Viaggiatori dalla Cina, la Svizzera «esamina» le proposte dell'UE
«Attualmente non è prevista l'introduzione di misure sanitarie alle frontiere». Così si era espresso il 29 dicembre l'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP), quando la vicina Italia aveva deciso di introdurre l'obbligo di tamponi antigenici COVID-19, e relativo sequenziamento del virus, per tutti i passeggeri provenienti dalla Cina e in transito nel Paese. «In base alle attuali conoscenze, le varianti ad oggi in circolazione in Cina sono sottovarianti di Omicron - avevano spiegato da Berna -. Al momento non riteniamo che l'attuale situazione delle infezioni in Cina rappresenti un rischio maggiore». Lo stesso giorno l'agenzia sanitaria dell'Unione Europea aveva definito «ingiustificata» l'introduzione dei test obbligatori per i viaggiatori provenienti dalla Cina. Ma oggi le cose sono cambiate. Come reagirà la Svizzera?
Ieri, 4 gennaio 2023, il meccanismo integrato europeo di risposta alle crisi (IPCR), dopo una riunione fiume di oltre sei ore, ha annunciato che gli Stati membri dell'UE sono «fortemente incoraggiati» a introdurre il requisito di un test negativo effettuato 48 ore prima della partenza dalla Cina. «Gli Stati membri hanno concordato un approccio precauzionale coordinato alla luce degli sviluppi della pandemia nel Paese asiatico, in particolare considerando la necessità di dati sufficienti e affidabili». Tra le misure di contenimento e monitoraggio, oltre al tampone pre-partenza e alla mascherina FFP2 in volo, la riunione del Meccanismo integrato di risposta alle crisi «incoraggia» i Paesi membri a «effettuare test anti-COVID a campione a chi arriva dalla Cina» e, soprattutto, a «esaminare e sequenziare le acque reflue degli scali dove sono previsti voli internazionali e aerei in arrivo» da Pechino, continuando a promuovere la vaccinazione.
L'IPCR, in collaborazione con l'European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e il Servizio di Azione Esterna europeo, «continuerà a monitorare la situazione epidemiologica e gli sviluppi della situazione in Cina, inclusa la questione della condivisione dei dati, con l'obiettivo di assicurare un coordinamento all'interno dell'UE», si legge nella nota diffusa ieri dalla presidenza alla fine della riunione.
Bene. L'approccio europeo, nonostante le proteste di Pechino, sembra cambiare. L'UE non ha intenzione di sprofondare (di nuovo, dopo tre anni) nell'incubo della pandemia e preferisce essere previdente. E in in passato la Svizzera si è spesso allineata con i paesi dell'Unione. Come è stato percepito, a Berna, quanto emerso ieri? «La Svizzera prende atto dei risultati di questo incontro e li sta esaminando nel dettaglio - ci fanno sapere dall'UFSP -, in particolare per quanto riguarda i criteri epidemiologici». Niente di deciso, nulla di definitivo, dunque. Ma la luce sui viaggiatori dalla Cina sembra essersi accesa anche nella Confederazione.
Chi si è già mosso
La Germania introdurrà i test obbligatori per chi arriva dalla Cina a causa della ondata di COVID-19 che colpisce il Paese asiatico. Lo ha reso noto oggi il ministro della Salute Karl Lauterbach. In Italia il monitoraggio dei viaggiatori del Paese asiatico proseguirà fino al 31 gennaio e i risultati dei sequenziamenti realizzati dai laboratori competenti saranno resi noti solo qualora venissero riscontrate nuove varianti. In Francia, dall'8 gennaio, i passeggeri che si imbarcano sui voli provenienti dalla Cina «si impegnano ad accettare di sottoporsi a un test all'arrivo, un test che è anche oggetto, quando è positivo, di un sequenziamento». «Il mio governo - ha dichiarato la premier Elisabeth Borne - fa il proprio dovere proteggendo i francesi e chiedendo dei test. E continueremo a farlo». Il Belgio ha introdotto la raccolta e l'analisi delle acque reflue dei voli diretti in arrivo all'aeroporto di Bruxelles e un test molecolare per le persone sintomatiche che hanno soggiornato in Cina negli ultimi sette giorni. A chiedere un test negativo ai viaggiatori in arrivo dal Paese asiatico sono anche Gran Bretagna, Spagna, Stati Uniti, Israele, Australia, Canada, Giappone, Corea del Sud, India.
Di fronte all'impennata di casi in Cina, esplosa dopo la fine della politica zero-COVID anche a causa del basso tasso di vaccinati nel Paese, Bruxelles ha offerto a Pechino «la donazione di vaccini adattati alle varianti» in segno di «solidarietà e sostegno». Ma la Cina ha rifiutato rivendicando «le più grandi linee di produzione al mondo di vaccini COVID con una capacità di produzione annuale di oltre 7 miliardi di dosi e una produzione annua di oltre 5,5 miliardi di dosi, che garantiscano che tutte le persone idonee alla vaccinazione abbiano accesso ai vaccini COVID». «La situazione è prevedibile e sotto controllo», ha ribadito il ministero degli Esteri.