Le radici del Mendrisiotto che non sono facili da trovare

Terza e (forse) ultima tappa del nostro viaggio alle radici del Mendrisiotto, alla ricerca di ciò che ha ispirato e forgiato i nomi dei paesi che lo compongono. Questo viaggio potrebbe però essere quasi infinito, perché oltre ai nomi dei paesi su cui ci siamo concentrando, ci sono quelli dei quartieri, dei piccoli nuclei, delle strade, delle colline, eccetera. Oggi concluderemo il tour nelle origini dei nomi dei Comuni (vedi CdT del 30 gennaio e del 13 febbraio); lo faremo in ordine alfabetico, con i 7 Comuni che ancora non abbiamo analizzato.
Come succede per alcuni grandi tour, parliamo di quelli ciclistici, per la prima tappa usciamo dai confini territoriali. Brusino, politicamente, è infatti luganese. La località sul Ceresio deve il suo nome – ci rifacciamo al sito del Comune, ma la teoria è di Stefano Franscini, alla «voce celtica Brux-Arx, che significa “torre dei rovi”. Anticamente il villaggio si chiamava Castello di Brugino o Brusin Castelletto, che come riprodotto dallo stemma comunale, ricorda una torre che brucia. L’antico toponimo rende dunque più credibile l’interpretazione etimologica di Carlo Salvioni, che nelle “Noterelle di toponomastica Lombarda” accosta il nome di Brusino Arsizio con quello di Busto Arsizio, che vede nei termini Arsizio e Brusino la designazione dell’ardere e del bruciare».
Dal lago, al confine meridionale del Distretto, la seconda tappa odierna ci porta a Chiasso. Per scavare nelle origini della denominazione ci facciamo aiutare da Isidoro Antognini che, nel libro «Pagine di storia chiassese», dopo una dettagliata ricerca giunge a una conclusione: Chiasso deriverebbe da Ciàs. «Dal Caledonico (celtico) Ciàs, cantone, seno. Villaggio presso Como, in un seno di monti», scrive Antognini citando tale Pietro Monti. Poi aggiunge: «Quindi i Celti avrebbero chiamato Ciàs il nostro paese per designare (come afferma il Monti) “lo stato geologico e naturale del sito”, cioè quello di cantone o cantuccio o angolo, di seno od insenatura, perché appunto di “cantuccio od angolo od insenatura” è lo stato geologico e naturale del sito».
L’enigma di Coldrerio
Terza tappa a Coldrerio. E, caso vuole, che il tre sia anche un numero legato alla toponomastica della località. Le teorie dietro l’origine del nome sono infatti 3. Sul sito del Comune sono riassunte grazie a un lavoro di ricerca di Carlo Solcà. «L’origine di Coldrerio si presenta come un enigma (…) - è la sua conclusione -. Allo stato attuale degli spogli non è dato di sapere se il toponimo indichi un sito favorevolmente caldo (la radice Cal deriverebbe in questo caso dal latino caludis, caldus, ndr), se in tempi remoti uno o più calderari (e qui il termine su cui focalizzarsi è “caldaia”, ndr) si fossero stabiliti nel luogo dove è sorto il villaggio di Coldrerio oppure se il nome che porta questa località derivi dalla presenza sul suo territorio di noccioleti (dal nome latino dei noccioli selvatici corilus, corulus, ndr). A questo proposito l’araldista incaricato di fare uno stemma per Coldrerio diede una soluzione di compromesso raffigurando oltre al castello un ramo di nocciola e una pentola d’oro. Per dirla con il Camponovo, un colpo al cerchio e uno alla …pentola»
Da Coldrerio a Morbio, dove le teorie che si affiancano sono due. La pista «più attendibile ed anche la più scientifica riconduce al latino morbidus, propriamente “malaticcio” – si legge nel sito comunale -. Un termine (Morbio, ndr) che, nel processo conosciuto delle varie lingue romanze, assume pure il significato di molle, cedevole, grasso, con riferimento, in questo caso, alla qualità del terreno».
Il trasloco di Novazzano
Con la quinta tappa giungiamo a Novazzano, un paese che sembra essersi spostato nel tempo. «Seppur la prima citazione storica del Comune di cui si ha notizia sia dell’anno 875 d.C. il villaggio esisteva già parecchio prima. La tradizione vuole che inizialmente si chiamasse “Azzano” e sorgesse al limitare della palude tra il corso del rio Roncaglia e quello del torrente Faloppia ed esistesse già al tempo in cui nella regione arrivarono gli Etruschi, attorno all’VIII secolo a.C. – si legge in un documento redatto per i 75 anni del Consiglio comunale –. Si racconta poi di una grande alluvione che distrusse completamente il villaggio. Esso venne poi ricostruito sulla vicina collina e prese il nome di “Nuovo Azzano” che poi divenne semplicemente “Novazzano”».
Per la penultima tappa torniamo sulle sponde del lago, a Riva San Vitale. La località non si è sempre chiamata così. «La paternità del primo toponimo conosciuto del Comune: Primo Subino», spetta agli Etruschi, si spiega sul sito del Comune. «In seguito vi fu il dominio romano (…). Fu sotto l’Impero romano che cessò l’utilizzo dell’antico nome Primo Subino e nei documenti apparve il nuovo toponimo Rippa Sancti Vitalis che nei secoli si trasformerà in Riva San Vitale». Intuire il senso di «riva» non è difficile, chi fosse «Sancti Vitalis» non siamo riusciti a scoprirlo.
Restando in tema di difficoltà, molte ne abbiamo avute nel trovare le ragioni dietro la denominazione di Vacallo. Non rintracciando documenti, abbiamo chiesto aiuto al sindaco Marco Rizza, che ha scovato per noi una vecchia ricerca. «Secondo il Salvioni – si legge nella pubblicazione – la denominazione (che data 1202, ndr) deriva da vacca che attraverso un latino: Vàccale, diede un dialettale: Vacàl e quindi un ricostruito: Vacallo».