L'intervista

«Lo Stato non può e non deve offrire soluzioni a ogni problema»

Martin Pfister è consigliere di Stato del Centro, candidato al Consiglio federale
© KEYSTONE/Michael Buholzer
Luca Faranda
27.02.2025 06:00

L’appuntamento era fissato a Zugo, al Dipartimento della Sanità che dirige dal 2016. Martin Pfister, però, ha spostato l’incontro a Palazzo federale. Ha deciso di essere più presente a Berna per conoscere - e convincere - più parlamentari possibili entro il 12 marzo. «Ora non mi sento più un outsider». È l’inizio di una lunga chiacchierata.

Ha detto sin da subito di non essere un candidato alibi. Eppure, il suo nome è stato annunciato solo un paio d’ore prima del termine per le candidature. Se non ci fossero state così tante rinunce, lei si sarebbe candidato?
«È chiaro che se non ci fossero state le rinunce da parte dei membri del gruppo parlamentare, probabilmente sarebbe stato difficile per un consigliere di Stato farsi avanti. Mi sono preso del tempo per riflettere, ma sono motivato e convinto di questa scelta. E penso che sia anche un segnale positivo: è un’opportunità che l’esperienza dei consiglieri di Stato possa essere messa al servizio del Consiglio federale. Ciò aumenta il bacino di candidati, anche in vista delle prossime elezioni del Governo».

Lei era conosciuto solo nella Svizzera centrale ed è partito da sfavorito in questa corsa al Consiglio federale. Può essere considerato un vantaggio?
«Sì, ma in realtà non mi sento più un outsider. Ho ricevuto un forte sostegno da tutte le parti del Paese e da tutti i partiti. Posso portare un’esperienza personale che mi rende idoneo a ricoprire la carica di consigliere federale e farò del mio meglio per farmi conoscere alle audizioni (i cosiddetti hearing inizieranno la prossima settimana, n.d.r.), ma anche nelle interviste. È importante che i parlamentari sappiano chi sono».

Cosa ha fatto finora per conoscere e convincere i deputati?
«Molti parlamentari mi hanno già contattato per avere un confronto. E lo faccio volentieri. Io stesso invito alcuni deputati (prima dell’intervista era a colloquio con il presidente dei Verdi liberali, Jürg Grossen, n.d.r.) e vado al maggior numero possibile di eventi a cui partecipano i membri del Consiglio nazionale e degli Stati. Sarò molto presente a Berna da qui al 12 marzo: il tempo a disposizione da quando mi sono candidato è davvero poco. Devo quindi sfruttare al massimo ogni opportunità per coltivare contatti. E tra poco inizia la seconda fase, con le audizioni che saranno di importanza centrale».

Non le chiedo quali sono le differenze tra lei e Markus Ritter. Bensì, quale qualità - che attualmente manca - può portare all’interno del Governo?
«Dall’esterno, la percezione è che ci siano dei blocchi (in particolare quello formato dai due esponenti PLR e dai due UDC, n.d.r.). Credo sia molto importante che il Consiglio federale sia percepito come un governo collegiale. Le posizioni e le decisioni che si concordano devono anche essere difese all’esterno. Da parte mia so che posso portare la mia esperienza di “politico del consenso”. So quale compito mi aspetta. Spero e credo che se diventerò membro del Consiglio federale, il governo possa diventare più collegiale, più orientato al consenso e più capace di agire».

Se dovessi far parte del Consiglio federale, l'Esecutivo sarebbe più collegiale e più capace di agire

Il Consiglio di Stato del canton Zugo conta ben tre rappresentanti del Centro. In Consiglio federale sarebbe invece da solo. Si aspetta un gremio collegiale, ma in che modo pensa di essere efficiente in questo nuovo ruolo?
«Cercherò di coltivare le relazioni a livello umano, in modo da poter lavorare bene insieme. Per me è importante che non ci siano indiscrezioni, come abbiamo potuto sentire spesso (specie durante la pandemia, l’Esecutivo è stato limitato nella sua capacità d’azione a causa delle fughe di notizie, n.d.r.). È importante rispettare le regole della concordanza, discutendo in modo anche duro. In questo modo si possono trovare soluzioni solide da presentare e difendere di fronte al Parlamento e alla popolazione».

Se eletto, è quasi sicuro che dovrà assumerà la guida del DDPS. Qual è la prima cosa che intende fare il 13 marzo?
«Ho già delle idee concrete (sorride, n.d.r.). Il contatto con i vertici del dipartimento e con i dirigenti sarà stretto sin dall’inizio».

Il capo dell’Esercito e il direttore del Servizio informativo della Confederazione (SIC) hanno presentato le dimissioni. Ci sarà in breve tempo una rivoluzione al DDPS. Che segnale rappresenta per la sicurezza e la difesa del Paese?
«Prendo atto delle dimissioni di Thomas Süssli e Christian Dussey. Essendo attualmente impegnato nella campagna elettorale per un seggio nel governo, non intendo commentare questi ultimi sviluppi e i possibili retroscena. Non c’è dubbio - come dimostrano i tre rapporti del Controllo federale delle finanze (sulla Ruag MRO, n.d.r.) che il DDPS ha davanti a sé compiti importanti e complessi. Occorre risolvere problemi strutturali e di personale, ridefinire le priorità e utilizzare le risorse in modo economico. Dedicherò tutte le mie energie a questi compiti se sarò eletto in Governo e se l’intero collegio mi affiderà la gestione del DDPS».

Lei di grado è colonnello. Nella conferenza stampa di presentazione ha detto che si sarebbe preso il tempo per studiare i problemi del dipartimento. A quale conclusione è arrivato ora?
«Il Parlamento ha stabilito che le spese militari raggiungeranno l’1% del PIL entro il 2032. Basandosi su questo budget, l’esercito deve essere reso pronto a difendere in tempi molto brevi. Ci sono certamente alcuni aspetti che devono essere modificati dei progetti in corso. L’importante è non sprecare denaro. Le forze armate hanno bisogno di risorse per garantire la loro prontezza di difesa: c’è una grande necessità di azione e allo stesso tempo risorse limitate. Dobbiamo essere efficienti, definendo delle priorità. Non si può fare tutto. O meglio, non è possibile fare tutto quello che si vorrebbe fare, ma dobbiamo essere pronti a difendere in tempi rapidi».

La Svizzera collabora in modo sempre più stretto con la NATO. Essere interoperabili non mette in pericolo la capacità di difesa e la sovranità della Svizzera?
«Ci sono vari livelli di interoperabilità con la NATO. L’Esercito coopera con l’Alleanza sia per quanto riguarda l’istruzione, sia per quanto riguarda il materiale bellico. Ciò significa che i sistemi possono essere dispiegati insieme in caso di guerra o di necessità di difesa. Per la Svizzera si tratta di una buona cosa, perché nelle condizioni attuali non saremmo in grado di difenderci da soli se dovesse scoppiare un conflitto in Europa. In realtà tutto questo rafforza la capacità operativa dell’esercito e rafforza la sovranità della Confederazione. Quest’ultima non è di sicuro messa a repentaglio: non siamo membri della NATO, mai lo saremo, ma restiamo liberi di decidere fino a che punto spingerci in questa cooperazione».

Trovo problematiche le misure di risparmio che vanno a toccare decisioni prese alle urne dalla popolazione

Quando è stato eletto in Consiglio di Stato, erano necessari piani di risparmio nel canton Zugo. Ora tocca alla Confederazione: il pacchetto di misure di risparmio è già in consultazione nei Cantoni. In quali settori pensa sia più opportuno risparmiare?
«In linea di principio, penso che sia giusto proporre misure lineari. Così come è giusto che i Cantoni possano esprimersi in questa fase. Personalmente, trovo problematici alcuni aspetti: in particolare le misure che toccano decisioni prese alle urne nell’ambito di consultazioni popolari. Un esempio è il controprogetto all’iniziativa del PS sulla riduzione dei premi votata lo scorso settembre (tra le misure di risparmio del Governo c’è una voce che riguarda le uscite nel settore della LAMal, n.d.r.). Non è possibile annullare un referendum tramite un pacchetto di contenimento dei costi. È un problema».

Proprio i premi di cassa malattia, così come l’ambiente e la previdenza, sono tra le preoccupazioni maggiori degli svizzeri. In quale settore è necessario un maggiore aiuto da parte dello Stato?
«La questione non è stabilire quale ambito ha più bisogno di un intervento statale. Bensì di utilizzare correttamente le risorse. Nel settore della previdenza per la vecchiaia, con l’approvazione della 13. AVS da parte del popolo, il Governo dovrà dare un contributo importante. Per questo ritengo sbagliato che il Governo voglia ridurre il contributo della Confederazione (dal 20,2 al 19,5%, n.d.r.) alle spese dell’AVS. Bisogna rispettare la volontà popolare, anche per quanto riguarda l’aumento dell’età pensionabile. Tuttavia, qui c’è ancora un gran potenziale: si potrebbe permettere una maggior flessibilità. Chi vuole deve poter lavorare più a lungo».

È abbastanza risparmiare o bisogna pensare a entrare aggiuntive?
«È importante iniziare prima con i risparmi e poi, se necessario, pensare alle entrate. In primo luogo, dobbiamo valutare dove possiamo diventare più efficienti. Bisogna stabilire delle priorità. Le entrate devono essere collegate alle uscite: tuttavia, per finanziare la 13. AVS e per gli ulteriori fondi per l’esercito queste misure di risparmio potrebbero non essere sufficienti. In questo caso, bisognerà intervenire sulle tasse e le imposte».

Lei è responsabile dello sport nel canton Zugo e potrebbe essere presto «ministro» dello Sport. I Giochi olimpici del 2038 sono un’opportunità o un rischio economico per la Confederazione?
«Penso che siano un’opportunità. Sono favorevole a questi Giochi, ma le infrastrutture devono essere decentralizzate. Dovranno essere dei Giochi Olimpici moderni, che si possano adattare alla Svizzera. Potremmo così fungere da modello, allontanandoci dalla mania di grandezza dei Giochi precedenti. Devono anche essere più economici e sostenibili: i costi miliardari non possono essere sostenuti dallo Stato. Credo che sia importante imboccare la strada dei finanziamenti privati».

Il PS ha criticato il ticket, sostenendo che entrambi i candidati rappresentando l’ala destra del Centro. Lei su quali temi si sente più orientato a sinistra?
«Negli ultimi nove anni mi sono occupato di politica sanitaria nel Cantone di Zugo. Per me è importante cercare attivamente un equilibrio sociale, tenendo conto anche delle persone che non se la passano tanto bene. Ritengo inoltre importante prestare sempre attenzione alle posizioni delle minoranze. Devono essere prese sul serio. È chiaro però che rappresento una visione liberale della società, dello Stato e dell’economia. Ciò significa che lo Stato non può e non deve offrire soluzioni a ogni problema. Ma deve creare condizioni quadro in cui le persone e le imprese possano lavorare e vivere il più liberamente possibile, in condizioni di parità ed equità».

Nelle relazioni con l’UE è sufficiente lo status quo, oppure prima o poi bisognerà sviluppare le relazioni bilaterali?
«Se dovessimo votare ora, senza discutere e senza sapere nei dettagli quanto negoziato, la capacità di formare una maggioranza oggi sarebbe certamente minacciata. Non sappiamo ancora esattamente quali sono i dettagli degli accordi, né quali soluzioni di politica interna emergeranno. Penso in ogni caso che dobbiamo prendere sul serio le preoccupazioni dei cittadini, in particolare sulla tutela dei salari, sulle questioni istituzionali, sulla risoluzione delle controversie e sull’immigrazione. Su tutti questi temi, il Consiglio federale dovrà trovare soluzioni valide, perché il bello della Svizzera è che alla fine è il popolo ad avere l’ultima parola». 

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