«Un professore che mi segue sui social? Solo se non sono più sua allieva»
Sono stati in molti, finora, ad esprimersi sul caso del direttore arrestato e in generale sulle relazioni pericolose fra docenti e allievi: genitori, insegnanti, politici, funzionari, psicologi, giudici, avvocati. Una voce che invece si è sentita poco - o non si è sentita affatto - è stata quella di ragazze e ragazzi, cioè di chi può trovarsi a vivere situazioni di questo genere, direttamente o come testimone. Così abbiamo voluto dare la parola a quattro giovani, oggi universitarie, che hanno frequentato medie e superiori in Ticino. Ascoltandole, vien da pensare che quanto successo a Lugano Centro potrebbe non essere un caso tanto isolato: le ragazze, almeno una volta durante il loro percorso formativo, hanno sentito parlare di relazioni tra loro docenti e compagne di classe. Voci, comunque, non certezze. «Le giovani, soprattutto alle medie, tendono a ingigantire certi comportamenti dei professori - riconosce una delle intervistate - al tal punto da confondere la realtà con il pettegolezzo ». «Ricordo che due mie compagne delle superiori avevano accusato un professore di ginnastica di essersi comportato in modo indiscreto - racconta un’altra ex allieva -. La mia classe l’aveva fatto notare al nostro docente responsabile, ma lui non aveva potuto agire per mancanza di prove». Ma cosa si può fare, voci o non voci, per prevenire queste situazioni? «Si dovrebbe parlarne di più, spiegando alle ragazze che quando un adulto rivolge loro delle attenzioni, non sempre si tratta di un sentimento d’amore».
Nel caso dei docenti, la situazione è resa più complicata dall’autorità che esercitano sugli allievi e dall’ascendente che può derivarne. «In quanto studentessa, io obbedisco al mio docente e credo di non poter fare molto contro la sua volontà. Quando ero alle medie nessuno mi ha mai detto che mi sarebbe potuta capitare una cosa del genere, e a quell’età è più facile essere manipolate. Per questo è molto importante parlarne». Secondo le nostre interlocutrici, dunque, la sensibilizzazione è la chiave e «non dovrebbe essere rivolta soltanto a professori e studenti, ma anche ai genitori, che spesso non sono consapevoli dei rischi che corrono le loro figlie». Rischi che a volte passano dalle reti sociali o dalle applicazioni per scambiarsi messaggi. La richiesta che l’ex direttore delle medie di Lugano fece ai suoi allievi di includerlo in un gruppo su WhatsApp non è così rara, stando alle testimonianze raccolte. Di solito però si parla di questioni organizzative, non di sessualità. «I gruppi WhatsApp sono utili, ma un docente dovrebbe cominciare a seguirmi sui social solo se non sono più una sua allieva» spiega una delle ragazze. Un’altra invece condanna definitivamente l’utilizzo di WhatsApp da parte di studenti e insegnanti, credendo che sia meglio ricorrere alla e-mail, per evitare il rischio di «non rispettare i rispettivi ruoli». Un altro aspetto su cui le nostre intelocutrici sono d’accordo riguarda l’educazione sessuale nelle scuole, ritenuta da tutte loro come un utile fattore di prevenzione. Non mancano alcune criticità. «Quando frequentavo le scuole medie, le si dedicava solo un’ora e si parlava per lo più di aspetti pratici e non etici, come il concetto di consenso».