L'editoriale

È un violento decrescendo, ma il Lugano non abdica

Imprevedibile nella sua portata, non del tutto inspiegabile: la crisi della squadra di Mattia Croci-Torti non merita ancora giudizi definitivi
Massimo Solari
11.03.2025 06:00

È una tempesta perfetta. Imprevedibile, nella sua portata. E però non del tutto inspiegabile. Anzi. L’FC Lugano arranca. In Super League. In Coppa Svizzera. In Europa. Non bastano le ambizioni e una filosofia di gioco che rimane basata sul coraggio, perché se vengono a mancare le energie, la fiducia, la fortuna e pure il sorriso, beh, non c’è corazza di buone intenzioni che tenga. Il sorriso, sì. Non sono pochi gli osservatori che - lungo queste settimane complicate - hanno notato una squadra intristita. O quantomeno prigioniera di una convinzione diventata insostenibile. Renato Steffen, come spesso accade, ha centrato il nocciolo della questione. «Ciascuno deve tornare a preoccuparsi delle proprie prestazioni e smetterla di pensare a dove sarà e quando se ne andrà. La realtà è qui, a Lugano, e così non si va da nessuna parte. Sognare è bello, ma lo si fa quando si dorme». Insomma, forse a Cornaredo si è creduto di poter ipotecare la gloria - collettiva e personale - anzitempo. Forti di un girone d’andata da applausi, certo, ma senza alcuna garanzia circa le variabili della seconda parte del campionato. «Ad ogni modo, ho sempre affermato che non sarebbe stato semplice chiudere nelle prime sei e invito chiunque a smentirmi» ha voluto precisare il tecnico Mattia Croci-Torti. È la verità. Il Crus non ha mai smesso di puntare in alto - è stato il primo a farlo apertamente - e al contempo di evidenziare le insidie di un torneo schizofrenico. Il tecnico momò ha altresì sempre creduto nella forza del suo gruppo, difeso a oltranza. Difeso pure oggi. E se in una circostanza così delicata le uniche bordate interne sono quelle architettate da Steffen per scuotere l’ambiente, beh, significa che lo spogliatoio - per quanto in affanno - resta vivo. E tutto sommato sano.

Non solo. Il Lugano, bisogna riconoscerlo, persevera, insiste, ci prova. Si fa preferire. No, non è arrendevole. L’attuale ritmo delle cose, tuttavia, è preoccupante. «È un violento decrescendo», per dirla con Rkomi e ripensando alla serie di partite che ha visto la squadra autosabotarsi. «Quante cose distruggiamo costruendo». Già. E la clamorosa eliminazione in Coppa per mano del Bienne, in tal senso, ha costituito il crollo più clamoroso. La parte per il tutto, in assenza della quale toni e umori si manterrebbero probabilmente su inclinazioni meno preoccupate. Un potente diversivo, detto altrimenti, è stato bruciato. Rimangono gli ottavi di finale di Conference League, che se superati - ed è il bello del calcio - permetterebbero all’ambiente bianconero di tornare a spostare gli accenti, trasformandoli da gravi in acuti. Eccolo, dunque, l’appiglio a cui aggrapparsi, poco importa come. Suvvia ragazzi, è lo Celje, non il Bruges. Forza.

Il vento di una stagione che non è finita dovrà assolutamente girare a Thun, giovedì sera. Per poi abbattersi sul Winterthur, prima di concedere al gruppo una vitale tregua di due settimane. Lo ribadiamo: questo Lugano necessita di riposo e tranquillità, permettendo a tanti elementi di alleggerire la mente e recuperare le migliori sensazioni. Perché l’involuzione di Papadopoulos è sotto gli occhi di tutti, perché a Grgic chiediamo di più della freddezza dagli undici metri, perché Steffen è l’ombra di se stesso e a Zanotti non riesce più tutto. Le seconde linee? Mah, il filo che lega le inadempienze dei leader e l’inaffidabilità di troppi rincalzi è sempre meno sottile. E, va da sé, chiama in causa il club, che a sua volta non ne sta uscendo benissimo. Lungo il mercato invernale ci si è accontentati del minimo indispensabile, di fatto prestando il fianco alla scure della fatalità. Fatalità che non ha tardato ad accanirsi sulla salute della prima squadra. Agli annunci altisonanti circa gli obiettivi perseguibili - e Joe Mansueto non si è tirato indietro - ha fatto seguito una ponderazione insufficiente degli interessi in gioco e dei valori necessari per realizzarli. Basta osservare l’apporto di chi, più per disperazione che per scelta dell’allenatore, è chiamato a risolvere i problemi di una squadra che da cinque partite non riesce a segnare su azione.

Ma il tempo dei bilanci, anche in merito all’operato della dirigenza, arriverà a tempo debito. Oggi al Lugano non si chiede il titolo, quanto di ritrovare equilibrio e soprattutto credibilità. Tra sogni e depressione, dopotutto, esiste un ragionevole compromesso. E in queste stagioni cariche di soddisfazioni e progressi gli uomini di Croci-Torti non hanno mai abdicato.

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