La piccola lezione del signor Georg Heitz
La grande stima di Joe Mansueto per Georg Heitz, da ieri, ci appare nitida. Logica. E pure giustificata, nonostante i fallimenti a catena sul piano sportivo in quel di Chicago. Nel quadro dell’incontro fortemente voluto dalla società per mettere un punto alla stagione e iniziare a preparare il terreno per il futuro, il braccio destro del proprietario dell’FC Lugano ha fornito una piccola lezione. A noi, ai tifosi e - non da ultimo - a chi gestisce le operazioni in Ticino. Non era un vertice semplice, quello andato in scena nel cuore della città. Per la delicatezza del «caso Sabbatini» e, va da sé, per la prossimità (estrema) con la finale di Coppa persa. Persa in modo insopportabile.
Lo spessore e la sensibilità di Heitz, suggerivamo, sono emersi a ogni risposta data, a ogni puntualizzazione, a ogni ammissione. Certo, in merito al trattamento riservato al capitano, nemmeno l’ex direttore sportivo del Basilea ha riconosciuto pienamente il peccato originale. «Non c’è mai un timing ideale. Saremmo andati incontro a critiche in ogni caso» ha spiegato, riferendosi alla proposta fatta al giocatore a inizio aprile e a un disegno appeso all’esterno dello spogliatoio della prima squadra. La verità, al contrario, è che la questione è stata rimandata troppo a lungo. Sino ad ammantare la partita più importante dell’anno. E il fatto che non si sia ancora arrivati al dunque, beh, sintetizza la natura - più che la portata - del pasticciaccio. Heitz, al proposito, ha infatti ritenuto doveroso porre il tema in controluce. «Non esiste solo Sabbatini, il Lugano dispone di tanti altri elementi interessanti. E la stagione appena conclusa è lì a dimostrarlo». Non ha tutti i torti. Non deve scandalizzare.
Prendete le parole espresse in merito a Xherdan Shaqiri e al suo impatto sui Chicago Fire. Parole per certi versi ancor più clamorose. Più forti. «L’operazione, sin qui, non è stata un successo» ha affermato Heitz, riconoscendo pure di aver commesso troppi errori nell’allestimento della rosa negli ultimi anni. Chapeau. L’organico bianconero, quello, è invece stato costruito con mano felice. Lo certificano i risultati e la progressione di alcuni elementi sui quali si era deciso di investire senza la garanzia di fare centro. Qualora i vari Saipi, Hajdari e Bislimi dovessero fare il grande salto, però, la sfida sarà doppia e ardua: da un lato trovare dei sostituti all’altezza, dall’altro mettere in condizione staff tecnico e gruppo di essere degni della stagione appena conclusa.
Ecco, appunto: i meriti di Mattia Croci-Torti e i suoi collaboratori. Lungo il cammino, sul piano interno, il lavoro del Crus è stato dato quasi per scontato. E invece no. Il 2. posto in Super League, la fiducia accordata a quasi tutte le pedine di una scacchiera divenuta improvvisamente scomoda in assenza dell’Europa e - al netto dell’epilogo - la terza finale di Coppa consecutiva, non sono traguardi banali. Per tacere degli oggettivi sviluppi in termini di gioco offerto e maturità. Ebbene, ci è voluto ancora il signor Heitz per sottolineare tutto questo. A gran voce, con trasporto. Non bisbigliando. «Fosse per me, e se Mattia lo desiderasse, accetterei di sedermi al tavolo già questo pomeriggio per trattare il rinnovo». Un attestato di stima dovuto, per quanto privo di sostanza. Una carezza, anche, nel momento forse più difficile e sofferto da quando il ticinese siede sulla panchina del Lugano. E vederlo tentennare, circa il suo futuro in bianconero, è comprensibile. Di estimatori ve ne sono anche altri, soprattutto in Italia. Il club, la squadra e la piazza, tra meno di tre settimane, e quando la tristezza avrà mollato la presa, dovrebbero comunque ripartire dal Crus. Dalla parte per il tutto. A Cornaredo, però, non sarebbe male vedere e ascoltare più spesso Georg Heitz.