E adesso, in Ticino, chi vuol fare l'americano?

Una mazzata. Anche se nessuno lo dice espressamente i dazi USA contro la Svizzera sono stati accolti con agitazione e sgomento dall’economia ticinese, che commercia principalmente con gli Stati Uniti. Tutti lo sapevano, tutti immaginavano che qualcosa sarebbe successo, ma non così. Anche perché da quel che si è capito non saranno forse toccati i prodotti farmaceutici e l’oro, ma tutti gli altri prodotti e semi lavorati invece sì. A iniziare dagli orologi, che sono un prodotto Swiss Made e quindi non possono essere realizzati dall’altra parte dell’Oceano. «Gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato per esportazione» sgombra il campo dai dubbi Alessandro Recalcati, che co presiede l’Associazione ticinese dell’industria orologiera (ATIO) ed è direttore di Timex Group, holding americano-olandese che ha sede anche a Lugano e realizza orologi anche per Versace. «La situazione è molto negativa. Il settore subirà certamente un impatto anche in Ticino» precisa, sapendo che il comparto con la sua quarantina di aziende e un paio di migliaia di posti di lavoro contribuisce da solo all’1% del Prodotto interno lordo (PIL) cantonale.
Conseguenze anche per i consumatori
Ma conseguenze negative ci saranno con ogni probabilità anche per i consumatori. Su cui saranno ribaltati i maggiori costi di produzione. «L’innalzamento delle tariffe potrà essere contenuto solo riducendo i costi dei materiali e delle lavorazioni per i quali però i margini di guadagno sono già limitati» anticipa Recalcati. «Ciò andrà quindi a riflettersi sui consumatori finali». Tradotto, è quasi lecito aspettarsi aumenti di prezzo. Non solo per gli orologi e non solo in Svizzera. Ma anche su tutto un insieme di prodotti realizzati nell’Unione europea (UE). Senza contare che anche per i cittadini statunitensi ci saranno svantaggi. In quanto certe merci quando sbarcheranno negli USA saranno più care e meno numerose.
Ciò non toglie che anche per il «piccolo» Ticino i numeri sono importanti. Il cantone esporta verso gli USA merci per circa 700 milioni di franchi l’anno (693 milioni l’anno scorso) senza contare l’oro e i metalli preziosi raffinati nel distretto di Mendrisio, che da soli valgono circa il doppio ma «sembra almeno per il momento che non saranno interessati dai dazi» osserva il direttore della Camera di commercio Luca Albertoni. La prudenza è d’obbligo - «ci muoviamo in uno scenario ancora molto incerto, tutto può cambiare» - ma «sembra» anche che la farmaceutica non sarà toccata direttamente. «Questa è una buona notizia perché la maggioranza del valore esportato proviene proprio da questo settore. Ma è chiaro che gli effetti negativi si vedranno ad ampio raggio, nella catena dell’indotto. La preoccupazione è diffusa anche tra aziende che non sono direttamente toccate dai dazi».
Farmaceutica sul chi vive, logistica inquieta
I medicinali svizzeri dovrebbero quindi avere via libera, ma non è chiaro se invece saranno sottoposte a dazi tutte quelle imprese che appartengono alla filiera. Ecco perché «c’è comunque preoccupazione - annota Daniela Bührig, direttrice di Farma Industria Ticino (l’associazione di riferimento del comparto composto oggi da oltre 3.000 impiegati per un fatturato di 2,5 miliardi - e per questo stiamo analizzando attentamente la situazione».
Tra (poche) sicurezze e (molte) incertezze si muove il settore della logistica. Gli spedizionieri che gestiscono il trasporto dei prodotti oltre Atlantico si stanno preparando a incassare il colpo, e poi il contraccolpo. «La doccia fredda è recente e non abbiamo ancora avuto il tempo di parlare con tutti i nostri clienti» spiega Marco Tepoorten, presidente di Tepoorten Group a cui fa capo la casa di spedizioni Franzosini di Chiasso. «Alcune aziende non temono la concorrenza, altre invece avranno sicuramente una ricaduta. Per quanto ci riguarda non temiamo solo l’impatto dei dazi americani, ma anche la risposta europea che si preannuncia aggressiva e potrebbe colpire anche altri mercati».
Chi si sposterà negli USA
Se chi movimenta le merci vede grigio, non dorme sonni tranquilli neanche chi le produce, magari per conto terzi. La reazione immediata di alcune porzioni dei settori colpiti - ad eccezione ovviamente dello Swiss Made - va infatti nella direzione del trasloco: appoggiarsi a terzisti americani «è l’opzione che noi come altre aziende stiamo valutando e in verità non da ieri, perché i dazi erano nell’aria già da qualche tempo» ammette Pietro Casati di DAC System, azienda di Manno specializzata in sistemi di monitoraggio sui segnali radio-tv. È in partenza per Las Vegas dove parteciperà a un’importante fiera di settore e non nasconde la preoccupazione. «Siamo una piccola azienda con una decina di dipendenti e finora abbiamo prodotto buona parte della nostra tecnologia appoggiandoci a un fornitore ticinese. Il mercato americano è in crescita ma per soddisfarlo ora l’azienda sta pianificando di spostare la produzione negli States. «Se investiremo, dovremo farlo là».
In una situazione fluida come quella attuale - con la Confederazione che ha deciso di non mettere in pratica contro-dazi, preferendo la via del dialogo con Washington - c’è anche chi si è preparato al peggio, come la Medacta International di Castel San Pietro, azienda operante nel ramo della fabbricazione di prodotti medicali, che non conosce crisi. «Il nostro fatturato è realizzato per il 40% negli Stati Uniti e quindi ci siamo mossi per tempo analizzando il da farsi - spiega il fondatore e presidente, Alberto Siccardi -. Una delle soluzioni sul tavolo è quella di trasferire gl ultimi stadi della produzione negli USA, anche perché da poco abbiamo acquisito una piccola azienda in Florida che dispone di spazi vuoti. Oggi i nostri tecnici sono sul posto proprio per capire se e come adattare questi spazi vuoti. Una cosa è però certa. Questo parziale trasferimento della produzione finale negli USA non avrà comunque ripercussioni sulla nostra manodopera».
Tra analisi ed effetti indesiderati
Incertezza e preoccupazione albergano anche in chi non ha come mercato di riferimento quello a stelle e strisce. È il caso della Schindler, nota azienda svizzera di ascensori, che a Locarno possiede il settore sviluppo e produzione. «Oggi è prematuro sapere che impatto avranno i dazi sulla nostra impresa - afferma il direttore della sede di Locarno, Michele Peretti - siamo ancora in una fase di analisi approfondita e per questo motivo non me la sento di sbilanciarmi. Quello che è certo è che i nostri mercati di riferimento sono la Svizzera e l’Unione europea (UE), ma siccome si parla di un ordine esecutivo molto complesso è necessario un’attenta fase di studio dello stesso prima di capire se e come saremo toccati dalle misure messe in atto dal presidente degli USA, Donald Trump». Peretti stima almeno una settimana prima di arrivare alle cosiddette «bocce ferme».
Non ha invece bisogno di tempo, Nicoletta Casanova, Ceo e presidente della Femtoprint, azienda di Muzzano specializzata nello sviluppo e nella fabbricazione di microdispositivi stampati tridimensionalmente nel vetro o in altri materiali trasparenti. Che ha relazioni commerciali importanti proprio con gli USA. «I dazi erano prevedibili - afferma Casanova - confidiamo che alcune scelte strategiche adottate negli ultimi mesi possano offrirci un minimo supporto. Tuttavia, considerando l’entità delle tariffe imposte, non saremo immuni agli effetti. Resta da vedere come la situazione evolverà e si stabilizzerà nei prossimi mesi».
La speranza che hanno un po’ tutti è insomma quella che qualcuno trovi il sistema di se non impedire almeno attenuare il peso dei dazi, prima che possano davvero scatenarsi e incidere negativamente sul tessuto economico svizzero e ticinese. Perché le premesse non sono affatto rosee. Di più. Salvo per alcuni, le manovre del presidente repubblicano americano hanno tutta l’aria di essere una mazzata terribile, da cui riprendersi sarà molto difficile, pur sperando nella resilienza del comparto industriale ticinese, abituato da sempre a barcamenarsi tra una crisi e l’altra.