Ticino

Giustizia, bordate contro Norman Gobbi

Dopo l’intervista del direttore del Dipartimento delle istituzioni, la coordinatrice della Sottocommissione Sabrina Gendotti (Centro) non risparmia critiche al consigliere di Stato: «Troppo immobilismo» - Anche il PLR tramite un comunicato chiede più «azione» e meno «task force»
©Gabriele Putzu
Paolo Gianinazzi
30.08.2024 06:00

Non sono andate giù, almeno a un paio di partiti, le parole espresse ieri sul nostro giornale da parte del direttore del Dipartimento delle istituzioni, Norman Gobbi, in merito al documento della Sottocommissione che propone diverse importanti riforme per il terzo potere dello Stato.

Non sono andate giù, ad esempio, alla stessa coordinatrice della Sottocommissione, la deputata del Centro Sabrina Gendotti, che sempre al Corriere del Ticino ha voluto replicare direttamente al consigliere di Stato. Una replica, come vedremo, tutt’altro che «tenera» nei confronti del Dipartimento diretto da Gobbi, in sostanza accusato di immobilismo.

«Non si può più aspettare»

«Intervistato dal vostro giornale ha indicato che è positivo che dalla Commissione siano giunti indirizzi politici sulla giustizia. Quale coordinatrice della Sottocommissione, voluta dai partiti, che ha lavorato tutta l’estate per allestire un progetto di risoluzione che andrà discusso all’interno dei gruppi parlamentari e successivamente dalla Commissione giustizia e diritti per poi essere sottoposto al Parlamento, mi preme sottolineare e precisare, a titolo del tutto personale, alcuni aspetti», è la premessa di Gendotti.

Innanzitutto, e qui giunge la prima bordata di Gendotti, «il lavoro svolto dalla Sottocommissione è scaturito proprio dall’immobilismo dimostrato dal Dipartimento e in particolare dalla Divisione della giustizia negli ultimi dieci anni». Un immobilismo, aggiunge la deputata, riscontrato «nonostante le ripetute richieste di intervento e di riforme formulate dalle diverse autorità giudiziarie e pure riportate nei vari rendiconti del Consiglio della Magistratura (CdM)». Inoltre, ricorda la granconsigliera, «la stessa Commissione giustizia e diritti si è fatta portavoce, senza successo, dei disagi concernenti la logistica, i supporti informatici vetusti, nonché dei mancati potenziamenti reiteratamente richiesti e ignorati e non da ultimo dell’urgente necessità di riformare vari settori della Giustizia». Ma non solo. Ancora Gendotti: «Diversi deputati in Gran Consiglio hanno depositato atti parlamentari in tal senso a cui il Dipartimento non si è ancora degnato di prendere posizione».

Gendotti rammenta poi che «nell’ambito del progetto ‘‘Giustizia 2018’’, che non ha mai visto la luce, già nel 2015 erano stati creati dei gruppi di lavoro che avevano allestito degli interessanti rapporti, i quali già indicavano le riforme da implementare. Ma in quasi dieci anni il Dipartimento non ha fatto nulla e ora vuole creare nuovamente dei gruppi di lavoro per il Ministero pubblico e per le Giudicature di Pace e perdere ulteriormente tempo».

La deputata punta dunque il dito direttamente contro il direttore del Dipartimento: «Ha unicamente condiviso con la Commissione l’intenzione di voler creare i menzionati gruppi e di voler affrontare alcuni temi, ma non ha presentato soluzioni concrete ai problemi della Giustizia, come sembra invece emergere dall’intervista». Inoltre, rincara Gendotti, «si è attivato solo dopo che la Commissione, a seguito del rendiconto 2023 del CdM e delle autorità giudiziarie, ha convocato dapprima il CdM stesso e poi il Consiglio di Stato. E ora, guarda caso, dopo che la Sottocommissione ha sfornato un documento contenente possibili soluzioni molto concrete frutto di un serio lavoro – per il quale ringrazio le colleghe e i colleghi –, se ne esce indicando di aver suggerito lui alla Commissione progetti di riforme che sarebbero poi confluiti nel nostro progetto di risoluzione».

Da questo punto di vista, Gendotti si dice «senza parole». Tuttavia, al netto delle critiche, la deputata in chiusura apre al dialogo tra le parti: «Mi auguro che ora si marci nella stessa direzione e soprattutto celermente». Anche perché, chiosa Gendotti, «la Giustizia ticinese non può più aspettare altri dieci anni».

«Non si perda tempo»

Ma, come si diceva, la reazioni alle parole del direttore del DI sono state almeno due. Anche il PLR, infatti, tramite un comunicato stampa ha voluto replicare (anche se in maniera più indiretta) ai recenti sviluppi in merito alle riforme della Giustizia ticinese.

Il titolo del comunicato stampa è già un programma: «La Giustizia ticinese oggi è in imbarazzo, ma cosa è stato fatto negli ultimi 12 anni?». Anche qui, va da sé, il riferimento è al Dipartimento. «La delicata situazione in cui versa la giustizia ticinese in questi mesi – si legge nel comunicato dei liberali radicali – è fonte di preoccupazione e di imbarazzo, non soltanto tra addetti ai lavori e politica, ma anche nella popolazione. Il terzo potere dello Stato ha la necessità di essere credibile, autorevole e rispettato agli occhi dei cittadini. Una credibilità che va urgentemente ritrovata proponendo soluzioni concrete all’attuale caos». In questo senso, viene precisato dal PLR, «le proposte contenute nella risoluzione elaborata dalla Sottocommissione giustizia (...) sono condivisibili e vanno quindi sostenute». Ma, aggiunge il partito, «la direzione politica della giustizia spetta al Dipartimento delle istituzioni, dal quale da anni (oltre 12) attendiamo concreti segnali per una vera riforma». Detto altrimenti: «Come PLR dal Dipartimento ci attendiamo con urgenza decisioni, misure concrete, riforme: in una parola, soluzioni. Ci opponiamo invece all’idea di istituire l’ennesima “task force”, classico strumento dove si perde gran parte del tempo a individuare i membri e a decidere quali siano le possibili piste di lavoro, senza poi arrivare a risultati tangibili».

Più in generale, dunque, il PLR come detto sostiene la via intrapresa quest’estate dalla Sottocommissione giustizia, la quale ha sfornato in un paio di mesi «un documento che ha il pregio di indicare obiettivi chiari e misure da mettere in atto. Un’ottima base di lavoro, sicuramente perfettibile, ma soprattutto un esercizio durato qualche mese, condotto da una manciata di parlamentari di diversi partiti, che hanno trovato una chiave di lettura condivisa e proposte operative, attese da anni invano dall’interno del Dipartimento». Per i liberali radicali, dunque, serve un’accelerata, come quella dimostrata dalla Sottocommissione: «Della riforma della giustizia si parla da troppo tempo. Non è più il momento di tergiversare, bensì di agire».

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