Il caso

Fotomontaggi hot sì, ma forse non è stalking

Il Tribunale federale ha confermato che una giovane del Luganese ha molestato una coetanea inviando a lei e a persone a lei vicine immagini osé che la ritraevano - Da rivalutare però il reato di coazione: per la Corte non è abbastanza chiaro il nesso causale
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Federico Storni
23.12.2022 18:02

Fra il 2016 e l’inizio del 2018 una giovane donna del Luganese e persone a lei care hanno occasionalmente ricevuto giocattoli erotici e immagini a sfondo pornografico rappresentanti la giovane stessa, spesso fotomontaggi «hot» in cui il volto della donna era sovrimposto al corpo di attrici porno.

Immagini moleste, all’inizio giunte sui social media della vittima, poi anche per posta e, appunto, non solo a lei: un calendario «decorato» con i fotomontaggi è stato inviato anche a un amico di famiglia e vicino di casa, e la stampa di un fotomontaggio all’ex datrice di lavoro. Dopo un paio di denunce contro ignoti, la giovane aveva denunciato espressamente l’ex compagno, convinta da alcuni dettagli che il misterioso molestatore fosse lui.

Non era così. Un decreto d’abbandono lo aveva certificato. La Procura aveva invece ipotizzato a carico dell’attuale compagna dell’uomo i reati di coazione, calunnia e pornografia nei confronti. Reati che la donna ha contestato, opponendosi - senza successo - al decreto d’accusa prima in Pretura penale (ne avevamo scritto il 18.7.2019) e poi in Appello (22.1.2021). Ne era scaturita la condanna a una pena pecuniaria sospesa di 90 aliquote giornaliere. L’imputata, difesa, dall’avvocato Daniele Timbal, si è sempre detta innocente e ha provato a farsi valere anche di fronte al Tribunale federale. E i giudici di Mon Repos, in una sentenza pubblicata ieri, le hanno dato in parte ragione.

Indizi sufficienti

Partiamo dal quel che è rimasto della sentenza d’Appello. Anche il_Tribunale federale è convinto che l’imputata sia l’autrice dei fotomontaggi e quindi colpevole di calunnia e pornografia: «Malgrado considerati isolatamente gli indizi siano insufficienti, valutati nella loro globalità essi permettono senza arbitrio, e quindi senza violare il principio in dubio pro reo, di ricondurre gli atti in giudizio» all’imputata. Fra questi indizi: l’avere sull’iPad l’applicazione del negozio da cui sono stati ordinati i giocattoli erotici, la conoscenza di alcuni dettagli intimi della vita dell’ex coppia (che potevano esserle stati riferiti dal compagno), l’aver cancellato la cronologia del motore di ricerca lo stesso giorno dell’invio dell’ultimo giocattolo erotico, il fatto che gli invii indesiderati  si fossero interrotti quando l’imputata è stata coinvolta nell’inchiesta. Scartata anche la tesi difensiva per cui il colpevole fosse in realtà una terza persona: il TF l’ha definita  «per nulla convincente» (il compagno dell’imputata era uscito dell’inchiesta appurato che non era in casa in occasione di alcuni degli invii molesti).

Quanto al movente, per la Corte si è trattato di gelosia. La vittima, la ex del compagno, era infatti stata oggetto di discussione nella coppia, in particolare quando l’imputata aveva trovato alcuni effetti personali della ex a casa del compagno.

Manca il nesso causale?

Detto che gli invii molesti ci sono stati e che hanno una colpevole, per il TF c’è più di un dubbio che sia stato un caso di stalking. O meglio, di coazione, dato che nel Codice Penale svizzero non esiste una fattispecie specifica per lo stalking. La sentenza d’Appello, per il_TF, non è sufficientemente motivata su questo punto. Non emerge cioè in modo chiaro un nesso causale fra le azioni dell’imputata ed eventuali limitazione alla libertà d’agire della vittima. «La CARP si è in sostanza limitata a richiamare un insieme di atti non meglio definiti e una modifica delle abitudini della vittima nell’uso dei social network. La sua argomentazione è troppo imprecisa per poter stabilire un nesso causale». La CARP dovrà quindi «completare l’accertamento della fattispecie e procedere a una nuova sussunzione».

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