Il commento

L'incredibile Mondiale rossocrociato e la gloria come valore collettivo

Nelle scorse stagioni, in casa Svizzera, è stato esaltato soprattutto il talento individuale di Marco Odermatt e Lara-Gut Behrami - A Saalbach, come migliore promessa per il futuro, si è assistito a una clamorosa distribuzione del successo
Massimo Solari
16.02.2025 21:00

Tredici. In diversi ambienti, e per alcune culture, si tratta di un numero sfortunato. Da cui stare alla larga. Mentre euforia e stupore prendono il sopravvento, Swiss-Ski, i suoi splendidi atleti e i tifosi rossocrociati lo stringono invece a sé. Perché la cifra del nostro Mondiale è proprio quella lì. Ed è qualcosa di straordinario. Tredici, in effetti, non sono solo le medaglie conquistate dalla squadrona elvetica. Tanti sono pure gli interpreti saliti sul podio e tante sono dunque le penne che hanno contribuito a rimodellare la storia dello sci alpino.

La considerazione, beh, non è da poco. Soprattutto considerato l’elemento posto in controluce in queste ore fulgide: l’indimenticabile edizione iridata di Crans-Montana 1987. All’epoca, la spedizione elvetica contabilizzò una medaglia in più. I premiati, tuttavia, si fermarono a quota 7, con Pirmin Zurbriggen (due ori e due argenti) e Maria Walliser (due ori e un bronzo) a vestire i panni dei trascinatori. Certo, la competizione appena tramontata a Saalbach è stata in qualche modo dopata dal Team Event e dal nuovo formato della combinata, capace di raddoppiare meriti e delusioni. Per quanto sul podio bisognava comunque riuscirci a salire, il cuore del discorso è in ogni caso un altro.

Siamo reduci da un paio di stagioni che hanno esaltato soprattutto l’individuo. Due individui e le rispettive parabole, per la precisione: da un lato la fenomenale ascesa di Marco Odermatt e dall’altro la sublimazione della carriera di Lara Gut-Behrami. Mai come in Austria, invece, la gloria si è imposta come un valore collettivo. Trasversale. Un bene tramandato dagli uni - gli allenatori, con le loro preziose competenze - agli altri: i campioni svizzeri con il loro immenso talento e dei percorsi segnati anche dalla sofferenza. Oddio, è stato pure il Mondiale di «Odi» e di Lara. Il primo, in particolare, ha completato la personale collana di perle, trionfando in superG. La ticinese, individualista per eccellenza, ha da parte sua beneficiato più di altri della citata distribuzione del successo. Lo ha ammesso lei stessa, tributando la prestazione di Wendy Holdener dalla quale è nato uno speciale argento condiviso. D’altronde, è stata proprio la rivisitazione della combinata a esaltare il concetto dello «sciare per qualcuno». Si sono e ci siamo emozionati insieme. E poco importa se, su questo piano, è stata calcata un po’ la mano con le speranze, tradite o bagnate da lacrime di gioia, dei famigliari al parterre; eccola - forse - l’unica pecca di una rassegna di grande qualità in termini di preparazione delle piste, organizzazione e spettacolo.

Swiss-Ski e i suoi eroi, dicevamo, assaporano la grandiosità del momento. Che, grazie a un ultimo, travolgente weekend, non è solo appannaggio delle discipline veloci al maschile, ma anche di chi ama danzare tra le porte strette. Donne e uomini d’oro, come non se ne vedevano da decenni. Vero, e come riconosciuto dal presidentissimo Urs Lehmann, il dopo Gut-Behrami rimane un cantiere aperto e - tenuto conto dell’eredità in ballo - non di facile gestione. Ma con queste condizioni quadro e una giovane generazione di vincenti, il futuro assomiglia a un’altra, generosa promessa. La pressione, fra due anni, sarà inevitabilmente maggiore. Perché si torna a Crans-Montana e perché, oltre a riesumare i fasti del 1987, il raffronto di chi gareggia e di chi osserva chiamerà in causa il ricco medagliere di Saalbach-Hinterglemm 2025. Un Mondiale memorabile, nel segno della gloria collettiva e di un numero felicissimo: il tredici. 

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