Per il Ticino l'ultimo preventivo indolore
Sarà un preventivo delle larghissime intese, sostenuto da tutto il centrodestra (compresa l’UDC), oppure «solo» delle larghe intese, approvato dal più classico triumvirato formato da PLR, Lega e Centro/PPD? La risposta la conosceremo solo domani pomeriggio, quando il Gran Consiglio voterà i conti previsionali del Cantone, che per il 2023 stimano un deficit di 79,5 milioni e un debito pubblico oltre i 2,5 miliardi.
Ad ogni modo – sia larga o larghissima – l’intesa trovata in Gestione sembra reggere e, alla luce della prima parte del dibattito andata in scena lunedì pomeriggio, con ogni probabilità il preventivo sarà approvato senza problemi.
In ogni caso, però, sappiamo già pure che perlomeno a medio e corto termine quello del 2023 sarà l’ultimo preventivo indolore. A confermarlo è stato lo stesso presidente del Governo Claudio Zali. Ma, più in generale, durante tutta la discussione i gruppi parlamentari, con sfumature diverse, hanno fatto capire che per rispettare quanto votato dal popolo il 15 maggio (il famoso «decreto Morisoli» che prevede il pareggio di bilancio entro la fine del 2025) in qualche modo a partire dal prossimo anno bisognerà intervenire sulla spesa.
Il dibattito
A contraddistinguere la prima parte del dibattito è stato lo scontro fra i sostenitori del rapporto di maggioranza che approva il Preventivo (PLR, Lega, Centro e UDC) e i sostenitori della minoranza che bocciano i conti previsionali (PS e Verdi). Anche se, va detto, qualche frecciatina è arrivata pure all’indirizzo del Governo.
A cominciare dal relatore di maggioranza, il presidente del Centro/PPD Fiorenzo Dadò. «La fragilità delle finanze pubbliche è un problema strutturale, costruito mattone dopo mattone», ha evidenziato, rimarcando che si tratta di «una realtà che va affrontata con serietà da parte di tutte le forze politiche» e richiede quindi «uno sforzo sia del Governo che del Parlamento». In questo senso, inserendo la «modalità schiettezza», Dadò ha spiegato che in Gestione «è stata necessaria una dose di Valium istituzionale per non allineare le cifre del preventivo con la realtà dei fatti». Una critica rivolta al fatto che nel documento sono presenti cifre che un po’ tutti i partiti hanno definito «irrealistiche», come i 137 milioni di dividendi della BNS che probabilmente non arriveranno. Ma non solo. Dadò ha pure ricordato che «già lo scorso anno il Parlamento aveva chiesto al Governo di indicare le linee da seguire per contenere la spesa». Una richiesta «del tutto disattesa». Ecco perché, ha infine ricordato Dadò, «la maggioranza della commissione chiede un’analisi seria della spesa da parte di un ente esterno e indipendente». Un’analisi che dovrà «servire da bussola per riorganizzare l’amministrazione e a medio termine contenere la spesa».
Il relatore del rapporto di minoranza, il capogruppo socialista Ivo Durisch, ha invece bocciato su tutti i fronti il Preventivo 2023. Sia dal punto di vista contabile che politico. E questo perché «questo preventivo si trova confrontato con esigenze della società a cui non può dare risposta». Non ci sono risposte «sul cambiamento climatico, sulla povertà, sull’inflazione, sulle disuguaglianze». Per Durisch, dunque, «la maggioranza preferisce attendere il 2023 senza, nel frattempo, dare alcuna risposta» ai bisogni della popolazione e, al contempo, «celando la reale situazione delle finanze». E questo perché «nessun partito, sotto elezioni, vuole mostrare le conseguenze delle scelte fatte negli scorsi anni». Oltre a ciò, per Durisch questo preventivo contiene pure «una bomba ad orologeria»: «l’obbligo del pareggio di bilancio entro il 2025». Ciò significa, «che la maggioranza del Parlamento sarà tenuta a tagliare la spesa, nell’ordine di 100-150 milioni di franchi, incidendo così anche sulla fasce più fragili della popolazione».
La capogruppo del PLR Alessandra Gianella ha invece insistito sull’importanza di «dare un segnale di stabilità approvando i conti», in particolare alle luce del fatto che «la prossima legislatura sarà ancora più complicata». E in questo contesto, ha rimarcato, «occorrerà darsi delle priorità per fare passi avanti». Per la Lega, il capogruppo Boris Bignasca si è detto soddisfatto del preventivo, «non per i suoi contenuti, bensì per il cambio di rotta proposto», che prevede l’invito a limitare la spesa pubblica e sgravi per il ceto medio.
Dai Verdi, senza sorprese, è invece giunta una bocciatura ai conti. «A nostro avviso - ha spiegato la co-coordinatrice Samantha Bourgoin – il Governo non ha ancora messo a fuoco le vere sfide da affrontare». L’UDC, invece, per la prima volta in tanti anni ha firmato il rapporto a sostegno del preventivo. Un sì condizionato, ha ricordato il deputato Paolo Pamini durante il dibattito in aula, «dalla presenza della clausola che pone a 80 milioni il deficit massimo per il 2023». Tuttavia, su questa clausola ha fatto chiarezza il direttore del DFE Christian Vitta, dando risposte che non hanno soddisfatto l’UDC. Non a caso, raggiunto a margine del dibattito, Pamini ci ha spiegato che l’UDC «non è più così sicura (ndr. del sostegno al preventivo) e si consulterà all’interno del gruppo: vedremo anche le risposte sui singoli dipartimenti, ma la poca decisione nella risposta di Vitta non ci è per nulla piaciuta».
Il Governo in coro difende il preventivo
A difendere su tutta la linea il preventivo, va da sé, ci ha pensato il Governo. In prima battuta con il presidente Claudio Zali, il quale ha rimarcato che il Preventivo 2023 «va contestualizzato» ai tempi difficili che stiamo vivendo, tra pandemia, guerra e inflazione. Ma soprattutto, «nell’opinione del Governo il preventivo è corretto e attendibile» e «dispiace doversi confrontare con lo scetticismo» dei partiti sulle cifre presentate. Anche perché, ha ricordato, «il Governo è riuscito a rispettare il percorso di rientro (ndr. verso il pareggio di bilancio entro il 2025) senza incidere oltre misura sulle prestazioni. Ma in futuro non sarà così». Detto altrimenti, a partire dal prossimo anno occorrerà rivedere la spesa.
Dal canto suo, il direttore del DFE Christian Vitta ha anch’esso puntualizzato che il preventivo «si inserisce in un periodo estremamente incerto». E, ha ricordato Vitta, «questo Governo in passato aveva già segnalato l’allarme rosso sul fronte finanziario, ma proprio da parte del Parlamento era giunto l’invito a non avere fretta sul risanamento, poiché prima venivano le esigenze della popolazione».
Più in generale, il direttore del DFE ha confermato che il Governo «accoglie con favore la volontà politica di fissare degli obiettivi vincolanti per i prossimi anni. Ma è altrettanto consapevole che ciò dovrà tradursi in un’azione condivisa da parte di tutti i livelli istituzionali». Anche perché «si tratta di obiettivi ambiziosi».
Insomma, detto in soldoni, tutti «già nel corso del 2023» saranno «chiamati a elaborare un pacchetto di riequilibro delle finanze per raggiungere gli obiettivi che ci siamo dati da qui al 2025».
Sollecitato dal deputato democentrista Paolo Pamini, Vitta ha poi chiarito che il vincolo messo a decreto dalla maggioranza parlamentare – che prevede un tetto massimo di 80 milioni di deficit per il 2023 – «è un indirizzo, non un vincolo di legge assoluto». «Quello che il Governo si impegna a fare, già nel 2023, è contenere nel limite del possibile eventuali scostamenti. Ma non c’è una garanzia che, se mancheranno gli introiti dalla BNS, si arriverà al deficit massimo di 80 milioni».
I Dipartimenti
La seconda parte del dibattito si è poi spostata sui preventivi dei singoli Dipartimenti. A cominciare dal DSS. Diversi gli interventi sui premi di casse malati, ma anche sulla futura Pianificazione ospedaliera. A tal proposito, il direttore del DSS Raffaele De Rosa ha confermato che il relativo messaggio sarà licenziato entro la fine della legislatura.
Dopo il DSS è stata la volta del DECS. Il tema principale affrontato dai deputati è stato il superamento dei livelli alle Medie. Dure le critiche di Aron Piezzi (PLR), secondo cui «la proposta è fragile e per questo attaccata da più parti». «Spiace rilevare - ha proseguito - la mancanza di autocritica e la cocciutaggine del DECS». Una frecciatina è giunta anche da Lelia Guscio (Lega): «Il fatto di essere a fine Legislatura non deve essere un alibi per presentare messaggi poco completi». Alessio Ghisla (Il Centro/PPD) ha spiegato che «sono emersi alcuni aspetti critici che dovranno essere corretti». L’auspicio, ha però aggiunto, «è che si possa dare una risposta ad allievi e genitori senza subire pressioni da parte del DECS e senza farsi condizionare dalla campagna elettorale». Da parte sua, Daniela Pugno Ghirlanda (PS) ha tenuto a ribadire che «le audizioni sono ancora in corso e quindi è opportuno non trarre conclusioni anticipate, visto che, oltretutto, 12 mila allievi attendono una risposta».