Unione svizzera dei contadini dal 2012. È considerato uno dei membri più influenti del Parlamento. Dal 1993 al 2012 è stato municipale di Altstätten, una cittadina di circa 12 mila abitanti del canton San Gallo. È sposato e padre di tre figli. Dispone di poca esperienza militare: di grado è appuntato. 
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