Sulle tracce del contrabbandiere nel Mendrisiotto: «Ha venduto oro anche a noi»
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C’è chi a sentirlo nominare fa un’espressione contrita, come il responsabile di una società di Chiasso. Che dice di conoscere «di vista» il 65enne accusato di avere trafugato un tesoro di lingotti - oltre sette tonnellate dal 2016 al 2021 sull’asse Italia-Svizzera-Germania - salvo poi ammettere di avere fatto affari con lui. C’è chi invece prima sbianca e poi nega nel modo più assoluto. Di certo, l’«uomo d’oro» accusato dall’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini (UDSC) di avere contrabbandato in Ticino metallo prezioso per un valore di imposte non pagate pari a 25 milioni di franchi, non è uno sconosciuto nell’ambiente.
Il viaggio sulle sue tracce comincia dagli uffici della dogana commerciale di Chiasso, dove i funzionari del gruppo antifrode hanno ricostruito con un lungo e prezioso lavoro i movimenti di un’estesa rete di spalloni - vedi intervista a fianco - dedita al contrabbando di oro. In cinque anni, dal 2016 al 2021, ne hanno trafugato qualcosa come 7 tonnellate dalla Lombardia al Mendrisiotto: l’epicentro mondiale di un settore tanto luccicante quanto redditizio, dove hanno sede tre delle più grandi raffinerie in Svizzera, attira ogni anno fiumi dorati dall’estero. E non è impenetrabile - almeno così risulta dall’inchiesta - alla malavita d’oltre frontiera.
«Ho comprato da lui, ma non figurava»
A poche centinaia di metri dalla Dogana sorge un palazzo di uffici anni ‘80, dove hanno sede diverse società di import-export specializzate in metalli preziosi. È da qui che passa buona parte dell’oro importato legalmente in Ticino - 45 tonnellate nel 2024 - e dove viene certificata la provenienza lecita della materia prima. Qui si riforniscono le grandi raffinerie, ma anche il 65.enne pluripregiudicato ci è venuto più di una volta.
«Sì, lo conosco. Non personalmente, cioè, ma l’ambiente è quello che è, ci conosciamo un po’ tutti» spiega il direttore di una piccola società in un ufficio grande come un bilocale. «Si presentava sempre con altre persone, mai da solo. Ho comprato oro da lui ma il suo nome non figurava da nessuna parte: le carte erano in regola. Cosa dovevo fare? Diciamolo chiaramente. Se pretendi di lavorare solo con stinchi di santo, in questo settore, fai prima a chiudere bottega».
Che fine ha fatto l’oro venduto dall’indagato tramite i suoi prestanome in Ticino? Nel caso di questa società è stato rivenduto a un’altra società, che rifornisce abitualmente le grandi raffinerie di Mendrisio. «Io l’ho venduto e non so poi cosa ne è stato», conclude il direttore. «Posso immaginarlo».
«No comment»
L’obiettivo dell’organizzazione, secondo gli inquirenti, era riversare l’oro italiano di provienienza illecita nella filiera «pulita» e legale dell’oro ticinese. Il 65.enne ha già patteggiato condanne per accuse simili rivoltegli dalla magistratura in Italia, dove è tornato a vivere dopo alcuni anni trascorsi in Ticino. Contattato dalla Domenica attraverso il suo avvocato, ha preferito non rilasciare dichiarazioni.
Non resta che proseguire la ricerca seguendo le tracce lasciate dal suo passaggio, che da Chiasso salgono al distretto industriale di Mendrisio. Qui, sempre secondo la ricostruzione dell’UDSC, una parte dell’oro sarebbe stato acquistato - sotto forma di laminati grezzi - da una fonderia che avrebbe intrattenuto un rapporto stabile con il pregiudicato. Il suo nome, infatti, figurerebbe tra quelli dei «fattorini» autorizzati a recapitare di persona il metallo grezzo in fabbrica, per essere fuso.
La fonderia misteriosa
Sul nome della fonderia vige da parte dell’UDSC il massimo riserbo. Non è infatti finita nell’indagine, e i suoi manager hanno potuto dimostrare di avere agito sulla base di una documentazione formalmente impeccabile, che il 65.enne avrebbe abilmente falsificato. I dirigenti di tre fonderie presenti da diversi anni nel distretto momò , incontrati separatamente dalla Domenica, assicurano che i controlli sul metallo in entrata sono rigorosi ed escludono la possibilità che operatori esterni «poco raccomandabili» riescano ad eluderli. «È praticamente impossibile».
Il dirigente di un impianto di medie dimensioni sbianca quando sente il nome dell’accusato. «Non avremmo mai accettato neanche un lingotto da un soggetto di questo genere», garantisce. Le aziende del settore - compresa la sua - si sono dotate, preventivamente, negli anni di uffici legali e di compliance che esaminano a fondo le credenziali dei venditori. Ciò non significa non acquistare oro «grezzo», ma farlo solo da rivendori affidabili. «Proprio per evitare situazioni spiacevoli, che - ammette - non sono così rare».
La dimostrazione è una serranda abbassata in via Vignalunga, alle porte di Mendrisio. Qui sorgeva un laboratorio dove il titolare di un negozio compro-oro poco distante fondeva metallo contrabbandato, anch’esso, dall’Italia. Il responsabile, un rispettabile e insospettabile 65.enne dirigente sportivo, è finito in manette nel 2022 e da allora al posto di quella fonderia c’è un locale vuoto. La vetrina è schermata. Non si vede all’interno. Anche se sono passati alcuni anni, tutti, accanto, ricordano la fonderia. Anche chi ha aperto alcuni mesi dopo un ufficio cambi e commercio oro – guarda caso - proprio lì vicino. Che non ha niente a che fare, ci tiene a precisare, con l’attività precedente.
Un’arte antica
A nche in quel caso l’oro aveva potuto finire - tramite intermediari inconsapevoli - nel circuito della legalità. Che farci? L’arte di raggirare le regole è antica e raffinata come quella di fondere i metalli. Lasciandosi Mendrisio alle spalle e proseguendo lungo via Vignalunga ci si imbatte in una fonderia di diverso tipo: la «Perseo», specializzata in opere d’arte. Il titolare Andrea Ziino accoglie i visitatori tra enormi statue in bronzo tra cui spicca un enorme David di Michelangelo. «Per fondere l’oro non serve molto. Basta una fiamma ossidrica e un contenitore abbastanza resistente. Può farlo chiunque nel proprio retrobottega o nel garage», spiega: «L’arte è un’altra cosa».
Le fonderie artistiche hanno una lunga storia nel Mendrisiotto ma ormai la Perseo - fondata nel 1952 - è l’ultima rimasta. A volte a Ziino è capitato di ricevere visite da personaggi «all’apparenza innocui» che gli hanno proposto di convertirsi ad affari strani. «Tastavano il terreno dicendo di avere dell’oro da fondere, ereditato da improbabili nonne o cugini» ricorda l’artigiano tra divertito e rassegnato. Il suo metodo di due diligence è ancora vecchia maniera ma funziona benissimo. «In questi casi dico sempre che mi occupo di arte, e basta. Grazie e arrivederci». Altrove però, a quanto pare, i malintenzionati hanno avuto più fortuna.