La versione di Viola Amherd: «Non capisco l'agitazione»

«Il World Economic Forum, la Conferenza di Monaco sulla sicurezza, le vacanze del Consiglio federale». Ecco i motivi che hanno spinto Viola Amherd a trasmettere agli altri membri del Governo, dopo circa un mese, le dimissioni del capo dell’Esercito e del capo dell’Intelligence. Le partenze quasi concomitanti di Thomas Süssli (a fine anno) e di Christian Dussey (a fine marzo 2026), agli occhi della «ministra» della Difesa, non rappresentano alcun problema. A scuotere Amherd sono invece le indiscrezioni circolate appena un’ora dopo che le dimissioni dei due quadri sono arrivate al Governo.
Il 20 e il 30 gennaio
Riavvolgiamo il nastro. Dussey, a capo del Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC), ha presentato le dimissioni ad Amherd lo scorso 20 gennaio. Dieci giorni dopo, il 30 gennaio, il comandante di corpo Thomas Süssli ha fatto lo stesso.
Viola Amherd, non ha ritenuto necessario informare subito i colleghi del Consiglio federale. Prima, ha voluto discutere con i due interessati i passi successivi da compiere. Dal momento che resteranno in carica ancora svariati mesi, per la vallesana «ci sarà un passaggio di consegne ordinato». Di più. «Non capisco tutta questa agitazione», si è difesa Amherd, che - verosimilmente - si è presentata per l’ultima volta in conferenza stampa da «ministra» della Difesa. Oppure, come evidenziato da un giornale d’Oltralpe, dell’autodifesa. «Vorrei sapere come si sarebbe potuto fare più velocemente», ha provato a giustificarsi Amherd. Eppure, tra il WEF (20-24 gennaio), le vacanze del Governo (la prima settimana di febbraio) e la Conferenza di Monaco (14-16 febbraio), ci sono state altre due sedute del Consiglio federale (il 12 e il 19 febbraio), ma le dimissioni dei due quadri non sono state oggetto di discussione.
Principio di collegialità
Gli altri sei consiglieri federali (e i rispettivi “entourage”) ne sono venuti a conoscenza solo martedì mattina. Non appena ricevuta l’informazione, è passata una sola ora prima che la notizia apparisse sulla NZZ online, scatenando il caos. Per Amherd, è questo il punto dolente. Non le dimissioni di due figure chiave del dipartimento.
Il DDPS ha immediatamente sporto denuncia contro ignoti dopo l’anticipazione della NZZ. La fuga di notizia è stata poi oggetto di una lunga discussione durante la seduta del Governo. «Il Consiglio federale condanna con fermezza le indiscrezioni circolate», ha detto il portavoce Andrea Arcidiacono, secondo cui le fughe di notizie danneggiano il lavoro del Consiglio federale, la libera formazione dell’opinione e gli interessi del Paese. Amherd, dal canto suo, ha precisato di non avercela con i media, bensì con chi dall’interno dell’Amministrazione federale ha fatto circolare la notizia.
«Questa violazione del segreto d’ufficio danneggia il principio di collegialità e pregiudica la serietà del lavoro nell’Esecutivo», ha criticato la consigliera federale, deplorando che gli stretti collaboratori di Süssli e Dussey abbiano saputo delle dimissioni tramite i media.
Un passo indietro
Ma cosa ha spinto il capo dell’Esercito ha dare le dimissioni, considerando le attuali e complicate sfide attuali? Chi si aspettava una risposta concreta, probabilmente, è rimasto deluso. «È normale trascorrere dai quattro ai cinque anni alla guida dell’esercito, anche a livello internazionale». Al sesto anno, era tempo di fare un passo indietro, ha detto Süssli, ricordando che nel 2019 - quando è stato nominato - non era nemmeno candidato. Due mesi dopo essere entrato in carica è scoppiata la pandemia, con la mobilitazione (la più grande dalla Seconda guerra mondiale) di circa 5 mila membri dell’Esercito. E poi la guerra in Ucraina. Una parte della strategia che ha elaborato (contenuta nell’ormai noto «Libro nero») è stata attuata. «Ora tocca al mio successore continuare».
Süssli ha inoltre valutato con Amherd se rendere pubbliche le dimissioni solo dopo l’elezione del nuovo consigliere federale. Tuttavia, il rischio era di far passare il messaggio che non fosse d’accordo con il nuovo responsabile del DDPS. L’obiettivo è invece di garantire una transizione ordinata. E lo stesso vale per il capo del SIC. Il futuro «ministro» della Difesa - Markus Ritter oppure Martin Pfister - avrà tutto il tempo per trovare un successore di alto livello. «Anche perché questi profili non si trovano al punto d’incontro della stazione di Berna. Richiederà del tempo e un lungo processo», ha sottolineato Amherd.
«Questi anni contano doppio»
Christian Dussey, entrato in carica nell’aprile del 2022 poco dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ha parlato di stanchezza e di pressione: oltre alla complicata situazione geopolitica, ha dovuto gestire una profonda trasformazione del SIC (ancora in corso, che ha creato parecchi malumori tra i collaboratori) e le critiche da parte dei Cantoni: «Ci sono voluti diciotto mesi per capire come funzionava il servizio».
Inoltre, a suo avviso, «gli anni di guerra contano doppio». Pertanto è come se fosse stato alla guida dell’Intelligence per sei anni. «Sono preoccupato», ha poi aggiunto, parlando delle difficoltà che incontrano i suoi collaboratori e le sfide che devono affrontare legate alle minacce internazionali, ai ciberattacchi, al terrorismo e all’estremismo. «Tutti vorrebbero poter fare di più, ma le risorse sono limitate».