Giustizia e «presidenze a vita», sì alla rotazione delle cariche
Niente più «presidenze a vita». Il «pacchetto» di riforme per la Giustizia ticinese ha fatto un primo passo avanti. Il primo dei tre previsti e agendati per questa sessione di Gran Consiglio. Forse il meno importante e corposo nel confronto con gli altri due – la risoluzione che prevede diversi ritocchi e auspici per quasi ogni settore della Magistratura e l’iniziativa che mira a dare maggiori poteri al Consiglio della Magistratura –, ma pur sempre di passo avanti si tratta. Parliamo dell’iniziativa parlamentare presentata nel 2022 dall’MPS e che proponeva di vietare per le Sezioni e le Camere del Tribunale d’appello la rielezione immediata ogni due anni dei presidenti e vicepresidenti. E questo, si leggeva nell’atto parlamentare, per «evitare le presidenze a vita» e quindi «la creazione di ‘giardinetti’ con atteggiamenti di inutile e dannosa onnipotenza». Anche perché, come noto, diverse di queste figure sono in carica da diversi anni o addirittura decenni. L’idea, dunque, era quella di introdurre una rotazione ogni due anni per queste cariche.
La via di mezzo
Ora, il Gran Consiglio oggi ha dato via libera solo parzialmente alla proposta. A una sorta di compromesso tra le parti. Concretamente, ha approvato il rapporto della Commissione giustizia e diritti (relatrice Roberta Soldati dell’UDC) con il quale l’idea originale dell’MPS è stata adottata unicamente per le Sezioni del Tribunale d’appello (quella di diritto civile, quella di diritto pubblico e il Tribunale penale cantonale) e non per le svariate Camere che le compongono. E questo, come spiegato in aula, soprattutto per evitare problemi pratici derivati dal ristretto numero di giudici che compongono le Camere. Ruotare le cariche così di frequente per gremi così ristretti, in estrema sintesi, avrebbe portato più problemi (in particolare dal punto di vista operativo) che benefici.
Ma non è finita qui. Oltre a ciò, la maggioranza del Parlamento ha approvato pure un emendamento, proposto dalla deputata del Centro Sabrina Gendotti, tramite il quale è stato deciso che il presidente o vicepresidente delle Sezioni (la cui durata della carica è stata appunto fissata a due anni con il rapporto commissionale) ha comunque la possibilità di essere immediatamente rieletto almeno una volta. Concretamente, dunque, la carica può durare per due anni e, in caso di rielezione, per altri due anni. Dopodiché, dopo quattro anni in totale, deve per forza passare a qualcun altro. Una modifica, questa, proposta da Gendotti e dalla Commissione e richiesta in particolare dal Tribunale d’appello, anche in questo caso per evitare problemi operativi. Ad esempio, ha spiegato Gendotti, la Commissione amministrativa del tribunale (che è pure l’autorità di nomina dei collaboratori), essendo composta anche dai tre presidenti delle Sezioni, con una rotazione ogni due anni avrebbe dovuto cambiare quattro quinti dei suoi membri ogni 24 mesi. Causando, va da sé, problemi dal punto di vista operativo, inefficienze e discontinuità nel proprio lavoro.
Insomma, in parole povere alla fine la formula «due anni più altri due anni» – ossia il compromesso tra la proposta originale, quella della Commissione e gli auspici del Tribunale d’appello – alla fine ha avuto la meglio ed è stata accolta dal plenum a larghissima maggioranza: 72 voti favorevoli, zero contrari e 4 astenuti.
Tutti d’accordo (o quasi)
«In Ticino la durata delle cariche è effettivamente assai longeva», ha spiegato durante il dibattito la relatrice Roberta Soldati, riassumendo poi il lungo lavoro che ha portato alla proposta di compromesso. «Quantomeno per le Sezioni la soluzione proposta è giusta e corretta», gli ha fatto eco il deputato Matteo Quadranti (PLR). Per il liberale radicale, infatti, una rotazione più frequente «garantisce un approccio diversificato nei rapporti con il team e a portare visioni diverse». In generale, per Quadranti, «la rotazione porta buoni frutti».
Un po’ più moderato l’intervento del leghista Alessandro Mazzoleni, il quale si è detto scettico sulla necessità di una misura simile: «Personalmente non ritengo che la situazione attuale ponga problemi» e «non sono a conoscenza di giardinetti con atteggiamenti di onnipotenza», ha affermato il deputato. Le critiche di Mazzoleni, però, riguardavano soprattutto la proposta originale e a quella non ancora emendata. Già, perché la soluzione definitiva, la formula del «due più due», anche per Mazzoleni, malgrado sia «forse ancora troppo restrittiva», può comunque rappresentare «un buon compromesso».
Ad elogiare l’introduzione della rotazione delle cariche anche il deputato dei Verdi Marco Noi. «Pensiamo che l’esercizio del potere debba essere svolto in maniera collettiva (...). E l’impressione avuta finora non è quella di un funzionamento limpido, fresco e dinamico. Anzi, non dappertutto, ma in certi gremi si percepiva un’aria stantìa, con gente che conduce e gente che si fa trasportare». E quindi, per Noi, «la rotazione delle cariche può ridare dinamica e rivitalizzare la Giustizia, anche se il discorso vale per tutti i poteri dello Stato».
Insomma, tutti d’accordo sull’importanza di questo passo avanti, compreso il Governo che, nel rispetto della separazione dei poteri, ha comunque appoggiato indirettamente il compromesso poiché frutto anche delle richieste del Tribunale d’appello. Tutti d’accordo, sì, ma non l’MPS – autore dell’iniziativa da cui è partito tutto – che ha tentato tramite emendamenti (poi bocciati) di tornare alla proposta originale e che quindi, in ultima analisi, si è astenuto dal voto. Tutti d’accordo, certo, anche se nel finale un «pasticcio» linguistico (la formulazione dell’emendamento non era proprio «cristallina») ha rischiato di far tornare tutto alla casella di partenza. E cioè in Commissione. Dopo qualche attimo di confusione in aula, però, il tutto si è concluso con un voto schiacciante. E il primo dei tre passi per riformare (almeno in parte) la Giustizia ticinese è stato compiuto. Un riforma, ha ribadito il presidente della Giustizia e diritti Fiorenzo Dadò nel suo intervento, «che il terzo potere attende da anni».