Se Mario Monti tira fuori gli artigli

di GERARDO MORINA - Parlare di economia e discettare di «spread» è un conto, piazzare una strategia elettorale un altro. Mario Monti nasce economista cattedratico, ma viene chiamato a fare il politico, con un?operazione che, per sua stessa ammissione, va contro la sua natura. Così, nel momento cruciale del passaggio dal Monti tecnico al Monti politico, occorre un aiuto. Pensando alla grande, il presidente del Consiglio uscente non esita un istante.In breve tempo un aereo proveniente dagli Stati Uniti atterra a Fiumicino. Ne scende, tra gli altri passeggeri, un signore massiccio e baffuto di nome David Axelrod. Sarà lui, lo stratega che ha fatto vincere Obama, a impartire due o tre dritte al Professore. La principale: «Be aggressive». Da allievo diligente, Monti segue subito i consigli del guru d?Oltreoceano e, come si è visto negli ultimi giorni, non solo diventa aggressivo, ma mostra gli artigli. Spara a destra e sinistra e destra e sinistra rispondono al fuoco. PDL e PD mirano a fare il pieno di voti ciascuno nel proprio campo, riducendo al minimo lo spazio elettorale per il Centro, accerchiandolo anzi, al punto che il leader della «Lista civica» è e viene fatto sentire isolato. È vero, le campagne elettorali sono fatte per strappare voti agli avversari, ma servono anche a prepararsi il terreno per le alleanze di domani, soprattutto se, come nel caso di Monti, i sondaggi danno la sua formazione solamente a un 15 per cento di consensi. Certo, nella politica italiana se ne son sempre viste delle belle e le vie dell?«inciucio» (l?intesa con un avversario di cui in campagna elettorale si è magari detto peste e corna) sono infinite. Ma in questo Monti si sa che è un italiano atipico. Difficile che tale pensiero attraversi la sua mente. Allora i casi sono due. O Monti e i suoi avversari sono incoscienti e lo sparare nel mucchio risponde solamente ad una tattica di autodifesa, non creando nulla di costruttivo e preparando il terreno ad uno scenario disastroso, ovvero ad un Parlamento senza una maggioranza unita e un Governo stabile. Oppure il fatto di voler mostrare gli artigli nasconde una strategia specifica, composta di due stadi. Il primo: usare il bastone per fare capire le proprie intenzioni, a scanso di ogni equivoco. Il secondo: rendere solo gradualmente chiaro, di qui al voto, con chi si pensa di governare, perché solo in questo modo si potranno allargare i consensi. E, se di strategia si tratta, va interpretata.
Partiamo dai sondaggi. L?ultimo, quello commissionato all?Istituto Piepoli dal quotidiano «La Stampa» ad un mese esatto dall?appuntamento elettorale, assegna al PD e a SEL (la formazione di Vendola) un?ampia maggioranza alla Camera ma non al Senato, dove Lombardia, Veneto e Sicilia dovrebbero andare al centrodestra. Per governare, il leader del PD Pierluigi Bersani dovrà allearsi con Monti, ottenendo in quel caso ampi numeri per prendere la guida del Paese. Al Senato, invece, una coalizione composta unicamente da PD-Lista Monti otterrebbe la maggioranza assoluta ma per un solo seggio: decisamente fragile per riuscire a governare. Ragionamento montiano: Bersani non sarà autosufficiente e avrà bisogno di noi. E con noi, prima o poi, dovrà scendere a patti anche il centrodestra, dal momento che Berlusconi, se non avverrà un rilancio miracoloso del PDL, sembra andare verso una diaspora inevitabile del suo partito. Intento di Monti sarebbe quindi di scardinare i due poli, mirando ad unire e federare i riformisti di entrambe le parti e dettando le sue condizioni. Non solo il PD deve rispondere del pasticcio politico-bancario del Monte dei Paschi di Siena in quanto il partito di Bersani «esercitava un?influenza su quella banca», ma «noi siamo elettoralmente avversari della sinistra, a maggior ragione della sinistra di Vendola e della grande influenza esercitata dal sindacato CGIL». Castigando parallelamente il polo di destra PDL-Lega («partiti populisti,non europeisti e che non danno garanzie di riforme»), Monti non ha escluso,semmai, future alleanze con il PDL, a patto però che il partito «si mondi» della presenza di Berlusconi. E qui il Professore guarda ad uno spazio ben preciso: quello del 30 per cento degli indecisi, tra i quali figurano principalmente elettori berlusconiani delusi dal Cavaliere e tendenzialmente ostili alla sinistra. Insomma, Monti fa sul serio,abbandona i toni pacati e non esita a ruggire, sistemandosi sulla riva del fiume. Tutto, è convinto, può ancora succedere.