La requisitoria

«Hanno perso il controllo: il virus ha fatto una strage»

Decessi COVID a Sementina: l'accusa ha chiesto la condanna dei vertici della casa anziani - «Sarebbe bastato seguire alla lettera le direttive invece di applicarle in modo blando ed anteporre il bene collettivo a quello del singolo»
La procuratrice pubblica Pamela Pedretti con due collaboratori. © CdT/Chiara Zocchetti
Alan Del Don
24.11.2022 16:27

«Alla luce della delicatezza del momento che stavano affrontando avrebbero dovuto seguire alla lettera la valanga di direttive emanate dalle autorità superiori. Andava anteposto il bene collettivo a quello del singolo. Invece il virus ha fatto una strage». Parole calibrate. Pesate. Perché la fattispecie lo richiede. I vertici della casa anziani di Sementina vanno condannati per il reato di ripetuta contravvenzione alla Legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dell’essere umano. Il procuratore generale Andrea Pagani e la collega Pamela Pedretti ne sono certi. E lo hanno ribadito nella requisitoria tenuta oggi pomeriggio. Le richieste di pena sono le seguenti, peraltro già note: 8.000 franchi di multa per la direttrice sanitaria, 6.000 per il direttore amministrativo e 4.000 per l’ex capocure, non più alle dipendenze della Città in quanto andata in prepensionamento.

«Situazione eccezionale e drammatica»

Nella premessa la procuratrice pubblica Pamela Pedretti ha contestualizzato quel terribile periodo dei primi mesi del 2020 in cui, anche noi ticinesi, abbiamo imparato purtroppo a conoscere il coronavirus. «C’erano incertezza e paura. La situazione era ben diversa da quella odierna. Il COVID è virulentemente entrato nelle nostre vite lasciando una lunga scia di vittime. Sono stati presi provvedimenti dolorosi e drastici che hanno fatto storcere il naso alla popolazione. In particolare, per tutelare gli anziani, si è deciso di vietare l’accesso agli istituti per la terza età e sono state limitate le attività all’interno», ha osservato la pp. Una situazione eccezionale e drammatica alla quale nessuno era preparato. Vi erano molte incognite allora, sul coronavirus. Ecco perché era tanto più importante seguire «alla lettera» le disposizioni, in primis per quanto riguardava gli anziani, e non «applicarle à la carte». Secondo Pamela Pedretti «non potevamo pertanto che affidarci a chi ne sapeva più di noi. C’erano in gioco le vite dei nostri nonni».

La genesi dell’inchiesta

La procuratrice pubblica è poi entrata nel merito dell’inchiesta. Dal modo in cui è partita – dalla denuncia della famiglia di una vittima, confrontata ad una «morte silenziosa e dolorosa» – alle difficili fasi delle indagini: «Nessuno sta dicendo che gli imputati non si sono presi cura degli ospiti o che il loro operato ha portato ai decessi. Sono sicura che ce l’hanno messa tutta per fare del loro meglio, in un contesto emotivamente ed umanamente difficile. Ai vertici della casa anziani di Sementina si rimprovera però di non aver rispettato le direttive superiori». Pamela Pedretti, in seguito, ha passato in rassegna le mansioni dei singoli accusati, ovvero il direttore amministrativo, la direttrice sanitaria e l’ex capocure. In quest’ultima la direzione ha «riposto piena fiducia», considerando che più degli altri si trovava al fronte. Fin da subito erano emerse delle «difficoltà gestionali». Il 58.enne non ha infatti competenze sanitarie, mentre la direttrice sanitaria era impegnata soprattutto al centro Somen, in cui era impiegata al 100%, in qualità di medico curante.

La tutela di tutti

Il focus è poi stato posto sui singoli capi di imputazione mossi agli imputati, in alcuni casi singolarmente in altri in correità fra di loro. «Attenzione, un punto dev’essere chiaro: non si trattava di effettuare la presa a carico del singolo ospite, ma di prodigarsi per la tutela di tutti gli anziani dell’istituto Circolo del Ticino di Sementina», ha precisato la procuratrice pubblica. La quale ha subito aggiunto che «c’è stata assenza di precauzione. Hanno tentato di tamponare quella che oramai diventata un’emorragia. Le due accusate avevano perso il controllo. Quando sarebbe bastato seguire le direttive invece di applicarle in modo blando od interpretarle».

«Quando hanno capito era troppo tardi»

Secondo l’accusa il distanziamento sociale non era garantito né durante i pasti né in occasione delle attività di gruppo. «Sapevano che servire i pasti nella sala comune era diventato rischioso. E se avevano sospeso, ad un certo punto, le attività comuni, è perché avevano capito che erano vietate e non in quanto l’animatrice era assente, come hanno sempre sostenuto», ha rilevato Pamela Pedretti. Ci si è dunque chinati sulla lista dei contatti con esposizione significativa avvenuti con il paziente nelle 48 ore precedenti l’applicazione delle misure di Cantone e Confederazione. Per la pp i contagi non sono stati tracciati e, ancora una volta, «si è agito alla buona invece di seguire le disposizioni. Poi l’hanno capito, ma troppo tardi. L’esperienza l’hanno fatta sulla pelle dei poveri anziani».

Gli operai e l'infermiera

Gli imputati hanno «fatto di testa loro» pure quando hanno consentito l’accesso alla struttura a tre operai per il ritinteggio del terzo piano (a metà aprile 2020) e quando hanno permesso ad un’infermiera contagiata di coprire un turno notturno ad inizio aprile: «In quest'ultimo caso non vi era una grave sottodotazione di personale. E, soprattutto, c'erano delle alternative».

Il nodo delle competenze

Il procuratore generale Andrea Pagani si è in conclusione espresso sulla competenza del medico cantonale e dell’Ufficio federale della sanità pubblica nell’emanazione delle disposizioni per arginare la diffusione della COVID-19, il punto chiave contestato dalle difese. «Contro i provvedimenti cantonali nell’ambito del COVID, le risoluzioni governative e le direttive del medico cantonale non si è mai opposto nessuno. Quindi dovevano essere seguiti visto che ci trovavamo in uno stato di necessità», ha esordito il magistrato inquirente. Precisando che il Consiglio di Stato, ad inizio marzo 2020, ha dato una precisa delega al medico cantonale. Come fatto peraltro nel resto della Confederazione.

Tra Governi ed esperti, nel caso dell’emergenza sanitaria, «c’è stato pertanto un concorso di competenze. Come ben evidenzia la frase iniziale utilizzata nei comunicati stampa dall’Esecutivo ticinese: "d’intesa con il medico cantonale". E non "sentito il medico cantonale"».

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