La Lega in doppiopetto e la verginità popolare
La Lega ha archiviato la dozzina di mesi sotto l’inopportuna, inutile, inconcludente e giocoforza incolore, guida da parte del consigliere di Stato Norman Gobbi. La Lega, non senza dissapori, malumori e assenze politicamente di spessore, nel corso dell’assemblea di ieri sera (rigorosamente a porte chiuse per sottolineare la propria trasparenza nei confronti del Paese reale) ha seguito la scelta suggerita dallo stesso Gobbi. Ha così deciso di dare il volante (ma anche gas e freno) a Daniele Piccaluga, volenteroso e nostrano leghista, seppure tremendamente acerbo per incarnare a freddo e senza un po’ di apprendistato il tanto oneroso compito di coordinatore del partito di maggioranza relativa in Governo.
Nelle ultime settimane è tornato in voga l’appellativo di «movimento», ma altro non è che un artificio politico per riesumare nelle teste «della gente» i fasti della Lega degli albori, di quel lontano 1991 quando Giuliano Bignasca e i suoi picconavano e ribaltavano il tavolo di sasso della partitocrazia ticinese. Momenti unici, irripetibili dal profilo della storia e della politica. Credere, illudersi e illudere che basti mettere al comando un clone di «Gobbi primo» per ottenere come d’incanto popolarità e gloria, ovviamente non con l’intento di lasciare il potere e le sue stanze, ma di rinnovarsi ricostruendosi una verginità (anche popolare), è una mossa che sarebbe sfuggita anche al più scaltro dei registi di fantasy.
Diciamo in primo luogo che «Gobbi primo» non era al comando di quella Lega. Era un ariete messo in campo abilmente da chi con astuzia e cervello aveva individuato in lui un politico da forgiare, capace di imporsi nella giungla dei politici di spessore che allora abitavano le stanze dei grandi partiti. Ma c’era un disegno, c’era una sottile strategia dietro tutto. Perché, lo sottolineiamo, i due fratelli Bignasca si sedevano con il popolo a mangiare risotto e luganiga, si mostravano popolari, ma attorno a sé avevano una truppa piena di vigore ed entusiasmo. L’abilità era inscritta nel DNA e la strategia stava nelle colonne portanti di via Monte Boglia. Una strategia vincente, come vincente è stata la Lega fino a quando ci sono stati i due fratelli Bignasca. Poi qualcosa si è rotto, in quello che era il quartiere generale e, di riflesso, nel partito. Ora da colui che appare come un onesto, sincero e «ruspante» (citazione) leghista dell’ultima ora e che incarnerebbe lo spirito di quelli della prima ora, si pretende che faccia l’ariete mandando in visibilio il popolo leghista e nello stesso tempo incarni il cervello capace di stabilire la strategia politica. Due ruoli ben distinti che i Bignasca non hanno mai rivestito contemporaneamente. A Piccaluga, uomo che ama la gente e che ricordiamo dirigere la sua «guggen» a carnevale, serviranno doti soprannaturali per fare di tutto e di più. Ovviamente a lui si chiederà in primo luogo di frenare l’emorragia di consensi e di seggi. Possibilmente persino di crescere. Alla fine è su questo che verrà valutato, non sul numero di brindisi al grido «viva la Lega».
Si sapeva che l’interregno di Gobbi non poteva essere utile per dare una rotta politica, perché non sarebbe stato credibile che a farlo fosse proprio colui che vestiva due giacche in contemporanea. Tuttavia, ci si poteva almeno attendere un po’ d’ordine. Dopo aver nominato diversi vice del coordinatore ad interim, all’insegna della più marcata provvisorietà, si auspicavano un minimo di ordine, di struttura, di strategia per cogliere il meglio dal cervello e dalla pancia. Invece, dopo aver illuso per mesi Alessandro Mazzoleni e Gianmaria Frapolli, Gobbi ha estratto dal cilindro Piccaluga. Significativo è stato il «benvenuto con il freno tirato» che gli ha riservato Lorenzo Quadri dalle colonne del Mattino dove, il messaggio politico era chiaro: non pensare di influenzarci, semmai sappi che se non seguirai la nostra rotta la tua vita sarà dura. Tanto per rimarcare il «celodurismo» del domenicale. Un gesto che, al di là delle parole di circostanza inserite per dare all’articolo la farsa del «benvenuto» segna l’operazione di eutanasia in atto nella Lega da anni che sta ormai giungendo al punto di non ritorno. Chi veste il doppiopetto e sta su sedie comode non muoverà un dito per dare una mano a Piccaluga, chi osserva da fuori e cerca una casa politica si trova con un’offerta ampia. E nell’area di destra l’UDC non pare dovere avere motivi per disperare che la sua crescita subisca scossoni con la nuova manovra leghista. Uno dei primi scogli di Piccaluga sarà quello di sedersi al tavolo con l’UDC con un grande dilemma: usare il bastone o preferire la carota? C’è da negoziare un nuovo accordo elettorale per l’accoppiata d’elezioni del 2027 (cantonali e federali) e Piero Marchesi, primo consigliere di Stato UDC in pectore, non si accontenterà di confermare le condizioni della precedente tornata elettorale. Fuoco alle polveri allora. A destra, ma non solo.