Processo

Presunto abuso di gruppo, «Un cattivo esempio di giustizia»

È ripreso il dibattimento a carico di tre luganesi accusati di aver abusato nel 2019 di una ragazza forse ubriaca – È scontro sulle conclusioni della perizia-bis disposta dalla Corte – Raffica di critiche al procuratore pubblico Akbas
© CdT/Gabriele Putzu
Nico Nonella
25.10.2023 18:30

Che cosa sia effettivamente successo quella sera di fine luglio di quattro anni fa, a margine di una festa campestre nel Luganese, ancora non è chiaro. Si è trattato di un abuso o di un rapporto consenziente? In attesa della sentenza della Corte delle assise criminali, prevista per venerdì pomeriggio, ad oggi di certezze ce ne sono poche. L’unica, emersa nel corso di ben due dibattimenti (il primo si era tenuto a fine marzo), è che questa inchiesta ha scontentato un po’ tutte le parti, sia la difesa dei tre imputati alla sbarra, sia la patrocinatrice della presunta vittima dell’abuso di gruppo. E che gli avvocati degli imputati e i rappresentanti degli accusatori privati si trovino d’accordo in un procedimento penale, permetteteci di dirlo, è tutto fuorché usuale.

Un elemento chiave

Alla sbarra ci sono tre luganesi: due, di 31 e 27 anni, sono accusati di atti sessuali con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, mentre un 25.enne di essere stato loro complice. Secondo l’atto d’accusa stilato dal procuratore pubblico Zaccaria Akbas, i primi due avrebbero avuto un rapporto sessuale con la ragazza approfittando del fatto che lei fosse completamente ubriaca (elemento centrale nella vicenda) mentre il terzo avrebbe «fatto il palo». Dopo che la giovane, in lacrime, aveva detto basta, entrambi si erano fermati, ma il 31.enne l’avrebbe costretta a un secondo rapporto. Sette mesi fa, la Corte presieduta dal giudice Siro Quadri aveva disposto l’assunzione di nuove prove. E questo perché non era stato possibile stabilire con certezza l’incapacità di resistere della vittima al momento dei fatti. In particolare, gli avvocati Sandra Xavier, Niccolò Giovanettina e Massimo De’Sena avevano contestato la perizia tecnica che aveva stabilito come la ragazza (la quale, dopo i fatti, era rientrata a casa in auto) fosse verosimilmente ubriaca, con un tasso alcolemico probabile compreso tra di 1,35 e 3,10 grammi per mille. La seconda perizia, di tipo psichiatrico, ha invece dato un responso molto diverso e ipotizzato che non vi fosse un’incapacità totale di resistere. Sulla base dei contenuti della perizia-bis, il procuratore ha quindi ipotizzato un valore di 2,64 grammi per mille di alcol nel sangue al momento dei fatti. Dal momento che il reato contestato ai tre imputati (Art. 191 CP) richiede che la vittima sia completamente ubriaca e la nuova perizia sembrerebbe escluderlo, il magistrato ha modificato l’atto d’accusa, estendendo gli addebiti nei confronti del 31.enne ai reati di violenza carnale e coazione, riferiti al secondo rapporto sessuale.

Accuse e dubbi

Una decisione, quella del magistrato, che ha scontentato praticamente tutte le parti in causa. Tanto che la patrocinatrice della presunta vittima, l’avvocato Letizia Vezzoni, pur allineandosi alle richieste di pena– 36 mesi (18 da espiare) per il 31.enne, 28 mesi (6 da scontare) per il 27.enne e 20 mesi sospesi per l’amico – ha preso la parola «con stanchezza e disillusione» per un procedimento rivelatosi «lungo ed estenuante» per la sua assistita: «Il sistema giudiziario ha fallito, indipendentemente dall’esito del processo. Ho sempre sostenuto che sin da subito la posizione dell’imputato principale riguardo il secondo episodio fosse più grave e a sé stante. Ben venga quanto prospettato, ora, dal procuratore: agli atti ci sono fatti e dichiarazioni a sostegno di questa tesi».

«Condivido quanto detto dalla patrocinatrice della vittima: l’inchiesta è deragliata e si è rivelata un cattivo esempio di giustizia, e ad andarci di mezzo sono stati sia gli imputati che l’accusatrice privata», ha affermato il difensore dell’imputato principale, l’avvocato Giovanettina. «In casi come questo, di solito, non ci sono né vincitori né vinti; qui avremo per forza solo dei vinti». Per quanto riguarda invece le accuse mosse al suo cliente, il legale ha argomentato che «anche questa seconda perizia sostiene ciò che le difese hanno sempre ribadito, ossia che con ogni probabilità l’accusatrice privata non si trovava in stato di totale inattitudine. Il procuratore avrebbe dovuto ammettere l’errore e invece ha esteso le accuse contro il mio cliente: così non si fa».

«Quanto avvenuto ha dell’incredibile», ha chiosato Xavier, legale del 27.enne. «Non ho mai avuto così tanto imbarazzo nel sostenere e mantenere vivo il mio senso di giustizia. L’accusa ha interpretato a piacimento la perizia, giungendo a conclusioni inaccettabili. Il perito fa degli esempi e non vedo come un esempio possa essere preso in considerazione per formulare queste accuse. La perizia ci conferma invece che con tutta probabilità l’accusatrice privata non si trovava in uno stato totale di incapacità di discernimento». Elemento, come detto, che è necessario per poter contestare il reato di atti sessuali con persone inette a resistere. «Non ci sono elementi che provino la colpevolezza del mio assistito. Dalla nuova perizia emerge solo la mancanza degli elementi costituivi del reato», ha affermato De’Sena. Tutti e tre i difensori hanno chiesto il proscioglimento degli imputati da tutte le accuse.

«Non rispondo»

Insomma, sia l’inchiesta che le conclusioni della perizia-bis non hanno convinto le parti e lo stesso presidente della Corte – parso più propenso a considerare le conclusioni della prima analisi – ha dovuto ribadire in due occasioni: «Non è in questa sede che giudichiamo l’operato del procuratore». Dal canto suo, vista l’estensione delle accuse, Akbas avrebbe voluto porre al 31.enne altre domande, una dozzina, sul secondo rapporto sessuale, ma l’imputato si è avvalso della facoltà di non rispondere. «Dagli atti emerge una chiara assunzione di bevande alcoliche da parte della vittima. Certo, va rimarcata l’oggettiva difficoltà nel ricostruire le sue condizioni psicofisiche, ma lei, quella sera aveva detto basta. L’imputato, però, ha abusato di lei».

La verità su quanto successo davvero quella sera, la conoscono solo quattro persone: la presunta vittima e i tre imputati. Venerdì emergerà quella giudiziaria, che avrà giocoforza dei vincitori e dei vinti. Ma moralmente avranno perso tutti.

Il tasso alcolemico della presunta vittima è un tassello fondamentale in questa vicenda. Il reato di atti sessuali incapaci di discernimento o inette a resistere (Art.191 del Codice penale), sui cui si era inizialmente concentrata l'accusa, richiede infatti un’incapacità totale da parte della vittima. Secondo gli avvocati difensori dei tre imputati, però, manca proprio questo elemento oggettivo del reato in quanto, a loro dire, la ragazza non era completamente ubriaca. O perlomeno non è possibile provarlo. Se la prima perizia tecnica aveva fissato una "forchetta" con un possibile tasso alcolemico minimo di 1,35 grammi per mille e massimo di 3,10, la seconda aveva teorizzato che non vi fosse un’incapacità totale di resistere. L'accusa ha quindi ipotizzato due nuovi reati: violenza carnale (in subordine atti sessuali incapaci di discernimento o inette a resistere) e coazione. I rispettivi articoli di legge non richiedono che la vittima sia completamente ubriaca
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