Ticino

Inflazione, salari e fiscalità: verso una compensazione più «light»?

Il Consiglio di Stato chiede di rivedere il meccanismo della progressione a freddo per poterlo attuare in maniera parziale - Giordano Macchi (DFE): «Più flessibilità per seguire il reale andamento dei salari» - Ma in passato simili scelte avevano fatto discutere
©Chiara Zocchetti
Paolo Gianinazzi
17.08.2024 06:00

Presto il meccanismo di compensazione della cosiddetta «progressione a freddo» potrebbe diventare meno stringente rispetto a quello attuale. O, perlomeno, la compensazione del rincaro attuata tramite questo meccanismo potrebbe (se anche il Gran Consiglio lo vorrà) diventare parziale e non più, dunque, totale e obbligatoria.

La proposta viene direttamente dal Consiglio di Stato che recentemente, in un messaggio contenente alcune proposte di adeguamenti (piuttosto tecnici) della Legge tributaria, ha avanzato pure l’idea di dare facoltà al Governo stesso di «procedere a un adeguamento integrale o parziale delle aliquote e delle deduzioni all’evoluzione dell’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC)».

Insomma, se oggi tale compensazione è essenzialmente automatica e integrale dal momento in cui l’IPC segna un aumento di almeno un punto percentuale rispetto all’ultimo adeguamento, in futuro il Governo vorrebbe poter procedere a un allineamento anche solo parziale. Ma andiamo con ordine poiché il tema è piuttosto tecnico e complicato.

Come funziona?

Il meccanismo di compensazione della progressione a freddo, in parole povere, serve per neutralizzare gli effetti fiscali sui contribuenti durante le fasi inflazionistiche.

Detto altrimenti: se durante un periodo d’inflazione il nostro salario (nominale) aumenta, quello reale, invece, teoricamente dovrebbe rimanere il medesimo. In maniera molto pratica: con l’inflazione all’2% teoricamente il datore di lavoro dovrebbe aumentare il nostro salario del 2%, mantenendo inalterato il nostro potere d’acquisto. Sul piano fiscale, però, il nostro salario (nominale) è cresciuto, e quindi il rischio è di «scivolare» in una fascia di reddito più alta, tassata quindi in maniera più importante.

Concretamente, dunque, malgrado il nostro potere d’acquisto sia il medesimo dell’anno precedente, ci troveremmo a pagare più imposte. Si tratta dunque di un aumento «occulto» delle imposte. E, proprio per evitare ciò, il meccanismo di compensazione va a neutralizzare tale aumento correggendo al ribasso gli scaglioni della scala delle aliquote dell’imposta cantonale sul reddito delle persone fisiche nonché degli importi deducibili.

La novità

Ora, torniamo alla proposta del Governo. Come spiegato nel messaggio licenziato qualche giorno fa, «attualmente il meccanismo di compensazione degli effetti della progressione a freddo prevede una correzione integrale delle aliquote e delle deduzioni in funzione del tasso d’inflazione registrato a livello nazionale al momento determinante». Concretamente, «se il tasso di crescita dell’IPC a fine anno è pari ad esempio al 1% rispetto all’ultimo adeguamento, secondo le disposizioni attuali le aliquote e le deduzioni devono essere corrette della stessa percentuale». Tuttavia, aggiunge l’Esecutivo, «il contesto attuale non permette di avere sempre un adeguamento pieno dei salari al tasso di crescita dell’IPC». E quindi, «per meglio tenere conto del contesto, permettendo quindi un po’ più di flessibilità nell’applicazione del meccanismo della correzione della progressione a freddo, si propone di adeguare l’articolo 39 della Legge tributaria – con effetto al 1.1.2025 – dando facoltà al Consiglio di Stato di procedere a un adeguamento integrale o parziale delle aliquote e delle deduzioni all’evoluzione dell’IPC». Più nel dettaglio, come spiega da noi contattato il direttore della Divisione delle contribuzioni, Giordano Macchi, «ritenuto come nel recente passato l’indicizzazione dei salari non è sempre stata aderente all’inflazione osservata», con tale proposta «si è voluto introdurre maggiore flessibilità». E ciò, prosegue Macchi, «permetterà di meglio calibrare l’adeguamento delle aliquote e delle deduzioni a quello che è il reale andamento dell’indicizzazione dei salari al rincaro, il quale non sempre segue rapidamente l’evoluzione dei prezzi al consumo». Inoltre, osserva il direttore, anche «in altri Cantoni non vengono indicizzate le deduzioni, mentre da noi sì». Ma – chiediamo – nell’eventualità di un adeguamento parziale non c’è il rischio di erodere ulteriormente il potere d’acquisto dei cittadini? «In realtà – risponde il direttore della Divisione –, in caso di un aumento dei salari inferiore all’inflazione, vi è uno sgravio occulto. Proprio per tenere conto di questo si estende la norma attualmente in vigore».

Vien poi da pensare, vista l’attuale situazione delle finanze cantonali, che tale proposta possa anche rientrare nel contesto del Preventivo 2025 e del secondo pacchetto di misure di rientro. Ma, risponde ancora Macchi, «questo messaggio è separato rispetto a quello del Preventivo 2025. Ci è sembrato opportuno introdurre la necessaria flessibilità normativa per meglio tenere conto dell’evoluzione di tutti i parametri economici». Inoltre, rimarca infine il direttore, «ricordiamo che dopo quasi un decennio di assenza di inflazione (dove si era giunti perfino ai tassi remunerativi negativi), si sono “riscoperti” gli effetti inflattivi. Inoltre, in diversi Cantoni i vari meccanismi della progressione a freddo contengono pure degli elementi di flessibilità».

I precedenti «scottanti»

Sia come sia, va anche detto che già in passato modifiche di questo tipo avevano fatto parecchio discutere la politica cantonale. Basti pensare che il meccanismo venne introdotto in Ticino nel 1990 grazie a una votazione (l’iniziativa popolare fu lanciata dall’UDC nel 1988): contro il parere di quasi tutte le forze politiche (sia in Governo che in Parlamento) la proposta venne accolta con il 65,3% dei voti favorevoli. Ma non solo: nel contesto del Preventivo 2009 (anche in quel caso il Governo era alle prese con una manovra di risparmi) il Consiglio di Stato propose di fare un passo indietro, innalzando il limite dall’1% al 3%. Ma, in quel caso specifico, tale ipotesi era poi stata scartata dal Gran Consiglio.

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